Fumetto! Ma sei ancora popolare? (2)

Quasi | Visiting Professor |

di Michele Ginevra

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Mai più

Ora è tutto cambiato. Dai media unidirezionali siamo passati ai social interattivi. Poteva essere e può ancora essere un salto di qualità importante e positivo. Eppure in questo brodo trionfano populismo, fake news e analfabetismo funzionale. Conta esprimere il proprio punto di vista, possibilmente indignato. Che brutta fine stanno facendo tanti ex giovani lettori di fumetti, oggi boomer nostalgici di infanzie dorate che evidentemente ricordano assai male…
Rimanendo un po’ a distanza da queste novità, i fumetti tradizionali hanno tratto le loro conclusioni e hanno avviato traiettorie inaspettate. Per esempio le storie di “Tex” sono diventate più complesse, ricche di personaggi collaterali e declinate in più formati. Quindi non più popolari, ma rivolte a chi già conosce e frequenta il personaggio, magari da decenni e gradisce al massimo nuove varianti sul tema. Per fronteggiare questa situazione, con “Dylan Dog” sono state compiute scelte radicali, addirittura facendo conto di perdere una parte dei lettori abituali, per raggiungerne di nuovi attraverso una strategia di fomentazione di un continuo clamore. Ne hanno risentito in parte le storie, comunque in affanno da tempo. Se già Tiziano Sclavi aveva brillantemente giocato con le narrazioni del suo secolo, superandole, gli autori successivi sono andati oltre, curandosi meno della linearità del racconto, evitando di giustificare fino in fondo tutti gli accadimenti (come si faceva nel ‘900), preferendo storie dove si sommano situazioni e personaggi tipici, in nome di un citazionismo non sempre fluido, che comunque implica complicità e conoscenze da parte del lettore.
Se prima gli si forniva una spiegazione plausibile del mistero, adesso conta di più l’emozione che l’esistenza stessa del mistero suscita, e per questo viene già evocato ed enfatizzato nella fase di promozione delle uscite. Inoltre, paradossalmente, l’elevata qualità artistica (non artigianale) di alcuni disegnatori addirittura allontana una parte dei lettori più tradizionali. Non solo, parte di questi di ribellano dichiarandosi custodi di valori che in realtà ci sono ancora. C’è una sola cosa davvero importante che manca nel Dylan Dog di oggi. Ma ve lo dirò in un altro articolo, se avrò occasione di scriverlo.
Ancora più difficile la situazione delle testate per ragazzi, dove il politicamente corretto ha smorzato definitivamente la curiosità che avrebbero potuto e dovuto suscitare. “Topolino” continua a essere letto nelle famiglie dove sono i genitori a proporlo, quando al contrario in passato la sua lettura rappresentava proprio uno dei primi passi per emanciparsi dal controllo genitoriale.
Se andiamo avanti ad analizzare e valutare queste pubblicazioni, notiamo che le storie a fumetti in cui si declinano sono sempre più complesse e costose, invertendo il processo che le aveva rese popolari nei decenni precedenti. Gli editori ovviamente non rimangono a guardare e stanno provando a investire nel multimediale, partecipando a produzioni cinematografiche e televisive. Ma Disney e Marvel hanno già sancito che, anche in caso di successo mediatico, i fumetti sembrano non risentirne per nulla o molto poco. L’interesse nel proseguirne la produzione sta nel conservare le properties e sperimentare situazioni e personaggi nuovi da sfruttare successivamente sugli schermi di tutto il mondo.
Dunque, la conclusione sembra inevitabile. Quel fumetto popolare con il quale siamo cresciuti e che ricordiamo con nostalgia, e che magari continuiamo orgogliosamente a collezionare, è finito. Ormai è Storia e non possiamo che farcene una ragione. Possiamo ricordarlo, studiarlo, celebrarlo, ma non tornerà mai più. Esattamente come non torneranno più i nostri bei tempi andati.

Mai più.

