Un ettaro di felicità

Peppe Liberti | Il quark e il pinguino |

«L’interesse è un’emozione, come l’amore. Non è la proprietà di un oggetto», pare abbia scritto  Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica nel 1965 e martellatore di bonghi. Se è così, allora, l’interesse non può essere misurato né direttamente, con l’interessometro, né indirettamente, ricavandone il valore attraverso la misura di chissà cos’altro, il volume di un tubo ad esempio (ma quale tubo in particolare?). Il destino delle emozioni, dunque, è quello di non poter essere mai quantificate con precisione. Tutto quello che si potrà fare sarà affermare che siamo interessati, innamorati, delusi, poco o tanto: «ma quanto mi ami?» «Tanto!» «Ma quanto tanto?» «Tantissimo!»

L’Encyclopaedia of Historical Metrology, Weights, and Measures, curata da Jan Gyllenbok e pubblicata un paio di anni fa da Springer, è un librone in tre volumi che contiene le innumerevoli unità di misura immaginate e scelte dagli uomini nel corso dei secoli, da quelle a noi più familiari – metro, secondo o kilogrammo, va da sé – a quelle obsolete e inusuali, informali e senza senso, umoristiche persino e tra queste il puppy (il cagnolino), l’unità di misura della felicità. «La felicità è un cucciolo caldo» afferma soddisfatta Lucy Van Pelt dopo aver accarezzato e abbracciato Snoopy (la striscia è del 25 aprile 1960), cosa che ribadisce tronfia e in latino al perplesso animale cinque anni più tardi: «Felicitas est parvus canis caldus».

Dunque il puppy, a dar retta all’Encyclopaedia, è «la quantità di felicità prodotta da un cucciolo di beagle da un chilogrammo la cui temperatura corporea è di 310 kelvin quando è tenuto a contatto con la pelle per un secondo.» Così si dice, ma chi lo dice? La fonte che indica Gyllenbok è Wikipedia, senza aggiungere alcun dettaglio, ma ci vuol poco a scoprire che la pagina in cui l’ha trovata (e di cui si è servito per altre voci) è la List of humorous units of measurement. A scorrerla adesso però quella definizione non la trovate più, sarete costretti a scavare nelle versioni precedenti al 2015, anno in cui venne fatta fuori perché si scoprì che non poteva essere attribuita a nessuno. Lo confesso però: la tentazione di reintrodurla su Wikipedia citando come fonte l’Encyclopaedia che a sua volta cita Wikipedia che cita l’Encyclopaedia e così via, all’infinito, è stata davvero grande («ma quanto grande?» «Abbastanza»).

Nella lista delle unità di misura divertenti ma anche in quella delle unità di misura inusuali e così, di conseguenza, nel libro di Gyllenbok, manca il “cubic acre”, una particolare (inusuale, appunto) unità di misura del volume che in molti han ritenuto un “non-sense” inventato di sana pianta da Carl Barks e che anche in Italia, soprattutto a causa della scorretta trasformazione in “ettaro cubico”, ha provocato parecchi inutili mal di pancia. «Il denaro posseduto da questo plutocrate piumato non può essere contato e l’unica scala a partire dalla quale possiamo determinarlo è il volume», afferma Barks nella prefazione del libro del 1979 dedicato al papero, e il volume del famigerato deposito «misura tre acri cubici».

A contorcersi attorno a questa definizione (che, nei fumetti, fa la sua prima apparizione negli anni ‘50 del secolo scorso) ci han pensato in molti. Il fisico Kenneth Robert Brownstein, ad esempio, con un articolo pubblicato nel 1998 su “The American Journal of Physics”, e prima ancora, negli anni ‘80 del secolo scorso, Dwight Decker su “The Comics Journal”. Per Decker (e per Luca Boschi in Italia, come risulta dalle pagine di Matematica e Cultura 2003, pubblicato da Springer) «il termine “acro cubico” è ovviamente (naturalmente, dice Boschi, ndr) una deliberata assurdità umoristica di Barks, perché un acro è l’unità di misura di un’area, non di un volume», figurarsi un acro cubico. Le sciocchezze però – e purtroppo per Decker e Boschi – sono due.

