Dài a un uomo una pistola e può rapinare una banca. Dài a un uomo una banca e può rapinare il mondo.

Arabella Strange | Strani anelli |

Odio le banche. È un odio antico e infantile, inestirpabile.
A casa nostra, famiglia medio borghese, padre dirigente di ente locale e madre casalinga, la paghetta settimanale non è mai esistita. Mia sorella e io provavamo a chiedere, animate da un desiderio di equità – tutti i nostri amici prendevano la paghetta, ergo era un desiderio legittimo – di ricevere qualcosa, c’erano le lire, 500 lire sono l’equivalente di 25 centesimi, erano richieste miserevoli. Ma mio padre, il detentore di tutto il sapere e il controllo economico della casa. Diceva «no». Diceva «dopo», poi diceva «no». Ogni volta pensavamo, dai, stavolta ce li dà, i soldi. Ma quell’uomo è riuscito a evitare di darci la paghetta ogni singola domenica della nostra vita insieme. Però, ogni tanto, dei soldi arrivavano: i nostri parenti ricchi a natale, o il giorno del nostro compleanno, o perché era domenica, ci davano delle banconotine da 500 lire, 1,000, e quando tornavamo a casa con quei biglietti sudati stretti nel pugno mio padre compariva con la “cassettina”. Era un oggetto pesantissimo, di ferro, color viola scuro, con una fessura in alto e una specie di maniglietta. Non era un salvadanaio: non si poteva aprire se non in banca. La cassettina della Cassa Rurale di N. Mi ricordo il peso, crescente negli anni, mi ricordo la riluttanza con cui infilavamo le nostre mance nella fessura e le vedevamo scomparire. Dentro la cassettina era buio. Se la scuotevi forte sentivi anche qualche moneta accomodarsi. Ogni volta che tornavamo a casa da queste visite speravamo che mio padre si dimenticasse, ma la cassettina era inesorabile, «bambine, mettete dentro i vostri soldi», noi ubbidivamo e poi guardavamo con struggimento mentre veniva rimessa sulla mensola. Cassa Rurale di N. Mi vengono i brividi di fastidio ancora oggi. Quando avevo circa 15 anni, e mia sorella 11, la cassettina è stata aperta – non davanti a noi, almeno avremmo avuto un momento da Zio Paperone, con monete e banconote sparse su un tavolo, fosse anche quello del contabile della Cassa Rurale – e con il contenuto i miei genitori hanno comprato delle mensole per la nostra stanza. Quando ce l’hanno detto non credo nemmeno che abbiamo reagito, ricordo però una crisi di riso condivisa in camera, già allora il delirio della situazione ci era chiaro. Ci avevano portato via le nostre mille lire per anni per comprare delle mensole. Io vorrei averla, quella cassettina metallica vuota, per lanciarla nel Po gridando «Il denaro è lo sterco del demonio», oppure «diomadonna», o la poesia di Larking «Mamma e papà ti fottono». Sentirei il plunk di quando affonda con piacere fisico, ancora oggi.

Dovrei dire anche che odio i soldi. Sono perennemente sull’orlo del tracollo. Il mio psicanalista mi ha fatto notare che tratto i soldi come merda: me ne devo liberare prima possibile. Quando si poteva, prendevo lo stipendio in contanti, li infilavo in un cassetto, con un livello di sicurezza pochissimo efficace, ma potevo rendermi conto di quanto avevo speso, di quanto mi rimaneva. Erano lì, pezzi di carta, solidi, liquidi nel comportamento ma li potevo contare. Poi la legge ha imposto ai dipendenti degli enti pubblici di depositare lo stipendio su un conto corrente. Per me è stato l’inizio della fine. Se non li vedo, non esistono. Se devo visualizzare una pagina su un sito web per capire se mi restano dei soldi, mi sento subito stanchissima. Sono un’astrazione. Che governa le nostre vite, le distrugge a volte, ma sono, nella mia mente, illusioni. Sono una convenzione, ma se nella meccanica quantistica a volte vale la pena di prendere atto di un meccanismo anche se non se ne capisce ancora la causa, coi soldi è il contrario: il sistema non funziona, ma gli economisti ci spiegano perché dovrebbe funzionare. Il denaro è da sempre oggetto simbolico, ma la sua materialità era rassicurante, Ora con denaro immateriale compriamo beni immateriali, o addirittura riceviamo gratuitamente i beni immateriali (una app, per esempio) in cambio di altri tipi di pagamento immateriale, come la possibilità di estrarre i nostri dati personali. Per un cervello come il mio, è sbigottimento quotidiano. Arbitrarietà pura. Ho anche la sensazione che questa smaterializzazione del processo – soldi uguale beni e servizi – sia connessa con la miopia con cui altre necessità  immateriali sono ignorate, come il benessere, la gioia, la dignità, il piacere, la relazione, la scoperta. Si vede molto bene durante questo lockdown 2021: si può fare tutto, purché sia lavorare e consumare. Gli spettacoli, i concerti, gli incontri che abbiamo perduto in quest’ultimo anno rivelano una sorta di orwelliano «tutti i beni sono immateriali, ma alcuni sono più immateriali di altri».

