Fargli male

Lorenzo Ceccherini | Il bassista non se lo incula nessuno |

Quando ho visto il tema del mese di aprile mi sono riproposto senza esitazioni di prendere il controllo del bassista e scriverlo io il pezzo. Perché sennò quello faceva come al solito, con tutti i suoi giri, tutto quel prendere la mira, arringare costruendo il caso per poi finire a non fare mai veramente centro, forse per non dispiacere a qualcuno, o per non sembrare «estremista» e farsi notare troppo. In questo modo finisce per dirvi, per esempio, che dovete guardare alla gestione del ciclo dei rifiuti come epitome del disastro materiale e morale sostanziato nella vostra evoluzione, come specie e come individui, ma poi non va troppo oltre. Non che sbagli, fate schifo, producete quantità di merda tossica tali da essere la barzelletta dell’intera galassia. Ma lo siete anche per tutto il resto della serie di contraddizioni, di antipodi quasi perfetti, con i quali avete messo sistematicamente e industrialmente a testa in giù la ragione, il buon senso e la verità di fatto, compromettendo in modo strutturale uno stato di salute ragionevole del vostro genere e dell’ambiente in cui vivete. Voi andate avanti nonostante voi stessi. Ma vi sentite fighi.

Fosse anche solo per principio, qualcuno le cose ve le deve dire com’è opportuno che siano dette, anche se tanto non ascoltate (è incluso anche «non leggete» e quindi qui siamo nel posto giusto).

Negli ultimi milleduecento dei vostri anni ho portato avanti la mia missione di osservatore, seguendo il programma che mi era stato affidato – e con le ultime istruzioni dettagliate del 2023 mi sono ritrovato a seguire per un mese questo tizio che scrive ‘sta rubrica come campione etologico da investigare, ma i risultati della mia attività non sono quello che voglio raccontarvi qui oggi (non sono particolarmente interessanti), più che altro c’è che, in prossimità del mio congedo, la voglia di scrivere da qualche parte, un po’ come fanno i writer sui muri sgarrupati lungo i bordi dei binari prima di entrare in stazione, giusto qualche appunto. Poi, presto, potrò uscire da qui, ripartire e fare rotta sul portale di un certo wormhole dietro Saturno e tornarmene finalmente a casa. Dice, ma com’è ‘sta storia del «prendere il controllo» del bassista? Intanto, non sono cazzi vostri, però la curiosità è comprensibile – vi basti sapere che è una procedura che richiede prossimità fisica, ma la mia specie è alta in media due millimetri e mezzo e quindi non è complicato parcheggiarci negli sporchi, fetidi orecchi interni di voialtri e connettere la nostra coscienza al vostro hardware biologico. Voi ve ne andate in uno spazio sospeso per qualche giorno, tranquilli, senza effetti collaterali. Ovviamente, per evitare che qualcuno si metta a fare il figo con un otoscopio, quando questo pezzo sarà pubblicato io avrò già preso il largo. Fatevi bastare quello che vi arriva, su.

Visto che per presentarvi il conto sul fatto che siate gentaglia la raccolta differenziata fatalista e il cassonetto romano suonano lagnosi e passivo-aggressivi e vi fanno magari dire che sì vabbe’, vai a vivere in mezzo agli svizzeri, sai che noia, eccetera eccetera, non perdiamo altro tempo e andiamo a servirvi la vostra vita capovolta in cinque atti, rigirando con un bello schiaffone la vostra stolida prospettiva di abitanti dell’ombelico del mondo.

Sul lavoro il bassista ve l’ha detto un po’ in tutti i modi, solo che non si capiva mai se parlava di sé o di qualcun altro e la possibilità di dirsi che per voi non valeva era sempre a portata di mano, così non c’era rischio che vi metteste a accendere flame sui social o a scrivere mail di protesta alla redazione. Vediamo quindi di darvene motivo.