(Pausa)

(Arresto del sistema)

Eppure…

(Pausa)

(Riavvio del sistema)

(Riavvio delle applicazioni)

(Pausa)

Eppure…

…il discorso non finisce qui.
Recentemente sono rimasto colpito da un commento dell’autrice Laura Scarpa, a margine di una discussione in ambito social analoga a quella che ha fornito lo spunto per questo intervento, discussione in cui si faceva presente che molti graphic novel utilizzano uno stile di disegno semplificato.
Vengono in mente le strisce umoristiche. Quante situazioni geniali e quanti contenuti importanti sono stati rappresentati dai segni essenziali visti in strips come quelle di Peanuts, Popeye, Krazy Kat e tantissimi altri… Ma in qualche misura lo erano anche le strisce avventurose dei quotidiani americani degli anni Trenta. Dai segni di alcuni dei loro massimi interpreti, Alex Raymond e Milton Caniff, discendono le principali scuole stilistiche dell’intero emisfero occidentale. Raymond è stato il punto di partenza per autori da edicola, come Aurelio Galleppini e Guglielmo Letteri, mentre Caniff è stato il riferimento fondamentale per protagonisti del fumetto d’autore come Hugo Pratt e José Muňoz. Nonostante la qualità della rappresentazione realistica e dettagliata dei primi, sembra che l’impatto dei secondi sia stato molto più duraturo, avendo scritto nel destino (come la linea della fortuna di Corto Maltese da lui stesso tracciata con un rasoio) la ricerca di una sintesi del segno.
Proprio le storie realizzate dagli autori appartenenti a questa corrente si caratterizzano per una maggiore introspezione. Pensiamo ad Alack Sinner, realizzato da Muňoz e Carlos Sampayo, iniziato come giallo poliziesco ed evolutosi in romanzo esistenziale, quasi a sancire il passaggio dal fumetto popolare tradizionale a quello che già si stava affermando sulle riviste. Oggi Alack Sinner è celebrato con un’edizione integrale in due volumi di grande livello e formato, a riconoscimento della sua influenza sul fumetto moderno.
Gli anni di ogni fine secolo preparano sempre il successivo e, prima sulle riviste, e poi nelle raccolte in volume, si impongono gli Andrea Pazienza, si rivelano gli Art Spiegelman, i David Mazzucchelli e i Joe Sacco, arrivano via fumetteria i Chester Brown e le Julie Doucet e le Jessica Abel, si allenano i Davide Toffolo, i Gianluca Costantini e i Gipi, mentre i Maurizio Ribichini, gli Edmond Baudoin, le Marjane Satrapi e i David B ci dicono che il futuro è già presente. L’era del graphic novel è lì per sorgere. O per risorgere, dato che c’erano già state la Milano Libri e L’Isola Trovata. Ma servivano catalizzatori e detonatori. Saranno soprattutto editori come Coconino Press e Bao Publishing, attraverso autori simbolo come Gian Alfonso Pacinotti (Gipi) e Michele Rech (Zerocalcare), ad affermare definitivamente il fumetto etichettato come graphic novel nelle librerie italiane.

