Con Alita nel Wasteocene

Monia Marchettini | Io sono un unicorno |

Quando ho letto L’era degli scarti: Cronache dal Wasteocene, la discarica globale, di Marco Armiero (storico dell’ambiente, professore e ricercatore), ho pensato subito ad Alita di Yukito Kishiro. Nel manga il Wasteocene è evidente tanto nei rifiuti della Città Discarica quanto nel rapporto tra quest’ultima e la città sospesa di Salem. Qui vorrei appunto rileggere il fumetto con gli occhiali del Wasteocene, usando come guida il lavoro di Armiero. Non solo questo articolo contiene spoiler, ma ne contiene tanti e fondamentali. Se non hai ancora letto Alita, e sei sensibile alle anticipazioni, fermati qui.

Alita nei rifiuti

Intanto, che accidenti è il Wasteocene? Alita sembra ambientato nel futuro (abbiamo già colonizzato Marte) ma il Wasteocene è l’era nella quale noi viviamo. Adesso.
L’origine della parola è abbastanza chiara; waste significa rifiuto ma è riferito anche all’atto di scartare. Il suffisso –cene invece è quello che si applica alle ere geologiche recenti. Ufficialmente noi saremmo nell’Oligocene, ma riconosciamo anche la definizione di Antropocene (letteralmente “l’era dell’essere umano”) perché ormai sappiamo di essere una forza geologica capace di influenzare i cicli fisico-chimici del nostro pianeta. Secondo Armiero, e molti altri, questa fortunata parola però non indica come li cambiamo. Un’alternativa è Capitalocene, che evidenzia una relazione tra il cambiamento e il sistema economico. Con Wasteocene, Armiero propone di andare ancora più in profondità: la nostra era è basata sulla produzione di scarti (immondizia) ma anche sulle relazioni di scarto (wasting relationships), nelle quali la produzione di profitto si basa sullo sfruttamento delle classi subalterne. Anche le persone, le comunità, i luoghi possono essere scartati.
Il Wasteocene, quindi, crea una narrazione che collega scarti, disuguaglianze e il mondo che stiamo creando intorno a essi.
È qui che nella mente dei lettori di manga esplode il ricordo di Alita.

Alita è un cyborg che il dottor Ito (ex abitante di Salem, una città/paradiso sospesa sopra la terra a cui rifila i suoi scarti) trova tra i rifiuti della discarica. Il suo cervello non è morto, è in dormienza: è stata scartata viva. Ito la ricicla (non c’è termine più esatto), e la fa diventare sua figlia. Il padre adottivo la aiuta a esprimersi e a comprendersi. Con risultati altalenanti. La nostra protagonista non è la sola a essere uno scarto: le macerie in cui i personaggi si muovono sono sia materiali che spirituali.

Alterità e relazioni di scarto

Yugo, un giovane amico di Alita, pur di arrivare a Salem ruba spine dorsali (molto rare nel mercato dei ricambi per cyborg), sfilandole ai loro proprietari per rivenderle. Scopre di essere stato a sua volta truffato, e che non basta pagare per garantirsi l’ingresso a Salem: la città non accoglie esterni ed espelle chi non gradisce. Il ragazzo impazzisce e tenta comunque di raggiungere la città, ma viene fatto a pezzi. La tentazione di colpevolizzare Yugo perché aspira a Salem è forte: non capiamo come possa abbandonare Alita nonostante tutto quello che lei ha fatto per lui. Il desiderio di condanna diventa ancora più urgente quando è Ito a decidere di abbandonare tutti e rinunciare persino ai ricordi: incapace di sopportare la sua condizione di scarto non solo abbandona la Città Discarica, ma consapevolmente si allontana da Alita e da tutti coloro che amava e che lo amavano a loro volta. Colpevolizzare le vittime e dare voce più alla tristezza che alla rabbia è uno dei punti che Armiero cita come fondamentali nell’era degli scarti. Ne abbiamo diversi esempi nel manga: la rabbia e la rivolta portano Yugo a tentare una scalata impossibile verso Salem, che affetta il ragazzo grazie ai suoi sistemi di difesa. In fondo la città sospesa chiarisce perfettamente il suo messaggio: è colpa del ragazzo, sarebbe in vita se non avesse tentato di salire fino a lei. Ito invece rispetta le regole, ci rattristiamo per lui, la sua scelta è quella di dimenticare e rimanere nei ranghi, facendo il gioco della città. Che colpa ha chi rispetta le regole?
Come lettori non capiamo Yugo e ci rattristiamo per Ito: facciamo anche noi il gioco di Salem.

