Sotto un cielo blu mazurka (quando le bombe le mettevano davvero gli anarchici)

Boris Battaglia | Crocevia di libertà |

«lontan da te
è morir d’amor
perché sei tu
che mi hai rubato il cuor»

Franz Lehár

L’esplosione è di una violenza senza precedenti. Il fragore della detonazione viene sentito in quasi tutta la città. Un ordigno esplosivo di inusitata potenza, realizzato con 160 candelotti di nitroglicerina (anche se Alfred Nobel ha stabilizzato l’esplosivo sintetizzato da Ascanio Sobrero, dandogli il famosissimo nome di dinamite, da almeno 50 anni, di questi tempi si usano ancora quelle instabili e devastanti gelatine), racchiusi in una cesta ricoperta con paglia e bottiglie vuote, è stato piazzato in un angolo dell’ingresso riservato agli artisti del teatro Diana, in via Paolo Mascagni.
Sono le 22.40 del 23 marzo 1921. Il pubblico del teatro sta riprendendo il proprio posto per godersi l’ultimo atto dell’operetta Mazurka Blu, il recente successo internazionale del compositore più in voga del momento: Franz Lehàr, su testi di Leo Stein (gli stessi autori, per darti l’idea, di un successo come la Vedova Allegra).

L’esplosione frantuma il muro esterno, investendo la buca dell’orchestra e le prime file della platea. È una strage. Tra le macerie restano 80 feriti e 17 morti (che saliranno a 21 nei giorni successivi).
Le cronache dei giorni seguenti raccontano che agenti intervenuti prontamente sul luogo, nonostante la concitazione degli eventi, fermano un sospetto che si era dato stranamente alla fuga dopo l’esplosione. Identificato immediatamente come Giuseppe Boldrini, anarchico individualista, sarà arrestato come autore dell’attentato. Gli agenti, è vero, arrivano velocemente, dalla residenza del questore di Milano Giovanni Gasti, che abitava non molto lontano, ma non fermano il Boldrini perché stava scappando. Figurati! Dopo una simile esplosione, se uno si trova nei pressi, è naturale scappare per mettersi al riparo. Il fuggi-fuggi sarà stato totale.
In realtà Giuseppe Boldrini viene subito bloccato perché è impossibile per qualsiasi agente di polizia, non riconoscerlo. È un anarchico individualista, ben noto alla questura milanese, ma non è che ogni agente conosca a memoria le foto segnaletiche di tutti gli anarchici schedati. Però Giuseppe Boldrini non puoi dimenticartelo più, una volta che lo hai visto. Il suo volto sembra fatto di cera sciolta. Qualche anno prima è sopravvissuto a un terribile incidente automobilistico, avvenuto durante una fuga, che gli ha però devastato il volto. Per questo gli agenti sopraggiunti sanno subito chi è.

L’esplosione, ti ho detto, squassa violentemente il silenzio serale della città. I fascisti di stanza nel famigerato “Covo numero 1”, i locali di una vecchia osteria in via Cerva 23, a due passi da San Babila, sorpresi dal boato nonostante i loro abituali schiamazzi, corrono subito sul luogo. Appena apprendono che è stato fermato un sospetto e che è un anarchico, organizzano – in meno di un’ora – squadre per spedizioni punitive contro le sedi sindacali anarchiche e in particolare contro la sede di “Umanità Nova”, che sta in via Goldoni 3, non molto lontana da Porta Venezia. Infatti se dalla sede dell’attentato scendiamo per Viale Piave verso Corso Monforte, la terza traversa che incontriamo sulla destra è proprio Via Goldoni, e il civico 3 è subito lì. Oggi ci trovi un ristorante, ma negli anni Venti c’era una tipografia dove si componeva e stampava il principale quotidiano anarchico (parliamo, a quel tempo, di una diffusione di 50.000 copie).

