Libere Figure in libero Stato (mentale)

Arabella Strange | Rorschach |

Di solito in questa stagione partecipo a un festival che quest’anno non si terrà, come centinaia di miliardi di altri festival, causa pandemia: si chiama Wowomen ed è dedicato all’arte creata dalle donne. Di solito riempie le vie del centro della mia città, quest’anno, vaccamiseria, si svolgerà sui social.

Come sempre io mi occuperò di libri. Anni fa mi sono inventata la Bibliomante, leggo le carte non per predirti il futuro ma per proporti un libro da leggere, in un cortocircuito che trovo divertente. Ho imparato – se si può imparare una cosa del genere – a leggere i Tarocchi da una poetessa e forse è per questo che sono poco ortodossa. Francesca Genti, la ragazza Kamikaze, dice: «la luce colava sul prato / il nero si santificava e diventava gatti». Nel corso degli anni ho mescolato questa passione con quella della promozione della lettura a scuola, e sempre di più guardo il mio mazzo di Tarocchi come se fosse un albo illustrato, un libro pieno di figure con cui, usando attenzione, si possono raccontare tutte le storie del mondo. È molto importante notare che cosa abbia in mano una Regina, in che modo i discepoli del Diavolo o del Papa siano girati verso il loro padrone, cosa usi la Giustizia per difendersi, insomma puoi veramente raccontare qualunque cosa guardando le figure dei Tarocchi di Marsiglia.

Il mazzo è stato probabilmente inventato nell’Italia del nord nel XV secolo e, infatti, i cosiddetti Arcani minori, spade coppe denari bastoni, assomigliano molto a quelli delle carte bresciane. Ci sono, naturalmente, modi codificati di leggerli. A me non interessano molto: i Tarocchi sono un libro, e un libro è di chi lo legge. Lo dico col rispetto estremo che nutro per l’atto di leggere, e per quello di giocare, due delle azioni che, per me, costruiscono il mondo.

Quest’anno per Wowomen ho pensato a un miniformat video, “Arcane”: una scrittrice per ogni figura femminile degli arcani maggiori, e lo farò come mi gira, nello stesso modo in cui, quando leggo un libro, non leggo le recensioni se non dopo. Le storie sono di tutti, e anche le figure, e quelli fortunati se le portano dietro da quando sono piccoli.

Un mazzo di Tarocchi è un libro inesauribile di piccole immagini meravigliose, che è bello stendere davanti a sé. A volte sembra che mi brillino tra le dita. Gli sguardi si incrociano, la vegetazione imperversa, la morte è fatta di luna e zucchero, la gente viene strattonata, o ti guarda appesa per un piede, senza batter ciglio. Naturalmente ho le mie preferite, per esempio la Regina di Bastoni, il Matto, la Torre, ovviamente Le Stelle, ma il primo incontro che ho avuto con gli Arcani Maggiori è stato quando Francesca li ha stesi sul tavolo, tanti anni fa, e ha detto «Scegliete la carta che vi piace di più e quella che vi piace di meno», e io, senza un attimo di esitazione, ho scelto La Luna come la mia preferita e La Forza come la più odiosa. Poi, imparando i significati attribuiti alle due carte, ma anche osservandone i dettagli minuziosi, mi sono accorta che non è stato un caso. Ho scelto come mia preferita una delle carte che, nella tradizione più grossolana, incarna possibili sfortune (cerco a caso in rete, “Tutto quello che viene detto alle spalle”). Ho sfanculato immediatamente la carta che più mi rappresenta: una donna con una bestia feroce che le sbuca al basso ventre. Quella bestia potrebbe essere in parte nascosta dalla sua gonna oppure un pezzo del suo corpo. La donna con le mani tiene saldamente le mascelle della creatura ma non si sa se per aprirle o per chiuderle. Sulla testa è incoronata, incappucciata dal simbolo dell’infinito.

