disegno di Titti Demi

La ricotta non è un formaggio. Lo sappiamo bene. È un prodotto caseario. Per chi, come noi, gode di un’assoluta intolleranza al lattosio, non c’è grande differenza.
Si sente furba la redazione di QUASI a dedicare un mese al formaggio per omaggiare il cinquantesimo compleanno di una rivista francese pubblicata da un editore che proprio al formaggio doveva il suo nome. Abbiamo preso possesso di questo spazio finora dedicato a musichette insopportabili, scelte da una banda di persone tutte attente a sembrare colte, intelligenti e di buon gusto.
Come diceva il principe De Curtis, signori si nasce. E noi lo nacquimo, modestia a parte.

Si atteggiano a storici e pensano sempre ai fumetti. I fumetti li guardiamo, come ogni altra cosa, solo se ci fanno godere. Se non è così, ce ne stropicciamo e pensiamo ad altro che ci produca piacere. Per esempio, sentendo dire di formaggio il nostro pensiero corre al mugnaio Menocchio. Ci piace immaginare che, mentre il suo latte si trasformava in formaggio, cantasse questa allegra canzone.

Domenico Scandella, detto Menocchio, è l’imputato di un processo di inquisizione studiato da Carlo Ginzburg quarantasei anni fa. Bastava aspettare un po’ e si poteva dedicare a lui il mese di QUASI e non a quella rivista. A lui e alla sua straordinaria cosmogonia.

«Io ho detto che, quanto al mio pensier et creder, tutto era un caos, cioè terra, aere, acqua et foco insieme; et quel volume andando cosí fece una massa, aponto come si fa il formazo nel latte, et in quel deventorno vermi, et quelli furno li angeli; et la santissima maestà volse che quel fosse Dio et li angeli; et tra quel numero de angeli ve era ancho Dio creato anchora lui da quella massa in quel medesmo tempo, et fu fatto signor con quattro capitani, Lucivello, Michael, Gabriel et Rafael. Qual Lucibello volse farsi signor alla comparation del re, che era la maestà de Dio, et per la sua superbia Iddio commandò che fusse scaciato dal cielo con tutto il suo ordine et la sua compagnia; et questo Dio fece poi Adamo et Eva, et il populo in gran multitudine per impir quelle sedie delli angeli scacciati. La qual multitudine, non facendo li commandamenti de Dio, mandò il suo figliol, il quale li Giudei lo presero, et fu crucifísso.»

C’è in Menocchio questa idea bellissima di Dio creato da qualcosa di superiore, un mugnaio onnipotente, al pari degli angeli. E a quel punto, deve battersi con Lucifero per garantirsi una posizione di comando. Gli inquisitori cui raccontava questa storia meravigliosa non avevano alcuna propensione alla bellezza. Lo condannarono a morte. Ci dispiace non aver mai incrociato un Menocchio sul nostro cammino: ci saremmo divertiti molto.

C’è sempre piaciuto chi conosce la bella vita, chi non rimane a guardia del sagrato, chi sceglie di seguire il proprio desiderio. Ecco. Siamo corpi desideranti. Ci infiliamo in relazioni asfittiche che ci strozzano. Convinti di dover assecondare dei doveri, al meglio delle nostre possibilità, non ascoltiamo la nostra volontà. Poi basta un incontro casuale, alla fermata dell’autobus, una cena, due notti di sesso e ci riscopriamo corpi desideranti. Lo sentiamo sulla pelle, nei nervi, nello scroto, sulla clitoride. Il topo è nel formaggio.

La figlia di Menocchio, di cui la storia non dice nulla, è il soggetto dei nostri dei nostri desideri. Cosa ci importa dell’intolleranza e del lattosio. Possiamo sentirci malissimo, sopravvivere al ventre gonfio, ai gas e all’aerofagia. La volontà rende possibile anche ciò che non possiamo e, soprattutto, ciò che non dobbiamo. E lei può agire i suoi desideri più reconditi sui nostri corpi. Le garantiamo tempo, spazio e abbondanza.

Ci illudiamo che liberare i nostri istinti ci conduca in un posto privo di rischi. In cui la nostra vita sia al sicuro. I nostri corpi desiderati. E tutti vogliano solo darci soddisfazione.

E poi, quella rivista, l’abbiamo amata e l’amiamo ancora oggi. La compriamo tutte le volte che possiamo e godiamo di quei servizi scemi e volgari che parlano di sesso. Perché, in fondo, tutti vorrebbero essere «bête et méchant». Convivere con la propria scemenza e con la propria volgarità, con piena soddisfazione, è molto più difficile. Bisogna esser nati signori.

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(Quasi)