Alice nel paese dei salami

Rosso Foxe | Quasiamore |

I disegni sono di Titti Demi

Buone bambine. State calme. Se vi agitate la barca si rovescia e finiamo nel fiume. Sarebbe indecoroso ritrovarsi con tutti i vestitini bagnati. Lasciate che vi raccontiamo una storia.
Inizia così…

Alice era stanca di sedere accanto alla sorella senza fare niente. Quella musona antipatica leggeva senza sosta un libro privo di dialoghi, figure e salami. Un muro di lettere: una distesa di disegnetti neri, vicinissimi gli uni agli altri, che, a guardarli immersi nella canicola di quel pomeriggio estivo, si impastavano tutti insieme. Parevano scarafaggini morti su una pagina bianca.
«A che serve un libro senza dialoghi né figure?», pensò Alice, «Ci fosse almeno un salame!»
Mentre si poneva questa domanda più che lecita, un coniglio bianco le passò accanto.
La bestiola si fermò, sgranò gli occhietti rosei, estrasse un orologio dal taschino e sbottò in un «Ussignur! Com’è tardi!» Detto questo, fece sparire l’orologio nel panciotto e ricominciò a correre.
Non fu certo la meraviglia a far scattare Alice in piedi. Il coniglio, col suo panciotto e l’orologio, sembrava un tipo a modo e niente affatto sorprendente. A indurla allo scatto fu la sparizione della ridente bestiola in un pertugio, accanto a un cespuglio.
Alice, con quattro passi e un balzo, si infilò lesta nella tana del coniglio, senza perdere tempo a chiedersi come avrebbe fatto a uscirne.

Avrebbe forse fatto meglio a chiederselo. E forse lo avrebbe anche fatto se, a un certo punto, quella galleria  inclinata, piena di umidità e terriccio, non avesse aumentato improvvisamente la propria pendenza, costringendola a correre sempre più veloce, fino a proiettarla in un pozzo.
Profondo.
Molto profondo.
Durante la caduta infinita Alice s’accorse che tutto attorno a lei cadevano, alla sua stessa velocità, gli oggetti più strani. Salami con i piedi e tarocchi, lische di pesce e sigari, pistole e serpenti con il cappello, mani viventi e femori bianchi… Un catalogo infinito di oggetti gommosi che, a incontrarli fuori dalla tana di un coniglio avrebbero scatenato terrore.
Un pozzo senza fondo.
Non proprio.
Ne aveva uno. Morbido e gommoso.
TUTUMP

«Ahia!» Una caduta infinita, anche se si esaurisce con un tonfo morbido e sordo, ti lascia un livido sul culo. Uno di quelli che nascono rossi e, col tempo si, diventano prima viola, poi blu e infine, prima di svanire, ti lasciano in balia di un alone giallo. Con tutti questi colori nel cuore e sul culo, Alice imboccò sorridente un corridoio, all’inseguimento del coniglio che, nonostante la caduta, rimaneva di un banco candido e immacolato.
La bestiola frettolosa, continuando a lamentarsi per il proprio ritardo, fece una curva stretta e sparì alla vista della bambina cui si avvicinava a passo spedito. Quando Alice sbucò dopo la curva a gomito, il coniglio era sparito e, per poco non andò a sbattere con la testa contro il basso soffitto della stanza in cui era entrata.
Una lunga parete con una fila di porte a distanza regolare. Tutte chiuse. Al pensiero dell’impossibilità di uscire dalla stanza, Alice inizio a passeggiare, sfiorando il muro con la mano. In mezzo alla stanza c’era un tavolino di cristallo, con sopra una piccola chiave d’oro. La chiave non apriva nessuna delle porte della sala. Alice le provò tutte. Quando lo sconforto la stava per ghermire, si accorse di una porticina, alta due mele o poco più, che fino a quel momento non aveva notato. Che gioia quando scoprì ce la porta entrava perfettamente nella toppa.

La bambina si accovacciò sul pavimento e guardò di là dalla porta. Un meraviglioso giardino, colmo di dialoghi, figure e salami. Quanto avrebbe volto passare dall’altra parte, uscendo da quella stanza buia, per correre in quel prato fiorito. «Se almeno potessi infilarmici.», pensò Alice, «E, anche se ci passasse la testa, a che mi servirebbe senza le spalle?» Si rialzò con un sospiro pensando a quanto sarebbe stato bello chiudersi come un cannocchiale. Mentre passeggiava nervosamente per la stanza, smaniosa di uscire, si accorse che sul tavolo di cristallo c’era anche una bottiglia – della quale non si era accorta prima – la cui etichetta diceva «BEVIMI!»

Quell’ordine perentorio sembrava obbedire alla sua sete. Ne ingollò appena un sorso, con un lieve fremito di paura, e scoprì che la bottiglia conteneva un liquido squisito: aveva lo stesso sapore, dolcissimo, di una camera colma d’amore, le cui pareti si erano intrise di sguardi e carezze. La trangugiò d’un fiato.

«Che sensazione curiosa», pensò, «mi sembra di rimpicciolirmi!»

Proprio così. Era diventata piccina. Meno di due mele. Corse gioiosa verso la porta e – sgomento! – la trovò chiusa. Chissà come la chiave era tornata al suo posto, in cima al tavolo di cristallo, ora altissimo e irraggiungibile.
Alice si sedette a terra, accanto alla porta e iniziò a piangere.

Dalla sua posizione si accorse che, sotto l tavolo c’era una scatola. Si alzò in piedi, tirò su col naso e si ripulì il viso con la manica del vestito (provando anche un certo gusto per quel gesto guardato con tale deprecazione dai precettori). Aprì la scatola e con sorpresa ci trovò dentro un pasticcino con sopra la scritta «MANGIAMI!»

Priva di speranza, ingollo il pasticcino.

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(Quasi)