Gli autori di successo: un nuovo scenario

Non sto divagando ribadendo cose che sapete già tutti. Le ho riepilogate per attirare la vostra attenzione su come questi autori presi ad esempio sono letti e fruiti dal pubblico, cercando di capire la reale dimensione del loro successo. Gipi e Zerocalcare si raccontano spesso in prima persona proponendo opere autobiografiche, in cui sottolineano continuamente la propria inadeguatezza. Il parlare di sé non solo non ha rappresentato un ostacolo, ma addirittura è uno degli ingredienti fondamentali della loro fortuna editoriale. Entrambi sono attivi in rete e sui social e possono essere definiti influencer. Gipi, in modo più discontinuo, ma presente in altri ambiti quali il cinema e il cortometraggio è, in effetti, profondamente diverso; e riesce a interpretare in modo consapevole e riconosciuto lo status di autore, al pari di uno scrittore di rango, ascoltato e amato dai suoi lettori. Dunque lo dobbiamo mettere da parte in questa analisi. Ma ci è servito, come vedremo più avanti, per evidenziare l’importanza e l’attualità del genere autobiografico.
Il discorso cambia molto per Zero e per Simone Albrigi, in arte Sio. Rispetto a Gipi, Michele Rech appartiene a un’altra generazione, con riferimenti completamente diversi. E la rappresenta alla pari. Dalle merendine alla precarietà, troviamo un giovane adulto che nonostante la superficialità di tutto ciò che lo circonda, riesce ad impegnarsi per gli altri e a mostrare una coscienza politica e civile. Che cambiamento rispetto ai fumetti popolari del secolo precedente, pieni di eroi che risolvevano problemi, seguiti da antieroi che non potevano più risolverli… Ora il protagonista è l’autore che, al pari di noi lettori, condivide problemi, ansie, tormentoni, aspettative, dandoci voce.
Simone Albrigi è ancora più giovane e gioca un’altra partita, per ora. Qui su QUASI forse lo conoscete meno e forse lo snobbate anche (o no?). Si tratta di un autore umoristico che ha iniziato giovanissimo a pubblicare le sue strisce e a proporsi in rete. Si è anche affermato come youtuber richiamando più di due milioni di followers sul suo canale Scottecs. Le sue clip viaggiano sugli smartphone di quasi tutti i ragazzini, i quali conoscono a memoria i tormentoni e le situazioni paradossali. Che io sappia fa più o meno tutto lui, dall’animazione povera ma efficace all’inconfondibile interpretazione vocale. La diffusione dei suoi fumetti ovviamente ne risente positivamente, con volumi continuamente ristampati e persino una rivista trimestrale (una rivista!) che regge l’edicola da alcuni anni, “Scottecs Megazine”, che si permette fumetti in bianco e nero, ma comunque con un prezzo di copertina pari a 4,00€. E proprio appena prima della pubblicazione di questo intervento, arriva l’annuncio di una seconda rivista dal titolo “Shonen Ciao”, che coinvolgerà anche altri autori. Sottolineo le parole chiave: rivista, edicola, giovani lettori.