Eppure c’è una banca che ho amato. Altrettanto fondamentale, nella formazione del mio immaginario, della cassettina della Cassa Rurale, la Bailey Brothers Building and Loan di Bedford Falls. Nel 1938 un autore di libri storici della Pensylvania, Philip Van Doren Stern, si sveglia da un sogno che ricorda A Christmas’ Carol di Charles Dickens. Trascrive la storia, la sistema, la intitola The Greatest Gift e nel 1943 la pubblica, inizialmente a proprie spese, poi vendendola riviste come “Good Housekeeping”. Una di queste riviste, e mi piacerebbe che fosse “Good Housekeeping”, finisce in mano al produttore della RKO David Hempstead, che la fa vedere a Cary Grant, Grant è interessato al ruolo principale e la RKO, nel 1944, compra i diritti della storia per 10,000 dollari, poco meno di 150.000 dollari odierni. Tira e molla, il film non si fa, e per gli stessi 10.000 dollari la RKO rivende i diritti alla Liberty Films di Frank Capra. Bum! James Stewart accetta il ruolo principale e nel 1946 esce It’s a Wonderful Life, Gli incassi derivati da questo film sono incalcolabili. Io l’ho guardato almeno trenta volte, forse di più. Lo adoro: Bedford Falls, modellata sulla cittadina di Califon, New Jersey del tempo, era il luogo del combattimento tra la luce e le tenebre per me, pur essendo un film natalizio per famiglie aveva una patina oscura, cupamente drammatica. Ora l’ho ridimensionata – in parte, perché Clarence l’angelo per me è assolutamente plausibile e reale – nel luogo della lotta del capitalista malvagio contro il capitalista solidale. La banca del film, la Bailey Brothers Building and Loan, è un’azienda a conduzione familiare, stressantissima, gestita da tre o quattro persone che ci perdono il sonno, ma riesce a concedere mutui per edilizia popolare trasformando il volto della cittadina, svuotando  i quartieri malsani, fornendo case agli immigrati. I loro soldi sono materiali. Quando la grande crisi porterà la folla terrorizzata a riversarsi in banca per ritirare i propri risparmi George Bailey, il protagonista, si rivolge alla folla come a un gruppo di amici e vicini di casa, ricordando che i loro soldi sono investiti nella casa di John, Paul, George…. gente che conoscono, case che possono vedere: e quando la rivolta è sedata e la banca riesce a chiudere i battenti all’ora regolare, invece di sbarrare i portoni come hanno fatto molte altre banche, la famiglia Bailey e l’impiegata devota ripongono i due biglietti da un dollaro residui nella cassaforte facendo un balletto di gioia. Quei due dollari sono tangibili. Li vediamo in un cestino. Sono stropicciati, realistici, concreti. Poi il film ha un arco narrativo che adoro, e credo tutti conoscano. Il viaggio tenebroso nel “mondo senza di te” che George compie insieme all’angelo Clarence, che poi è un viaggio in un mondo più povero, più indurito dalla miseria, non smette di affascinarmi. Clarence non è il fantasma dei natali futuri, con la morte che incombe, è ciarliero e amichevole, perché ci porta in un mondo senza morte, perché senza vita. Un mondo parallelo. L’ucronia più piccola che ci sia: un mondo in cui manchi solo tu. Eppure, tesi del film, anche quest’unica assenza, sei hai lavorato, se hai costruito, se hai avuto la responsabilità dei soldi degli altri e l’hai gestita con correttezza, stravolge il mondo. Camposanti desolati dove dovrebbero sorgere villette a schiera. I soldi ci sono, e qualcuno deve occuparsene. Se è un martire santo che antepone l’interesse della collettività al proprio, il sistema funziona,

Ecco, io alla Bailey Brothers Building and Loan ci andrei. Come ripiego ho scelto la Banca Etica. Almeno so che non ci depositano soldi i mercenari lombardi.
Perché, per il resto, io odio le banche,
Lo odio come i bambini Banks in Mary Poppins: perché devo mettere il mio soldo in una cassaforte? Io voglio comprare il mangime per i piccioni. Voglio vedere che qualcosa cambia, e non parlo delle cifre dell’estratto conto.