Il vostro lavoro, in primo luogo, è una merda. Ma non solo perché non vi piace, lo è anche quando vi piace. Se non vi piace è evidente che non è salutare né per voi né per la società e sarebbe spesso meglio che l’aborrito reddito di cittadinanza (o come lo vogliamo chiamare) vi venisse corrisposto proprio per tenervi al riparo da quella brutta esperienza. Tenendo al contempo al riparo anche gli altri. Quando vi piace, però, non è detto che quello che accade sia buono, bello e salutare per tutti. Il lavoro moderno ha anche smesso, in molti casi, di essere intimamente legato a concetti di produzione necessaria e obbligata, ad esempio per sopravvivere – lo spostamento verso paradigmi di servizio, la transizione verso l’intangibile rappresentata dal passaggio da mezzi di produzione fisici e «pesanti» verso quelli informatici e digitali, hanno creato un subbuglio diabolico, in una società che non ha capito o metabolizzato quasi niente del potenziale tecnologico, non solo di un mondo iperconnesso, ma anche solo di un ufficio in cui gli strumenti e i processi siano corrispondenti, anche solo in parte, al potenziale corrente. Avete informatizzato il mondo della carta bollata, del protocollo e della ceralacca – e avete pure formato generazioni più giovani nel calco di questa pseudocultura. Avete creato una sorta di cargo cult del digitale. Fa veramente ridere.

L’Italia è il paese portabandiera di questo sarcofago mentale e materiale sull’evoluzione del lavoro – che è anche evoluzione della società, della cultura, dei modi di pensare. Per fessurazione dello status quo filtrano in modo sporadico e disordinato fenomeni, talvolta produttivi, talvolta eclatanti ma sostanzialmente idioti. Trent’anni fa i figli dovevano studiare perché poi così si sistemavano in lavori che si presupponevano ben pagati. Oggi se stanno su TikTok a sventolarsi in pubblico è meglio non dirgli niente, stanno facendo business development. E quando aprono un account OnlyFans e tirano su un bel po’ di pila, vagli a dire qualcosa, Savonarola dei miei stivali. Anche senza tirare in ballo Internet: oggi il figlio che fa pratica da fornaio ti fa ben sperare che possa diventare il pizzettaro di grido del domani, con aperture a New York, Dubai, Shanghai e Città del Capo.

Questa società borghese e benpensante, bacchettona in modo pigro, docile e acquiescente che eravate fino a quarant’anni fa, vi si è sgretolata sotto il culo. Quarant’anni fa se non faceva il classico e poi medicina era uno sfigato di merda (e difatti il risultato lo si vede, con certi medici che girano… Per fortuna sua il bassista, grande utilizzatore di risorse sanitarie, è uno che se le sa scegliere). Siete qui, state qui, mettete stupidi timbri informatici, patite le pene d’inferno, tutto il giorno, in overtime (modo per dire che gli straordinari non ve li pagano) a fare data entry dalla posta elettronica a un file Excel per giorni, settimane, per sempre, a fare un casino della madonna, per alleviare il quale basterebbe usare con metodo strumenti che hanno più di tre decenni, per non dire di quelli più giovani che consentirebbero di levarsi dalle palle gran parte di una forza lavoro culona e ignorante – però sarebbe macelleria sociale, ci avete i suddetti figli che studiano, il mutuo ancora non è finito, c’è quello della seconda casa. Depauperiamo qualcun altro.

