Paperi e capitale: riproduzione sessuale e imagineering

Paolo Valeri | Antropocomics |

A che punto eravamo arrivati? Ah, già, dicevamo dei paperi: Paperino, Qui, Quo, Qua e Zio Paperone. Dicevamo che alla base, nascosta sotto le loro storie, sembra esserci proprio quell’accumulo per espropriazione che ha permesso al mondo in cui viviamo di crescere e prosperare. 

Eppure, una volta finita l’avventura, tutto arriva nel deposito di Paperone dove anche il residuo attaccamento al passato degli oggetti sparisce: il tesoro viene immediatamente convertito in moneta liquida e sonante. Nel deposito perdiamo le tracce dei manufatti che potrebbero disturbare il corso delle allegre nuotate di Zio Paperone. Il suo oro è puro, innocente, neutro: come le nostre scarpe e i nostri elettrodomestici, o come il flusso di capitale finanziario che muove la politica mondiale e ignora la sostanza stessa di cui si nutre.

Il problema dell’accumulo, però, investe anche l’altra grande mistificazione del mondo dei paperi, la riproduzione sessuale. È dalle analisi di Claude Meillassoux che sappiamo quanto l’assetto capitalistico non nasca nel vuoto ma tragga il proprio sostentamento dai modi di produzione preesistenti, quello che lo stesso antropologo ed economista francese definisce modo di produzione domestico ha il suo centro nella possibilità di controllare le “produttrici di produttori”, di fatto la riproduzione stessa della forza lavoro. Nel mondo dei paperi persino questo basilare meccanismo di accumulazione originaria sparisce, lasciandoci quell’intricato albero genealogico pieno di buchi colmato con sapienza certosina da Don Rosa. L’ultima incarnazione televisiva dei DuckTales, andata in onda tra il 2017 e il 2021, ha il pregio di lavorare proprio in questi interstizi invisibili dei legami familiari per raccontare come e quanto l’avventura, e quindi l’espropriazione, abbia cancellato non tanto la famiglia come cellula sociale borghese, ma proprio gli stessi legami familiari.

Ma se vogliamo arrivare al cuore del legame che unisce le storie dei paperi, il topo più famoso del mondo e le mille ramificazioni del mondo disneyano al nostro vacillante sistema-mondo, dobbiamo guardare all’Imagineering. Parola nata dalla crasi tra immaginazione e ingegneria definisce la realizzazione di idee creative in forma pratica. Il termine fu coniato dal principale produttore di alluminio americano nel 1940 ma è dal 1990 che è registrato come marchio da Disney Enterprises Inc., Disney l’ha fatta propria perché nulla potrebbe definire meglio la sua filosofia: creare mondi di fantasia con l’ausilio della tecnologia. Il culmine di questa filosofia, ovviamente, è il primo e più famoso parco divertimenti del mondo: Disneyland.

In America l’idea del parco a tema è ovunque: su tutti, Las Vegas con i suoi grandi hotel che riproducono l’Egitto, il Medioevo, i Caraibi con tanto di pirati, l’antica Roma o le calli di Venezia. Ma la nostra stessa Venezia italiana, preservata dal cambiamento climatico in quella teca poco funzionale che è il M.O.S.E., è autenticamente falsa. Superando l’idea di iperrealtà di Umberto Eco – un prodotto della fantasia e dell’immaginazione a cui, data l’assenza di un originale, non sono applicabili attributi vero/falso – e di realtà iperbolica e simulacro cara a Jean Baudrillard, possiamo parlare di luoghi ed esperienze in cui l’attributo di verità è irrilevante al cospetto di un’esperienza emotiva. Eric Cohen, che guardava al fenomeno turistico, ha definito la ricerca dell’autenticità come un valore moderno in cui tentiamo di sanare la frattura tra noi e la società: autenticità, non verità, diventa il modo con cui costruiamo i nostri mondi.

L’Imagineering plasma il reale per renderlo digeribile ben oltre i confini di Disneyland, allo stesso modo in cui i fenomeni di gentrificazione eliminano la povertà e il disagio da quei parchi a tema che sono le nostre città per darci esperienze autentiche di sicurezza, bellezza e sostenibilità. Esperienze tuttavia irrimediabilmente false. Il mondo dell’ingegneria creativa è il mondo dei paperi all’ennesima potenza, ed è il nostro mondo.

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