Il discorso sulla creazione di alterità e relazioni di scarto è il punto principale nel libro di Armiero. Vediamo che in Alita la divisione fisica tra Salem, che è sospesa in cielo, e la città dei rifiuti, che sta in basso, è più volte sottolineata: invece di un muro invalicabile, abbiamo una città delle nuvole, irraggiungibile. Lì abitano gli onorabili cittadini di Salem, il resto abita nel loro pattume. La discarica è il simbolo del potere di Salem: diventa difficile abbattere chi in fondo ti dà di che vivere, anche se sono solo i suoi rifiuti. Armiero nel suo libro sembra descrivere il rapporto tra Salem e la Città Discarica:

«L’alterizzazione prodotta nel processo di scarto è più pervasiva della creazione di aree di sacrificio, luoghi e comunità destinate a ospitare ciò che nessuno vuole. Alterizzare significa cambiare la “natura” dell’altro e simultaneamente usarlo per conservare un privilegio.»

La comunità a terra è stata creata per contenere, smistare e processare i rifiuti di Salem, anche quelli umani. Ito che è stato cacciato dalla città (non sappiamo bene perché, forse è semplicemente poco conforme agli altri abitanti), così come il suo collega cattivissimo, il Dott Nova, e naturalmente Alita

Chi è uno scarto sembra non aver altra scelta che vivere il suo ruolo, anche quando cerca di emanciparsi: diventare uno sportivo di fama nel Rollerball (sport che si può praticare nella Città Discarica) significa fare il gioco della città proibita, perché non è altro che uno sfogo per mantenere la rabbia e la violenza sotto controllo. Le gare, a cui Alita partecipa, sono a terra perché la violenza deve stare lontana da Salem. Anche la violenza autoinflitta: la città permette il suicidio, ma avviene in maniera meccanizzata, solitaria, pulita.

La memoria

Come nel Wasteocene descritto da Armiero la memoria nel mondo di Alita va manipolata, e se non si può va fatta sparire.
Ito decide di dimenticare, perché non può sopportare la realtà della sua vera natura. La stessa Alita non ricorda chi fosse, cercando di accettare il suo corpo (anzi, i vari corpi che cambia durante il manga). Tutti gli abitanti di Salem sono manipolati, perché sono all’oscuro di un particolare importante della loro natura: il passaggio all’età adulta è segnato dall’asportazione del cervello, che viene sostituito da un chip. Questo omologa gli abitanti della città sospesa nel pensiero e nelle azioni: ne risulta una memoria collettiva manipolata alla radice, perché nessuno è in grado di elaborare un mondo migliore o semplicemente diverso da Salem. L’obbedienza qui è ottenuta tramite un’operazione mascherata da rito di passaggio all’età adulta (alla quale i cittadini sono orgogliosi di sottoporsi) e divide coloro che meritano di vivere nella pace della città da quelli che tirano avanti nella sua discarica. Proprio i cittadini di Salem che ritengono i cyborg inferiori sono mancanti dell’organo che li rende umani e che persino i cyborg conservano.