Ovviamente mi entusiasmano i film in cui vengono portate a termine rapine clamorose. In Point Break di Kathryn Bigelow l’adrenalina scorre nelle scene di surf, in quelle dei lanci col paracadute, ma mai gioiosa come durante le rapine in banca con le – iconiche – maschere degli ex Presidenti degli Stati Uniti. È un’invenzione brillante, i padri della patria che rapinano le loro stesse banche. Il cortocircuito è perfetto: un’azione che si divora da sé. L'(anti)eroe finisce male, l’eroe poliziotto perde la fiducia nel distintivo. Alla fine è evidente come più dei soldi conti il surf: vita, filosofia, esperienza, Roba che non puoi pagare. 

Tendenzialmente gli eroi rapinatori finiscono male. Avevo un disco a 45 giri da piccola, era una canzonetta su Bonny and Clyde, cantata con un accento americano buffissimo «Bonnie and Clyde per un’informazione, si trovan prigionieri non si può scappare, sparano ma, i mitra sono tanti, e quattrocento colpi sono ancor di più…». Non so se i colpi erano 400, forse mi confondo con Truffaut. Poi, da grande, una canzone mi ha scagliata dal clima da operetta del mio 45 giri a una storia struggente di amore e sconfitta: Bonnie and Clyde, cantata da Serge Gainsbourg e Brigitte Bardot. Sarà che il loro è stato un amore travolgente, di due che si conoscono dietro le quinte di uno show televisivo, mollano i rispettivi partner e per un po’ creano una delle coppie più carismatiche dell’universo. La canzone trasuda sintonia, passione, quell’incombere della tragedia che si insinua in tutte le cose perfette. Bardot lascerà un Gainsbourg disperato per tornare dal marito, e Bonnie Parker e Clyde Barrow nella canzone ovviamente finiscono male. Lui e lei una volta non potevano rapinare banche per sempre e vivere felici. Le probabilità erano minime, Fossero stati due uomini già la statistica sarebbe stata più favorevole: ma la donna rapinatrice, armata, è giusto un gradino sopra la strega. È troppo inquietante per la società. Va annientata, poi ci si può sfogare a scrivere canzoni.
In italiano Banca è femminile. La rapinatrice e la banca condividono un genere, nel discorso, che è contraddittorio. Avrebbe più senso che il granaio fosse femminile. La banca è un regno di uomini. Molti infelici, alcuni ricchi. Avete mai conosciuto qualcuno felice di lavorare in banca? Da piccola confondevo banchieri e bancari. Adesso ho capito: i bancari sono quelli infelici, i banchieri quelli ricchi. Dice Charlie Munger, dirigente della Berkshire Hathaway inc. : «Non penso che ci si possa fidare di un banchiere che controlla se stesso: sono come dipendenti dall’eroina».  E Tyrell Wellick, CEO della E Corp in Mr Robot, una serie che, almeno all’inizio, ha parlato in modo esplicito e scandaloso di finanza, debito, violenza e struttura sociale, si esprime in modo ancora più netto: «Dài a un uomo una pistola e può rapinare una banca. Dài a un uomo una banca e può rapinare il mondo.»

E mi tocca pure vedere le scritte nere della destra sociale sullo spartitraffico per andare in biblioteca: «La Tua Amica Banca Ti Ucciderà». E essere d’accordo. E inferocirmi perché la parte politica a cui faccio riferimento non è così tranchant. E sentire reflusso gastroesofageo e dissonanza cognitiva.
Poi subentra un senso di distanza assoluta: ragazzi: la vostra amica banca.
Perché io, le banche, le odio.


Questo strano anello si compone di:

  • Philip Larking, Sia questo il verso, raccolta in Finestre alte, Einaudi, 2002.
  • George Orwell, La fattoria degli animali, un tempo avremmo detto Mondadori, ma da qualche giorno Orwell è nel public domain e quindi lo si troverà presto in tante edizioni diverse.
  • Philip Van Doren Stern, Il regalo più grande, Piemme, 2017.
  • La vita è meravigliosa di Frank Capra, 1946.
  • Mary Poppins di Robert Stevenson, 1964.
  • Point Break di Kathryn Bigelow, 1991.
  • Serge Gainsbourg e Brigitte Bardot, Bonnie and Clyde, 1968,
  • Mr. Robot di Sam Esmall, 2015-2019,

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