Strappi

Boris e Paolo | QUASI |

Il rumore dello strappo ti si infiggeva con precisione nell’orecchio. Quando lo sentivi, con chiarezza, un brivido ti attraversava le vertebre in prossimità della cervicale. Soffocavi la bestemmia tra le labbra e dovevi capire quanto era esteso il danno. Se avevi avuto fortuna, non troppo. Ti bastava smettere di sollevare il braccio per tutta la sera o muoverti a piccoli passi controllati e interrotti. Se ti aveva detto sfiga, ti toccava rimanere seduto, con le braccia conserte e le spalle appoggiate allo schienale. Sorrisi impacciati e rossore a imporporare le guance.
Poi l’adolescenza, almeno come fase dello sviluppo umano, è finita. Se la fortuna ti è stata accanto o se hai preso un numero adeguato di sbronze, crescendo hai smesso di vergognarti della tua goffaggine e hai imparato a tollerare i tuoi abiti quando cedono. In fondo è solo stoffa che, posta in tensione, ha perso saldezza. Si è formato un varco, nel tessuto, tra trama e ordito: i due lembi messi in trazione hanno iniziato ad allontanarsi. Il cedimento ha perfino prodotto un suono divertente: una scoreggia rumorosa e inodore che ha aperto nei tuoi pantaloni o nella camicia uno spiraglio da cui entra l’aria della sera. È novembre: inizia a far freddo.

Durante i lunghi mesi del lockdown infinito e del distanziamento coatto, il mercato della lingerie ha subito un tracollo. Chiusi in casa, gli umani hanno smesso di dedicarsi ai rituali di preparazione per le eventualità gioiose che le serate possono regalare. Pare che la biancheria intima sia stata sostituita, nelle preferenze d’acquisto, da tute e pigiami informi. Non appena l’aumento delle temperature e la diminuzione dei contagi hanno reso possibile una vita fuori dalla propria casa, è tornato di moda un capo che stava patendo una crisi quasi decennale: il jeans. La moda Primavera Estate 2021 ci ha restituito i pantaloni in tela genovese. Non certo una novità, ma è interessante osservare come un capo d’abbigliamento che, da qualche tempo, era sempre meno usato è tornato di prepotenza alla ribalta. Che sia, però, strappato con perizia, quasi a voler raccontare un vissuto avventuroso che la clausura domestica ci ha negato.

Uno strappo è anche quello. Non sappiamo con precisione quali fossero le motivazioni di Lucio Fontana quando bucava e tagliava le tele. Sicuramente non cercava di inventare un vissuto travagliato per i suoi materiali di lavoro. Più probabilmente la scelta di lacerare la superficie su cui avrebbe dovuto depositare il colore (o di bucarla o di incastrarci pietre) aveva a che fare con la luce. «Bella forza!», dirai, «Era un pittore e lavorava con la vista: cos’altro avrebbe dovuto fare se non manipolare la luce?» Va bene. Sei un furbetto e vuoi sempre avere l’ultima parola, ma lasciaci fare un’ipotesi. Un pittore, in studio, spesso da solo, per un sacco di ore, con i suoi materiali – pennelli e colori – a battersi con la tela. A un certo punto, la distanza con la superficie su cui depositare pigmenti diventa un vincolo insormontabile. Eppure lo sa che attraversandolo, proprio come farebbe la bambina Alice, avrebbe accesso a un mondo di meraviglie. Tu cosa avresti fatto?

E che dire del sipario? Può essere strappato anche lui, come in quel film di Hitchcock con Paul Newman e Julie Andrews che ci ha sempre annoiati un po’. Forse per il fatto che in italiano quel titolo non faceva riferimento alla cortina di ferro da violare (Torn Curtain, il titolo inglese) e annunciava, come un gigantesco spoiler, la fuga finale in teatro.

Abbiamo scelto di darci “Strappi” come tema del mese perché ci pareva fosse giunto il momento di mettere al centro dei nostri discorsi qualcosa di concreto e materico dopo mesi di metafore. Volevamo una singola parola su cui fosse difficile fraintenderci. Una parola rotonda, bella da dire con la sua sequenza di consonanti rumorosa e onomatopeica.
Eppure, mentre scriviamo questa nota introduttiva a tutti gli articoli che usciranno nel corso di novembre quell’idea concreta – ottimamente definita da qualsiasi dizionario della lingua patria – diventa un recipiente di concetti diversissimi.
Per questo mese vorremmo prometterti assoluta precisione. Ma osserviamo che i contorni del disegno, che avremmo voluti nitidi, sfumano e si offuscano. Eppure dobbiamo trovare il coraggio di farlo.
Inspiriamo, espiriamo, inspiriamo, espiriamo… Cerchiamo di muovere l’addome e non il torace.
Ecco. Siamo pronti.
Ti promettiamo precisione. Ma non assoluta. QUASI.

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(Quasi)