Quindi autori popolari? Zerocalcare, Sio e Ortolani

Ma allora questi autori e le loro opere, visto il seguito che riscuotono, possono definirsi popolari? I follower valgono quanto i lettori? Alcune considerazioni sembrano impedirlo. Popolare non è necessariamente sinonimo di famoso. E per quanto riguarda l’aspetto commerciale possiamo notare che mentre i fumetti che definivamo tali erano venduti in un’unica soluzione nelle edicole, per poi passare di mano in mano e diventare oggetto di gioco e socializzazione, in questi casi i fumetti sono prima distribuiti gratuitamente sulla rete e poi impacchettati in libri e riviste e quindi venduti. Al contrario del passato, gli aspetti della socializzazione e della fruizione precedono quelli dell’acquisto, comunque non dovuto. Però va anche ricordato che il termine popolare era associato non solo al costo economico del prodotto, ma anche alla capacità di semplificare concetti e conoscenze in modo comprensibile a tutti, senza svilirle. E allora se pensiamo ai lavori di Zerocalcare non possiamo che definirli davvero popolari. Attraverso la sua esperienza personale, opportunamente e modernamente romanzata, l’autore ci parla di lavoro, famiglia, amicizia, politica… riuscendo anche ad affrontare argomenti complessi come la situazione dei curdi, stretti tra l’oppressione turca e la minaccia dell’Isis, fornendo informazioni attendibili e creando empatia con chi è in difficoltà. E Zero lo fa sia con i suoi fumetti che intervenendo in tv e in rete, esprimendosi con la sua parlata tipica romana, ampiamente sdoganata dai protagonisti del cinema, del cabaret e dello sport. Questo è fumetto popolare al cento per cento. Ma qualcuno può obiettare che esce in libreria, non in edicola. A parte che l’autore in edicola ci arriva comunque, grazie alle collaborazioni non solo con settimanali di fascia alta come “Internazionale”, ma anche con quotidiani come “Repubblica” (che rimane il secondo più venduto in Italia e uno dei più fruiti in rete) il ruolo del libro è un po’ cambiato. Come dimostrano i pochi best seller del nostro mercato, quando c’è un interesse emotivo il libro si compra eccome. E sono i lettori non abituali, non quelli “forti”, a decretarne il successo.  E a quel punto costa di più comprare “Dylan Dog” ogni mese che un volume di “Zerocalcare” una volta l’anno. Mentre il giornalino a fumetti è come un fiammifero che ti stupisce con la sua fiammata, che vuoi rivedere appena possibile, il libro è come un focolare capace di scaldare più a lungo. E poi è un oggetto che si presta meglio ad essere accarezzato, custodito e magari è pure impreziosito dalla dedica disegnata dell’autore, capace di mettersi a disposizione del suo pubblico per ore e ore, offrendo qualcosa di bello e personale per tutti coloro che sono stati pazientemente in fila. La natura del prodotto è conseguenza, ma anche presupposto, per il ruolo pubblico acquisito da un autore come Zerocalcare, divenuto nel frattempo appunto ospite di trasmissioni televisive e chiamato a realizzare cortometraggi animati per commentare la pandemia in corso.
Sio è popolarissimo tra i ragazzini, i quali hanno a disposizione una buona gamma di prodotti, sia quelli gratuiti offerti della rete che quelli a pagamento, assolutamente tradizionali! I libri, la rivista e soprattutto il vendutissimo “Diario Scomix”. Dunque, da Jacovitti a Sio, eccoci di nuovo qua, sui banchi (per quanto dimezzati e a rotelle…) di tutte le scuole. Certo, l’abilità nel disegno dei due non è paragonabile. Del resto quanti possono paragonarsi a Giotto… Ma non sono paragonabili neanche i tempi di fruizione, lenti e contemplativi quando c’era Benito, quello buono, veloci e interattivi oggi con Simone, lo youtuber. Grazie alle sue strisce e a lavori impegnati come Storie migranti, Sio si sta facendo apprezzare anche da un pubblico più trasversale e adulto. D’altronde è un’evoluzione naturale per un autore che ha da poco compiuto i 31 anni.
Un approccio analogo lo possiamo riservare anche ad altri autori e personaggi.
Prendo come esempio Leo Ortolani che ha interrotto la produzione di storie nuove per le edicole per passare armi e bagagli alle librerie, avviando rapporti con più editori. Non è ancora popolare come i due già citati, in quanto ancora troppo autoreferenziale rispetto a una cultura nerd, ma non manca molto. E va rilevato come il suo pubblico tiene insieme lettori bonelliani, di supereroi e di manga. C’è una precisa grammatica del racconto, c’è il tema dell’eroe, pur se inadeguato, e del senso della sua missione, comunque significativa, e c’è il tema della redenzione. Su quest’ultimo punto, l’autore è riuscito a trovare un feeling con chi legge i manga ed è abituato a seguire le vicende di personaggi pesantemente negativi che poi trovano il modo di riscattarsi. Il male non è negato o relegato ad altro da noi, ma riconosciuto e affrontato innanzitutto dentro sé stessi. Inoltre Ortolani ha trovato negli anni un equilibrio tra la sua personale visione cristiana e la sua altrettanto personale rilettura dell’avventura umana, costruendo un concetto di umanità davvero molto ridicola, fatta di ometti con il muso di scimmia, grottesca e scurrile, ma anche molto dignitosa, alla fine, giusto in tempo. Dunque, il segno semplice e la qualità dei suoi racconti gli hanno consentito di trasferirsi con naturalezza sugli scaffali dei graphic novel, consolidando il suo ampio repertorio con i temi della transessualità e della scienza, con risultati editoriali significativi. Se diventerà un Gipi più nostrano o uno Zerocalcare attempato si vedrà.

[2. Continua – domenica prossima]

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