Ho sempre avuto problemi con la mia forza, faccio fatica a distinguere la forza dall’aggressività, faccio fatica a distinguere l’aggressività dalla rabbia, dalla violenza, dall’inutile stupida distruzione. La Forza è un modo per rivedere l’intero campo semantico, ma se volete addentrarvi nel giardino dei tarocchi, come Niky de Saint Phalle ha fatto costruendo i suoi giganteschi tarocchi personali in un giardino incantato, troverete sicuramente delle figure che vi faranno dire «Ecco questo è un pezzo di me!», oppure «Ecco questo è quella sera del 27 aprile di tre anni fa!», e non c’è figura che sia buona o cattiva in sé. Nei manuali trovate anche complesse spiegazioni su cosa succede se una carta compare rovesciata, ma non le trovo particolarmente interessanti: tutto al mondo può comparire a rovescio, poi sta a noi trovarci male nella situazione capovolta o usarla come surfisti su un’onda. Quello che a me piace sul serio è raccontare fiabe. E le vite di alcune delle scrittrici di cui parlerò nel mio gioco di abbinamenti sono fiabe. Non c’è dubbio che la vita di Emily Dickinson sia stata assolutamente stravagante: reclusa, vestita di bianco, innamorata di persone e cose, teneva una gemma nella mano ma si è addormentata e ora un ricordo di ametista è quel che le resta, appassiva nei fiori, cercava di portare acqua a una tigre morente, gettava al vento la bussola per vivere notti selvagge, e il tutto scandito da quel trattino ossessivo, che spezza le frasi come un respiro, una nota prolungata, una buca che fa inciampare. Non posso che pensare all’Arcano numero Due, La Papessa, questa straordinaria creatura androgina, col numero dell’accumulo e della preparazione, che custodisce un libro tra due mani delicate e guarda a sinistra, con una tiara di gioielli e un velo, sul capo, che potrebbero distrarvi dal sorriso leggero che le sfiora gli angoli della bocca, dalle piccole pieghe dei muscoli involontari, dalla meraviglia intorno agli occhi spalancati.

Non credo che le carte raccontino storie per conto proprio, ma ci sono storie che abbiamo bisogno di sentire, cose che abbiamo bisogno di sapere. E l’unico modo per farlo è giocarci, perché niente è più serio del gioco. Non un gioco con regole dall’esterno, ma con le regole che sono i giocatori a inventarsi e, con i tarocchi, gioco molto da sola. Sono sempre stata una bambina molto solitaria, era l’inizio degli anni ’70 quando ho visto la prima Barbie, l’aveva ricevuta in regalo da suo padre (Il Cavaliere di Denari) la mia amica Cristina, ci siamo raggruppate tutte intorno a lei (la ghirlanda che circonda la figura nuda e splendente del Mondo) e le nostre facce facevano «Ooohhh» per lo stupore. In seguito ho avuto decine di Barbie e una è ancora da qualche parte, l’ultima, con indosso uno splendido abito viola: fino a una ventina di anni fa era seduta su uno scaffale di casa mia, poi ci sono stati numerosi traslochi ma abita ancora nella mia mente, splendida, vestita di seta viola, coi capelli di antico lino svedese e la mano snodabile che saluta come Jackie Kennedy (La Regina di Coppe), è una parte di me che ora è in un baule o riciclata da tempo per fare sacchetti per la raccolta dell’indifferenziata.

Con le mie Barbie inventavo giochi incredibili, a un certo punto ero in fissa con la caduta dell’Impero romano e avevo fabbricato stoviglie, gioielli, frutta con il Das. Avevo letto una vecchia biografia di Nerone rubata dalla biblioteca di mio padre. Avevo dieci anni e in classe ero l’unica a sapere – non che qualcuno me l’abbia mai chiesto – che non è vero che Nerone abbia bruciato Roma e che la prima volta che ha firmato una condanna a morte ha detto: «Non avrei mai voluto imparare a scrivere». Per il resto è un personaggio un po’ come quelli dei tarocchi, è il Quattro, l’Imperatore,  che si può interpretare in molti modi, indubbiamente alla fine un tiranno crudele responsabile della morte di migliaia di persone. Ci sono imperatori saggi e buoni? Io non credo, a meno che non sia il Signore degli Anelli o Asoka di Maurya, che ha introdotto per primo, al mondo, la libertà di religione, invitando anche i seguaci dei vari culti a non denigrarsi a vicenda. Ma l’Arcano numero Quattro, è mio padre, semialzato dal trono, che non sai se sta per andare a mettere ordine nelle Province in Ufficio o per tirarti quattro schiaffoni belli secchi, sulla nuca, dove le idee si confondono e vanno in poltiglia.