The Gray Day, 1921 - George Grosz

Questa società del presunto benessere, soprattutto, non si capisce come sia fatta. Intanto del benessere non se ne trova quasi mai traccia, anche quando c’è abbondanza di risorse: essenzialmente, non sapete mai cosa fare e quindi fate quello che pensate di dover fare e raccontate quant’è figo. Crudité di pesce in riva al mare? Ci andate ma solo perché fa figo e poi sono cento euro per du’ porzioni in uno stabilimento a Ostia, ché quando ci pensate in un certo modo dovete per forza alzare l’asticella e deve diventare Saint Tropez o che so io e gli euro magari diventano mille, l’orologio da quattromila non basta più, devono essere almeno quaranta. Non siete dissimili (solo, meno ricchi) da tutti quegli arabi straricchi che si aggirano per Ginevra – il bassista c’è stato solo una volta, di passaggio, ma posso confermarlo, ce ne sono tanti: gli orologi in vetrina nelle gioiellerie sono per loro (e per le altre tribù etno-economiche che gravitano sulla simpatica Confederazione in virtù delle sue spicce prassi bancarie e finanziarie) ma almeno lì hanno il cartellino con il prezzo. Qui no, la roba costosa non ce l’ha, e se entri a chiedere il prezzo sei un pezzente, devi entrare e pagare quello che c’è da pagare se vuoi essere nel giro. Dalla merce il contenuto affettivo-erotizzato si è spostato verso qualcos’altro, forse anche solo il fatto di poter uscire da certi negozi avendo fatto acquisti. I social media contribuiscono in modo meraviglioso alla assurda comicità che scaturisce dal vedervi affannarvi come poveri imbecilli a fare cose sempre più assurde. Gli yacht sempre più grandi sono un ottimo esempio – costano un delirio e magari le fighe decorative che vi portate dietro manco amano il mare. Ma nemmeno voi – il mare è un posto bastardo che conviene rispettare, non è che si faccia amare tanto facilmente e infatti muoversi a vela richiede tempo e andare a motore è un’esperienza tamarra e puzzolente. È un elemento che andrebbe frequentato per poter immaginare di conoscerlo. Difatti, anche quando avete un dieci metri, uscite dal porto solo quando avete tempo e il tempo meteorologico ve lo consente, ci sono sei nodi di vento e non andate di bolina sennò qualcuno si impressiona. Direte, ma questo riguarda meno dell’un percento! Esatto, ma voi ragionate allo stesso modo con dei cazzo di gommoni o catini di vetroresina o, peggio, moto d’acqua o come diamine si chiamano. Quella volta che il bassista e signora arrivarono alla spiaggia di Saleccia in Corsica costeggiando a piedi quello che i francesi, drammaticamente, com’è loro prerogativa, hanno chiamato Desert des Agriates, c’era il pieno di stronzi con imbarcazioni di ogni misura, dal gommone allo yacht multiponte da quasi cento metri. Consolatevi italiani, la zona era interdetta alla navigazione, quindi sappiate che non siete i soli a fottervene delle regole.

Ho preso a esempio un contesto vacanziero per mostrarvi la comicità imbattibile del vostro approccio a questo fantomatico benessere. Ma le vacanze ormai le fate più brevi e le fate in sempre di meno. Parliamo delle giornate ordinarie. Quelle sono occupate, a parte un po’ di casi di rentier che sanguisugano patrimoni familiari o scenari di pura rendita (ma anche quelli si sentono in dovere di far vedere che fanno qualcosa, appendendo a testa in giù secoli e secoli di tradizione aristocratica da Ancién Regime – non fare un cazzo, mai, per nessuna ragione, farsi servire sempre, impunemente, possedere, spendere, non lavorare), dal lavoro. Questa cosa meravigliosa che precede sempre la logica e la ragione, come un precursore inevitabile della vita stessa, che è stato, è e sarà per sempre. Un male ottundente per molti, un feticcio per quelli che “amoilmiolavoro”. Il tutto prima della domanda: ma a che serve? I movimenti rivoluzionari dell’epoca moderna in buona parte erano mossi da un proposito che voleva anche affrontare questa domanda ma negli ultimi cinquant’anni avete abbuiato tutto, vi hanno gettato quale ossetto, avete visto i vostri prossimi affondare i denti nel grasso e allora ciao. Vienimi a invitare alla rivoluzione un’altra volta, sto scegliendo gli interni della Porsche Macan che mi prendo come benefit aziendale aggiungendo cinquecento euro al mese.

