Autobiografia del lettore da cucciolo – 3

Quasi | Memorie e cuccioli |

di Massimo Galletti

(la prima parte è QUI; la seconda QUI)

Ad esempio, c’è questo libro di Bastien Vivés a cui voglio piuttosto bene: Polina. (Un Vivés inusuale, fatto di tanto narrato e di molte parole.) Racconta la storia di una danzatrice, dai primi passi in una scuola di danza al successo. Io però non l’ho mai letto così, o almeno non solo e unicamente come la storia di quella, danzatrice. L’ho sempre interpretato invece come la storia del percorso quasi obbligatorio di qualsiasi giovane artista che cresce, che studia nell’accademia ma ne deve fuggire, che deve andare, guardare, scegliere, sperimentare, allenarsi, lavorare, esporsi, provare.
Fino a guardare i risultati, e scoprire se era vero, se c’è l’aveva davvero. Il talento.

Finché

Così. Il lettore già non era più cucciolo. Ora si trovava anche a fare succedere cose. Piccole, incontri, telefonate, che Arcicomics era meno di un circolo, poco più di un nome. Ma già mica è poco. Perché si sceglie l’ambito, le persone, quali, chi. Finché.

L’ambito naturalmente è Luigi. Bernardi. Innanzitutto. Me lo ricordo almeno tre volte prima del finché. Dovrò risolvermi a parlarne dei quanto e dei perché con quest’uomo prima o poi.

Luigi è il metronomo, è Iniesta. Ma servono altri punti d’appoggio durante il tempo del tiki-taka.

Era un tiki-taka istintivo, nulla di schematizzato, non si poteva fare che così. Lo spiega benissimo Jorge Valdano in un’intervista a “La Repubblica” di una decina d’anni fa. È come se tu stai cercando la donna della tua vita. Una donna non si cerca, spiega Valdano. Una donna quella, donna, passa di lì, tu puoi solo attendere, lei passa. Ma devi essere nel posto giusto per vedere l’occasione da goal. Essere nel posto giusto, nella tre quarti avversaria, e soprattutto avere tu il pallone tra i piedi. Tu divertiti il giusto, col tiki-taka, e lei passa: l’occasione da goal, la donna della tua vita, il finché.

Servono giocatori giusti, che sappiano giocare la palla con sapienza e per il gusto, per fare un buon tiki-taka. Che so, giocammo una partita in cui a centrocampo affiancammo a Bernardi un centromediano d’altri tempi, un elegantissimo Liedholm come Alvaro Zerboni e il suo “Eternauta”, e in mediana Andrea Plazzi con tutto il fiato del miglior “Fumo di China” di sempre (anche solo Marcheselli, Busatta, Spiritelli, Lupoi, non vorrei dire…). Giocammo con tipetti tosti e sempreverdi come Massimo Giacon o Massimo Cavezzali, per dirne due. Ci fu l’occasione di una partita con Vincenzo Sparagna, si impara. Il tiki-taka è tutto, è la vita vera che tanto prima o poi torna. Finché.

Finché passa quella signora irrinunciabile, quell’occasione da goal, e allora per un attimo bisogna mollare il palleggio e provare a vincerla, quella partita. Passò una cosa che ora voi conoscete come “Centro Fumetto Andrea Pazienza”. Ero lì, feci un paio di passaggi fondamentali nell’azione in cui nacque. E’ doveroso raccontarne qualcosa.

… avevo bisogno di:

Naturalmente sapete tutti cosa serve per andare a fare i partigiani in vespa sul Gargano. Vi hanno fatto il disegnino… Io non lo so fare il disegnino. Vediamo se riesco più o meno a redigere una lista, tipo il Vivés. In quel caso servì ad esempio:

Stare in un posto che fosse al centro. In periferia le cose non passano, e allora prima devi conquistarti un centro. Io già c’ero: culo direi, e forma mentis. Culo perché al centro o ci si nasce o ci vuole un fisico bestiale, io né l’uno né l’altro. L’ARCI di Cremona era “un centro” (anzi, era “il centro dell’associazionismo culturale”, come un po’ pomposamente ma a mo’ di sfida si autodefiniva sulla porta dell’ex convento che voi ora PFF). Laterale, outsider, snobbato e snob, poverello, ma con la voglia di giocare al centro, delle cose. E un fisico non male, allenato negli anni Settanta. Forma mentis perché bisogna essere un po’quelli lì, chi te lo fa fare, mettersi in testa di organizzare cose, le Olimpiadi a nove anni, le squadre di calcio, i Festival, poi mica sempre le cose vanno bene e magari piangi, è una malattia. Ma avevo trovato un posto dove passarci il tempo, una strana gabbia di malati del male mio, ma con voglia di giocarsela, ambizioni, gusto, e nessuna paura.