Sono così le figure dei tarocchi: ambigue, misteriose, sfaccettate, dipende dal giorno in cui le guardi. La spada della Giustizia può essere lì ferma nella sua mano da guerriera pronta a difendere i deboli, oppure potrebbe essere minacciosa perché un giorno hai toccato una macchina e te ne sei andato senza lasciare un biglietto col tuo numero di telefono giustificandoti col fatto che la macchina era un’auto da trentamila euro e il segno che hai lasciato era minuscolo mentre tu guidi un’automobile proletaria semidistrutta. E che dire della bilancia che tiene nell’altra mano? Che cosa ci dovremmo mettere su quei piatti? Le cose che abbiamo fatto o le cose che non abbiamo fatto? Sono più importanti quelle che abbiamo fatto o quelle che avremmo dovuto fare? Non intendo dire per essere bravi. Per essere più felici, per esempio.

Vi invito a guardare i Tarocchi marsigliesi come se fossero un albo illustrato, possibilmente sdraiati, con le pagine che vi si manifestano tra le mani e implorano di essere lette e girate. So che in molti circoli va per la maggiore il mazzo dei bellissimi Rider-Waite, immaginati dall’esoterista Arthur E. Waite nel 1909 circa ma che sono, come dicevano la mia insegnante e Jodorowky, già molto interpretati. Sono meravigliosi, le illustrazioni di Pamela Colman Smith sono eleganti e complesse, riflettono un’epoca e tutto quel circolo che faceva riferimento all’Ordine Ermetico della Golden Dawn. Quando Jodorowsky, tutto contento, li aveva mostrati a André Breton durante una delle riunioni settimanali dei Sureralisti alla Promenade de Vénus di Place des Halles, il poeta gli aveva risposto: «Questo mazzo di carte è ridicolo. I simboli sono di uh’ovvietà sconcertante. Non c’è nulla di profondo qui dentro. L’unico Tarocco che abbia senso è quello di Marsiglia.. Quelle carte incuriosiscono, commuovono, ma non rivelano mai il loro intrinseco segreto.»

Non so se Breton parlasse realmente così, ma sicuramente è difficile interpretare in modo positivo un 9 di Spade, in cui si vede una persona seduta sul letto come risvegliata da un incubo, con la faccia tra le mani, mentre su un grande muro nero come lo spazio profondo campeggiano 9 Lame. Quella carta ti dice: «Ciao, sono un presagio di distruzione». Il 9 (Crisi, Nuova costruzione) di Spade (la parola, lo spirito) dei marsigliesi è, invece, uno degli umili guardiani del segreto e non dice nulla di specifico, ti mostra le sue lame ricurve intrecciate a proteggere l’ultima piccola lama; all’esterno ci sono quattro fiori sbocciati, per nulla intimoriti. In altre carte degli arcani minori, da 1 ai 10, si notano fiori, boccioli, viticci. Mi incuriosiscono: come posso farli crescere? O devo strapparli alla radice, anche se fa male vedere la terra che cede e i sottili filamenti polverosi esposti? I Re, le Regine, i Cavalieri e i Paggi hanno ciascuno una faccia, un gesto, ma sono accennati, offrono moltissime possibilità di interpretazioni, come quelle polaroid degli anni Settanta che colgono un momento a una festa, a un picnic. Ogni Arcano Maggiore, dallo Zero del Matto (mio personale amico e alleato, con un cane alle calcagna che lo morde, non si sa se giocosamente o dolorosamente) al 21 del Mondo, può essere girato e rigirato tra le mani infinite volte, cambiando peso e intenzione, a seconda della costellazione di altre carte su cui verrà deposto o di quel che abbiamo appena dietro gli occhi, nel gioco di strutture neurali dei nostri cervelli che hanno molti modi di funzionare. Per esempio, chissà se quel 21 non alluda, numerologicamente, a un possibile terzo giro, a un 22, un 23, in cui l’Accumulo e la Ricettività o l’Esplosione, con conseguente possibile creazione o distruzione, riescano ad accedere a un livello ulteriore di profondità, sottigliezza, meraviglia? Mi divertirò con le Arcane, perché i miei Tarocchi si offrono alla libertà di immaginazione con la stessa naturalezza con cui un albo illustrato si offre a un bambino. Un bambino che ancora non ha imparato a leggere e ha diritto di raccontarsi la storia che vuole e che, alla fine, non sarà altro che la sua storia.

Non è sempre così?

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