Sono più giovane di “Linus”. Di tre anni. Un’inezia. Siamo praticamente cresciuti insieme. Anche se è il prodotto di una banda di fottuti borghesi (quelli che, pur appartenendo alla loro classe, ho odiato per almeno due decenni della mia vita) è stato un grande prodotto, persino quando lo ha preso in mano, fregandolo a un buon giocatore di poker come OdB, Fulvia Serra riducendolo da vera rivista a una cosa in formato “Reader’s Digest” – non le ho mai attribuito particolare intelligenza, ma un notevole istinto, e probabilmente aveva già capito che quello era il formato giusto per far credere ai suoi lettori scolarizzati e progressisti che leggere fumetti valesse quasi come leggere romanzi. Hanno addirittura lo stesso formato!
-per inciso, io credo che leggere romanzi non valga un cazzo, molto meno almeno del fare qualsiasi altra cosa, e soprattuto del leggere fumetti, ma io non ho mai diretto “Linus”, Fulvia Serra sì.
Comunque. “Linus” è più vecchio di me di tre anni e in questo 2025 ne ha compiuti 60. Di tutte le riviste che hanno attraversato la mia vita è forse quella che ho amato di meno, ma è l’unica che è ancora viva. D’accordo, siamo ai limiti dell’accanimento terapeutico, ma che esca in edicola è un dato di fatto.
Per questo compleanno intubato, hanno avuto la meravigliosa idea di allestire una mostra a Brera. Se dell’ultimo quarto di secolo della testata sarebbe meglio dimenticarsi, dei trent’anni precedenti la nostra memoria non può farne a meno e una mostra che avesse stigmatizzato quella rilevanza culturale (per quanto non capisse un cazzo di fumetti, nel ventennio che l’ha diretta Fulvia Serra ne ha sempre tenuto il timone nel centro della tempesta che squassava il nostro immaginario, cosa che Igort non azzecca in un numero a caso manco per sbaglio) sarebbe stata auspicabile.
Quando ho notizia che nel cortile della Pinacoteca hanno allestito una mostra sui sessant’anni di “Linus”, e sui 50 anni della Pimpa, nonostante il disprezzo che porto a quel quadrilatero, lascio il bar della mia piazza e vado a vederla.
Non ti dico le bestemmie che ho tirato. La faccio vedere anche a te. Questa è la mostra dedicata ai 50 anni dell’attività di Altan, con Pimpa e Ciputti!


Tra l’altro, a guardarle così, un po’ superficialmente, quelle illustrazioni mi ricordano più il buon Agostino Traini che il suo maestro Altan, ma sono io che penso male.
Giro la colonna e mi trovo davanti al grandioso allestimento per il compleanno di “Linus”.




Sotto un mezzo colonnato tutte le 712 copertine della rivista. L’anno scorso, più o meno in questi giorni, visitando la mostra al Beaubourg di Paname mi chiedevo perché i mangiarane non avessero incluso “Linus” tra le riviste fondative della storia del fumetto. Beh, la risposta me l’hanno data oggi tre persone (Marcello Garofalo che non ho la più pallida idea di chi sia, Elisabetta Sgarbi che vabbè di idee su chi è ne ho in abbondanza, e Igort che mi sembra di “Linus” sia l’attuale direttore) che non si vergognano di far comparire i loro nomi come responsabili di questa mancolista che hanno chiamato mostra.

Brera mette la vostra lista di copertine in un angolo del portico (non lo dico a caso, perché ho faticato a trovarli, a tre gradini dai cessi): cazzo volete che potesse fregargliene di voi al Beaubourg!
Fossi ancora un metalmeccanico e non un professionista della cultura, vi avrei maledetto per il tempo che mi avete fatto buttare. Ma ormai di tempo ne ho da regalare al mio vecchio io. Faccio traduzioni e postfazioni, cose che risolviamo tutti in due, tre serate millantando che però ci ho messo tutta la mia vita precedente per imparare a farle e quindi mi vanno pagate non solo le risibili ore che ci metto a farle, ma anche i decenni che ci ho messo a imparare a farle. L’avessi detto ai tempi che ero metalmeccanico, che non dovevano pagarmi solo le ore che lavoravo ma anche quelle che avevo impiegato a imparare a lavorare, mi spedivano a casa subito. Non è giusto, ma è così. Spero che a chi ha allestito questa mostra gli abbiano almeno offerto una birra.
Magari non in Brera che costa una roba giusta solo per pelare (manco se ne accorgono) i turisti russi, americani, tedeschi e giapponesi. Ma al baretto cinese davanti a Cadorna, dove sono andato a bermela io, per farmene una ragione e non pensare di avere buttato un pomeriggio.

Non fa un cazzo da anni, ma è invecchiato lo stesso. Vive a Milano, e non potrebbe farlo in nessun’altra città italiana. Legge e parla di fumetti dal 1972 (anno in cui ancora non sapeva leggere). Ha una cattiva reputazione, ma non per merito suo. Ama e praticava la boxe, poi si è rotto. Beve tanto in compagnia di gente poco raccomandabile, tipo Paolo con il quale – per colpa di una di quelle bevute – si è ritrovato a curare QUASI.