La prima (“Barks inventa cose”) si smonta in un minuto, il tempo di fare una rapida ricerca nei giornali statunitensi di tutte le epoche e scoprire che il “cubic acre” è davvero un’unità di misura del volume che, tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900, veniva usata in campo immobiliare e, più di rado, minerario. Ancora oggi può capitare di imbattersi in qualcuno che la utilizza come unità di misura della capacità di una diga.

La seconda è linguistico/matematica ossia l’aver frainteso il significato del termine “cubic”. “Cubic acre” non vuol dire “acro al cubo” ma è l’unità di misura del volume definita a partire da un  cubo il cui spigolo ha una ben precisa lunghezza (circa 63,6 metri). Come al solito è tutta colpa delle strambe unità di misura dei paesi anglofoni dove un acro, unità di misura dell’area, è definito a partire dall’area di un particolare rettangolo. Ma come lo monti un cubo se non hai 6 quadrati identici? Chi è avvezzo alle fatiche della matematica e conosce le formule segrete per trasformare i rettangoli in quadrati lo può fare. Chi non lo è, è autorizzato a reagire come Franklin Armstrong: «Non misurerò mai più nulla finché vivrò!»

Per fortuna noi del continente, con le misure, non abbiam mica le strane fantasie degli anglofoni. Il nostro ettaro è l’unità di misura dell’area di un quadrato il cui lato è lungo 100 metri. Pertanto un ipotetico “ettaro cubico” non sarebbe nient’altro che l’unità di misura del volume di un cubo il cui spigolo è lungo 100 metri. Una roba un po’ più grande dell’acro cubico e che non è mai stata definita così (anzi, da oggi sì).

Bill Bryson, in At Home (A short history of a private life), s’immagina come dovesse essere sbalorditivo, nel 1851, passeggiare all’interno del Crystal Palace attraversando acri cubici di luce. Per I’m stranger here myself invece, si era ricordato di come fosse sempre stato difficile godere della visione di un film, immerso in un acro cubico di oscurità, all’interno del grande cinema al centro di Des Moines. Dopo vent’anni di Inghilterra era ritornato negli Stati Uniti, dov’è nato, e li aveva trovati cambiati, era cambiato lui. Non ci crederete ma da piccoli, a Des Moines, poteva capitare di provare acri cubici di felicità.

Nota: Il post è stato modificato dall’autore il giorno 24/07/2020, alle ore 12.20, per rimuovere un informazione risultata imprecisa alla luce della discussione riportata nei commenti.

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3 risposte su “Un ettaro di felicità

  • R Good

    Peppe, alla nascita i cani hanno temperatura corporea inferiore di quella che avranno da adulti, un cucciolo di 2 settimane, del peso di 1 kg, potrebbe avere una temperatura corporea di 310 kelvin ed essere perfettamente sano.
    Saluti e grazie.

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    • peppe

      grazie mille per il commento. Io mi son fidato dei dati riportati in un articolo scritto da una giornalista scientifica (a questo link https://www.ideegreen.it/temperatura-corporea-dei-cani-51946.html) ma mi sa che ho fatto male anche perchè, stimolato dalla tua osservazione, ho cercato ancora e trovato altri post in linea con quanto affermi e cioè che un cucciolo (e infatti un beagle di 1 kg può benissimo essere avere due settimane di vita) ha una temperatura compresa tra i 35 e i 38 gradi (altri dicono tra i 34,4 e i 36,1). Finchè non troverò una tabella fatta come dio comanda non avrò pace 🙂

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    • peppe

      Eccomi coi dati (commento di pubblica utilità). Un cucciolo, dalla nascita a una settimana di vita ha una temperatura compresa tra 35,0 e 37,2 gradi centigradi; se ha tra due e tre settimane di vita (il nostro caso) la sua temperaturà è compresa nell’intervallo tra 36,1 e 37,7 gradi; a 4 settimane sta tra i 37,2 e i 38,3 gradi. Fonte: Rickard, Valeria. “Birth and the First 24 Hours.” Small Animal Pediatrics: The First 12 Months of Life, edited by Michael E. Peterson and Michelle A. Kutzler, Elsevier Saunders, 2011, pp.11-19. Conclusione: un cucciolo di un chilo può avere meno di 37 gradi ed essere in salute.

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