Mentre le squadracce fasciste caracollano sulle loro Fiat 501 convergendo verso la redazione di “Umanità Nova” da Via Majno e da Corso Monforte, noi ci attardiamo ancora un attimo qui, tra le macerie del Diana, che devo raccontarti ancora delle cose su questo sanguinoso attentato. Ci passiamo dopo da Via Goldoni, ad assistere inermi alla devastazione della sede del giornale fondato, proprio qui a Milano, il 27 febbraio 1920, da Errico Malatesta, Nella Giacomelli, e Ettore Molinari.
C’è stato un tempo in cui gli anarchici, purtroppo, le bombe le mettevano davvero. Te l’ho detto che l’anarchia non è una cosa semplice, e ha i suoi lati oscuri. In questo 23 marzo del 1921 ha la responsabilità di 17 morti innocenti con cui fare i conti.

Giuseppe Boldrini era stato veramente l’uomo che aveva costruito e posizionato la bomba, insieme a due complici: Ettore Aguggini e Giuseppe Mariani. Tutti anarchici vicini al gruppo di Bruno Filippi. Emulo di Emile Henry, Filippi fu, insieme a Renzo Novatore, l’animatore dell’anarcoindividualismo, e attraverso la rivista “Iconoclasta”, teorizzava l’attentato terroristico come atto dimostrativo. Quando i suoi “discepoli” compiono l’attentato del Diana, era già morto da due anni, dilaniato dall’esplosione di un ordigno che stava trasportando in Galleria Vittorio Emanuele, per far saltare il Caffè Biffi.
Le intenzioni di Boldrini e dei suoi complici, quando progettarono quella che sarà ricordata come la più grande strage terroristica del primo dopoguerra, erano duplici: colpire l’abitazione del questore di Milano e creare le condizioni per la scarcerazione di Malatesta (che, ma lo vedremo nel prossimo capitolo, era in carcere dal novembre dell’anno prima) attraverso un’insurrezione citatdina scatenata dall’attentato. Non ottennero nulla di questo. Anzi, ottennero l’effetto contrario. Questo attentato segna la fine dell’anarchismo organizzato milanese fino alla fine della guerra. L’unico anarchismo che resterà attivo a Milano sarà quello che ispirò banditi come Sante Pollastri e lo stesso Novatore, e che avrà strascichi nella storia del banditismo milanese degli anni Cinquanta e Sessanta.
Boldrini e Mariani saranno condannati all’ergastolo. Aguggini a 30 anni, ma morirà in carcere nel 1929. Mariani incarcerato a Santo Stefano, verrà amnistiato dopo la guerra; Boldrini invece sarà trasferito da un carcere all’altro, per motivi di salute, finché, in piena guerra, durante un trasferimento verso il carcere di Parma si perdono completamente le sue tracce. Diverse sono le leggende sulla sua fine. Ma non abbiamo il tempo perché te le racconti. Dobbiamo andare.

E mentre camminiamo verso Via Goldoni sentiamo le grida e i rumori dell’assalto fascista alla redazione del quotidiano anarchico. Affrettiamoci dai, o rischiamo di trovare solo altre macerie.

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2 risposte su “Sotto un cielo blu mazurka (quando le bombe le mettevano davvero gli anarchici)

  • Aleardo Paolo Caliari

    Dato che l’Operetta è un genere di teatro borghese e chi la suona e la canta, così come chi la va’ a vedere sono “sporchi borghesi” a distanza di Cento anni “La Mazurka Blu” di Franzx Lehar, mai più rappresentata dopo l’orrendo attentato del 23 marzo 1921, tornerà in scena al TEATRO DELLA MEMORIA Domenica 21 Marzo 2021 – sperando che nessuno ci metta una bomba !

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    • Boris Battaglia

      Sono contento, prima di tutto che riaprano le scene, a prescindere da quello che ci si rappresenta. Più che essere “sporchi borghesi” quelli che oggi pagano un biglietto per godersi un’operetta, mi suscitano qualche perplessità sulla loro capacità di stare a proprio agio nella contemporaneità (non ti dico cosa penso di quelli che seguono la lirica).

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