Il bassista, che è uno stordito, ma aveva degli anticorpi mentali, ricorda bene come già negli anni Novanta la figlia del falegname vivesse in una notevole villetta a due piani con giardino, nel verde ma non lontano dal centro. Grazie al cavolo che poi mi va in confusione e non riesce minimamente a legare tre concetti che dovrebbero, secondo voi, far parte della ricetta del benessere: percorso di studi universitari, anelito verso un lavoro, fiducia nel contesto. Fare del nero è sempre stata la chiave vincente – nel settore del lavoro dipendente è sostituita da un meccanismo più farraginoso e meno brillante, quello della clientela e del nepotismo. Però oggi la falegnameria senza nero ti consegna a una vita di stenti, a un non accesso al credito e a darti di imbecille per non aver finito Economia e Commercio. Occhio a tutti quelli che dicono che lasciano il lavoro nella finanza a Milano per fare l’azienda agricola in campagna: la fattoria era del nonno superdirigente dell’azienda di stato. D’altro canto le risorse patrimoniali ci vogliono anche per affrontare la vita da lavoratore dipendente, figuriamoci per emanciparsene.

Insomma, fate ridere, perché anche quando siete nello strato dei «vincenti» siete sempre scomodi, sempre afflitti, sempre preoccupati dal valore che ha sistemare dei figli che magari sono degli scemi patentati o magari avevano altre inclinazioni, il tutto anche a danno della società senza che non ve ne freghi un bel niente. Ricordo il figlio del primario oculista che non azzeccava una cataratta manco per sbaglio. E nessuno lo fermava.

Attenzione perché in quest’ultimo passaggio risiede la chiave di volta di tutta la vostra grottesca e ributtante comicità. Non ci sono meccanismi, ancore di misericordia, routine di ultima istanza. Il sopruso al buon senso e alla ragione di base viene perpetrato con costanza e l’onere della prova è a carico di chiunque abbia l’ardire di denunciarlo.

La mistica aziendale e la politica sono spesso materie simili, anche se il rapporto coi soldi influenza diversamente i due ambiti. Nel primo la popolazione dell’organizzazione si fa raccontare una marea di puttanate, che sono formulate a volte anche in modo non del tutto consapevole, digrignando i denti, accumulando fiele che verrà liberato senza conseguenze particolarmente eclatanti quando si transiterà verso un’altra azienda e un altro lavoro (e altre puttanate). Nel secondo le puttanate e il digrignamento ci sono ma si innescano altri percorsi che portano a un disagio fatalista che lascia spazio e banda di comunicazione a chi ha più entusiasmo. Condizione che riguarda, purtroppo, in molti casi, soggetti e gruppi spinti dal feticismo fanatico per idee di merda, mozze, mal cucinate, rabberci di ideologie, spesso totalitarie, del Novecento, frammisti a professionisti del non fare un cazzo a caccia di prebende. L’incentivo economico dello stipendio non c’è, il valore della res publica non viene percepito, è sempre il culo di qualcun altro, non il tuo. Insomma un agone zozzo, con gente brutta e stupida, ignorante come il culo e cattiva fino al midollo, e qualche raro spunto di decenza e competenza (che può alimentarsi solo di impressioni, visto che lo spazio mediatico viene riservato, perlopiù, a incredibili macchiette). Però nessuno li ferma. Ho reso l’idea? Fa ridere da morire che la vostra sia una democrazia rappresentativa e che voi avete scelto di essere rappresentati, praticamente da subito, da plotoni di facce e teste di cazzo incredibili. Poi vi lamentate, vi fregiate del fatto di poter dire quasi dall’alto che la politica è una cosa bassa, schifosa e che voi siete meglio e non ve ne occupate. Ma capite perché la metafora dei rifiuti non è poi così fuori centro?