La memoria nella narrazione del Wasteocene è talmente importante che Armiero, insieme a Ilenia Longo, ha creato il progetto Toxic Bios. Guerrilla narrative che dà voce a chi semplicemente non accetta che si occulti o manipoli la realtà tramite narrazioni di comodo. Il parallelismo con il manga è di nuovo impressionante ai miei occhi. Immaginiamo Ito che racconta ad Armiero, invece di dimenticare, come la sua vita è crollata quando ha scoperto di non avere più un cervello, che come ex cittadino di Salem gli è stato asportato. Pensiamo a cosa potrebbe raccontare Alita stessa, che è considerata alla stregua di una macchina da combattimento, o uno dei nemici della protagonista intenti a rispettare o a scardinare le regole di Salem.

«l’interiorizzazione delle wasting relationships che riproducono le persone e i luoghi di scarto. In questa distopia fantascientifica, esiste addirittura una sorta di culto religioso del Processo, che rende tutti gli individui dell’entroterra completamente “governamentalizzati” e obbedienti alla logica dell’ingiustizia che separa coloro che meritano di più da coloro che vengono scartati.»

Qui il professore parla di una serie brasiliana che si chiama 3% (è il numero di persone che grazie a un test riescono ad accedere a un’isola “resort”), ma c’è un buon richiamo a quello che succede anche a Salem dove l’omogeneità dell’intelligenza e del carattere è mantenuta sostituendo il cervello con un componente elettronico: gli abitanti partecipano volenterosi al rito che li priverà della loro personalità, li omologa gli uni agli altri rendendoli degli “onorati” cittadini.

Salem tra pace e violenza

Come ci ricorda Armiero il Wasteocene è anche dove non ci sembra, dove è tutto pulito e ordinato, anche a Salem, nelle scatole craniche dei suoi cittadini dove dovrebbe esserci il cervello c’è un chip: sono scarti loro stessi e questa operazione, di cui dimenticano i particolari, li rende tali ma in un certo senso gli dà il diritto di elevarsi al di sopra degli abitanti della Città Discarica.
La città di Salem mantiene il suo stato grazie alla repressione. Non basta uniformare i cittadini. Questi sono eliminabili quando, nonostante tutte le precauzioni, vengono loro malgrado esposti alla verità (anche se non l’hanno nemmeno capita). Non esiste la pace a Salem senza una bella carica di violenza tutta intorno. È evidente che la violenza in qualsiasi forma fa paura alla città sospesa. Niente armi, veleni, pillole o palazzi adeguatamente alti. Lasciare Salem è possibile ma senza creare disordine, immagini sgradevoli e ricordi dolorosi negli altri: le persone entrano nelle macchine per il suicidio come in cabine telefoniche, e del risultato della violenza autoinflitta non rimane che un lampo di luce a certificare una procedura andata a buon fine. Intorno e sotto di sé Salem ha tutta un’altra politica.
Esistono oppositori al regime della città sospesa. Il loro piano è quello di abbatterla facendola cadere sulla Città Discarica, uccidendone gli abitanti. Sembra quasi una vendetta contro coloro che non si ribellano: far cadere l’oppressore sulle loro casupole già scalcagnate di loro. Anche per questi oppositori gli abitanti della Città Discarica sono scarti sacrificabili.
La pace di Salem costa cara a chi non ne fa parte e anche la sua fine rischia di costare un prezzo troppo alto in vite umane.
Alita si ritrova a combattere per Salem contro i ribelli per evitare che crolli sulle case dei suoi amici. Come ricorda Armiero nel suo libro, la violenza è unilaterale: quando si tratta di ribellarsi, sembra che i ribelli debbano essere educati a fare il meno rumore e sporco possibile (vergogna eterna su chi spacca vetrine o rovescia cassonetti), mentre chi mantiene l’ordine costituito può darle di santa ragione anche agli indifesi. Senza cooperazione, senza la presa di coscienza da parte di Salem della propria parte nell’universo degli scarti, possiamo vedere in Den (il capo dei ribelli) l’insorgere di un regime? Dan si ostina a ribadire l’ordine che già c’è tramite una ribellione che punta a sacrificare sempre la stessa comunità.
In questa ottica Alita combatte per un equilibrio, attraverso la presa di coscienza e la necessità, la scelta, di ricordare.

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