Bisogna starci ed esserci, esserci in un posto, come un’abitudine, un gioco, come un’anomalia piacevole, un tiki-taka solo per il gusto. Esserci sempre o quantomeno spesso per esserci il giorno in cui passa un’idea, un perché no, un «il fine era un altro ma ok, proviamoci anche coi fumetti, dai, mettiamo lì il Gallo e Gianvi e vediamo di proporre una cosa, male non fa, l’ambito c’è, qui proponiamo cultura, si sa». Chissà, forse il foglio, la proposta al comune, esiste ancora in qualche archivio.

Bisogna avere un’idea che abbia senso, struttura, sappia quel serve davvero. Sennò cade presto, sennò non cresce, sennò non dura. L’idea è banale e ormai la conoscete a memoria: una biblioteca per tutti quelli, che i fumetti li leggono, uno spazio mostre incontri che serve portare qui e parlarci, col mondo del fumetto vero, una rivista per chi vuole parlarne e farli i fumetti, esprimersi. Serve difenderla se è possibile e finché si può, l’idea: sarà banale ma il mondo è pieno di gente che crede solo in cose che non possono funzionare, o durare. Nell’idea c’è anche il senso culturale della cosa, che cosa sono i fumetti davvero. Cioè: rileggersi le prime due puntate di questa rubrica. Altrimenti si fanno altre cose, fumetti certo ma non davvero. Si può ma a me non interessa, segue elenco di posti e tentativi vari, Muse e Musei, non lo farò. Serve un senso culturale e coerenza perché tutto è un brand, quel che scegli di fare è quelli con cui cerchi di parlare, quel che semini crescerà, chi si riconosce in quel che scegli ti seguirà o ti verrà a cercare. Un pubblico, dei collaboratori, esistono sempre già, sono sparsi e aspettano qualcuno che gli parli con il giusto brand.

Serve qualcuno dall’altra parte in grado di ascoltarti e crederci. Per molte cose si può provare a cercarlo, per questa no, è un luogo pubblico, comunale. Se non hai chi ti ascolta, non serve a niente nessun Galletti o Gianvi che mette su carta idee la prima o l’ennesima volta, non serve coerenza, non serve nessuno dei tanti meritori direttori e presidenti e manovali vari che si daranno da fare per quel posto. Siccome quel qualcuno è esistito, ha un nome e un cognome, era un assessore, di passaggio come tutti gli assessori, ma con lui e non con altri ha potuto nascere il celeberrimo “Centro Fumetto Andrea Pazienza”, anche se vi dirà poco vorrei citarvelo. Mauro Bettoni. Partito Socialista Italiano.

Naturalmente, ci vuole un fisico bestiale, per stare nel mondo dei grandi. Io non ce l’ho e me ne sono scappato presto. Il “ Centro Fumetto Andrea Pazienza” è ancora lì, ed è bene che ci sia.

Dal ponte

Mi ero preso un’abitudine, con Luigi (Bernardi). Io lo chiamavo “uno sguardo dal ponte”. Una volta Lucca si svolgeva tutta in un palazzetto, con le gradinate da una parte sola. Ti sedevi in alto e avevi davanti, sotto, in bell’ordine, tutto il fumetto italiano. Una buona chiacchierata, niente di più. Sono riuscito a concedermi questo piacere con lui per anni. Dall’alto si vedevano riviste ed editori nascere e agitarsi, riassunti di libri ed autori, cose che funzionavano e cose che speravano di volare. Abbiamo mischiato pareri e gossip, dato giudizi severi e affettuosi a un fumetto dilettante e potente che non c’è più, e che un po’manca, e che un po’è giusto scomparisse. Gli “sguardi dal ponte” sono finiti con la fine di Granata Press. Forse non fu un caso, per vedere il mondo nuovo, i vecchi velieri non bastavano più. Come, piesse, ci aveva sempre detto e scritto che sarebbe successo: Luigi.

Piesse 2: prima, durante, e dopo, la mia creatura.

(continua)

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