Heels, una serie che parla di ring, di famiglia e di ego: Chi ha scritto questa roba ha capito il wrestling

Beniamino Malacarne | Squared Circle |

A Duffy, una cittadina in culo alla provincia americana, Jack Spade porta avanti la federazione di wrestling del padre morto suicida, Tom “King” Spade. L’eredita paterna, naturalmente, comprende una tonnellata di rotture di coglioni di portata cosmica da gestire. Ace, il fratello minore di Jack, vuole la cintura di campione per iniziare a brillare di luce propria e far fare il salto di qualità alla sua carriera di wrestler. Staci, la moglie di Jack, vorrebbe che il marito trovasse un equilibrio fra la sua passione (che, per inciso, non gli consente di campare visto che di giorno vende tagliaerba) e la famiglia. Charlie, proprietario di una federazione rivale, vorrebbe semplicemente portargli via i talenti migliori e lasciarlo nella polvere. Wild Bill, una stella del wrestling in declino riciclatasi talent scout con seri problemi comportamentali, vorrebbe fare il suo lavoro a discapito di Jack ma poi fa una cazzata e realizza che forse è meglio se con Jack ci lavora, per venir fuori ognuno dai propri casini. Insomma, la vita di Jack Spade non è propriamente delle più lineari, considerando che queste sono solo alcune delle sottotrame principali di Heels, la serie TV sul wrestling con Stephen Amell, il protagonista di Arrow, in onda su Starz, il canale a pagamento associato a Prime Video.

Ora, la serie è scritta bene, ci mancherebbe, con tanta narrazione gestita come si deve in una manciata di puntate, i personaggi funzionano, e anche qui ok, ci sono pure certi camei da mandare in brodo di giuggiole i fan del wrestling, tipo CM Punk e Mick Foley (se sapete chi sono capite che intendo, se non sapete chi sono forse state leggendo questo pezzo perché il wrestling è una roba esotica che vi piace curiosare di tanto in tanto, a ogni modo il punto dell’articolo non è questo ma sappiate che la serie merita), ma niente di questo dà a Heels quel kick in più che ti fa dire wow. In generale le storie sul wrestling funzionano, vedi The Wrestler, vedi Glow, perché si tratta di un’arte che al dramma, ai colpi di scena, alla spettacolarità c’è portata già di suo. Voglio dire, dai, lo sanno anche i sassi che il wrestling è teatro, coreografia, narrazione come piovesse. Quindi già di tutta quella roba lì avvincente che ti tiene incollato ci vive. Però qui la marcia in più sta nel fatto che chi ha scritto la serie ha capito una verità profonda del wrestling. Anche in The Wrestler, ma non così spot on, molto meno in Glow che si gioca ancora la carta dell’esotismo. In Heels, invece, questo aspetto è rappresentato alla perfezione: l’ego. I wrestler, chi scrive parla per esperienza diretta, hanno un ego gigantesco. Ingombrante. Perennemente in erezione. Chi più chi meno, mi ci metto io per primo, noi lottatori di wrestling siamo megalomani e pure un po’ teste di cazzo. Chi più chi meno. Magari poi uno è pure umile, condivido il ring con tante persone che in fin dei conti son dei ragazzi squisiti, ma quel lato lì da qualche parte viene fuori, anche solo per quei sette-dieci minuti in cui sei sul ring a farti una pera dell’adrenalina di quelle cinquanta persone che ti fanno sentire un dio, quella roba lì che giustifica i chilometri e le botte e la puzza di piedi negli spogliatoi.

Ora, Heels di questa roba è pieno. Stipato. Straripante. In ogni puntata una manciata di teste di cazzo con un ego che se gli metti le ruote ti serve la patente da ferroviere per guidarlo si scontrano per tutta una serie di motivi riconducibili… indovina un po’? All’ego. A questo punto uno dice «Eh, ma Randy The Ram Robinson di The Wrestler…» No! Randy The Ram Robinson un par di palle! Lui ha un motivo per fare il coglione. Lui è stato una superstar vera, e vive in una perenne crisi d’astinenza da polvere di stelle. Un uomo distrutto, a ragion veduta. Jack, Ace e tutta la banda no. Loro sono in definitiva persone comuni alle prese con un caso piuttosto serio di sindrome di Tony Manero. Qualcuno ci campa a malapena, qualcuno a un certo punto capisce persino che, con la moglie prossima al parto, questo hobby sotto steroidi lo deve mettere un attimino da parte e pensare a problemi più impellenti. Wild Bill si comporta un po’ à la Randy The Ram Robinson perché anche lui il grande salto a suo tempo lo ha fatto e quindi soffre della stessa crisi d’astinenza. Ma gli altri sono un branco di cazzoni che ci credono forte. Corrono dietro al sogno americano calpestando un po’ tutto e tutti sul loro passaggio. La vita comune va loro stretta, tanto stretta che qualcuno rischia pure di mandarla in vacca, perché sono orgogliosi. Se la sentono calda e il resto conta poco. Perché, lo ribadisco, per dedicarti al wrestling te la devi sentire così. Ci devi credere. Ti devi credere qualcuno a cui vale la pena dar retta per qualche minuto, devi pensare di essere qualcosina più degli altri, nel bene e nel male. Perché la verità al centro di ogni wrestler è quella lì: l’ego. Anche quando tira fuori il peggio di te.

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