È il mundus inversus perenne, un Saturnale infinito dove uomini (e donne) brutti (dentro, fuori, è uguale), volgari e ignoranti assurgono al dominio del mondo, sovvertendo un ordine che si presuppone «naturale» nel quale le capacità superiori, forza, velocità, peso, dei predatori soverchiano le prede. Ecco le lepri che cacciano il cacciatore e il sovrano che può venire irriso e insultato, ma solo per un giorno. Se magari tutto quello era animato anche da un memento mori pre-cristiano, dalla consapevolezza di dover sacrificare almeno un tassellino di hybris ai mondi inferi e superni, nell’oggi della modernità rimane la festa dell’impunità completa, il taglio orgiastico dell’ignorante che succhia ambrosia da tette altrimenti inarrivabili, 24/7. In questi giorni un vostro ministro ha detto che non è razzista ma solo ignorante. Ci sono grandi possibilità per tutti voi, quindi. Continuate così.

Se vi fate governare da un branco di ignoranti siete degli ignoranti. Hai voglia a chiamarvi fuori, no io no, io so figo e qui e là. Visti nell’insieme fate proprio schifo.

Anche qui, parlando di insieme, di gruppo, c’è del ridicolo colossale, perché quelli di voi più appassionati di puttanate ideologiche tossiche, sembrano epidemicamente afflitti da questo bisogno di difendere e proteggere un «noi» che onestamente non si capisce da chi sia costituito. Mentre lasciate che a governare (o meglio, a far finta di) siano personaggi ai quali non verrebbe fatto di affidare la lista della spesa e cinquanta euro per andare al supermercato, tanti di voi si sentono rassicurati quando uno scimunito di turno inizia a dirgli che i migranti saranno «respinti in mare» e che si toglieranno le tasse a chi fa figli (e che devono avere madri «vere») e via e via una serie di cazzate colossali che farebbero anche scompisciarsi dal ridere ma hanno purtroppo impatti anche piuttosto seri (tipo affogare nel Mediterraneo) sulla vita delle persone.

A furia di affidare tutto a inetti, spesso malintenzionati, cosa pensate che possa venirne fuori? Il sistema stesso ne patisce, come fosse un organismo cronicamente afflitto da questa parassitosi, diventa sclerotizzato, insensibile e inflessibile a interventi diversi da quelli consueti. Che poi non possono essere quelli di individui con carriere da supermanager che, regolarmente, provano a crearsi del lustro anche sul piano istituzionale. Lì finisci sempre per sembrare scemo. Il segreto in quel contesto è non fare mai un cazzo e dire sempre e solo una cazzata più bella e più gustosa di quelle degli altri. Punto.

Ieri era il venticinque aprile. In un paese senza memoria storica, il lavoro di tenere vivo un senso e un’anima per la giornata e quello che rappresenta, viene puntualmente vilificato da bande di stronzi istituzionali e non, da chi è, né più né meno il nemico di allora ma ha ricevuto un mandato democratico a esercitare il potere legislativo e esecutivo proprio in virtù delle conseguenze e delle opportunità nate proprio grazie a quella giornata, ma anche da chi oggi ha una voglia irrefrenabile di fermare la storia, di decidere, come bulli, il senso che deve avere. Quando parlo di ideologie totalitarie non mi riferisco solo a questi fascisti da burletta ma anche ai «rossi andati a male», gentaglia violenta e ipocrita della peggiore risma che oggi dice che non bisogna inviare armi all’Ucraina perché sarebbe contro la pace. Ok ragazzi, potete mandare una bella cartolina alle donne di Bucha, Irpin e altre località per dire loro di fare tanti esercizi di Kegel per prepararsi al prossimo round di stupri. Avete una logica nipote di quella degli stalinisti che, invece di far guerra alle milizie franchiste, ammazzavano i militanti del POUM. Anzi, pure peggio.

Fascisti incistati nel comodo ventre di vacca della repubblica, magari fan dell’autocrazia del dittatore russo, un ex funzionario del servizio segreto del paese più comunista di tutti, e comunisti marciti per i quali la «grande guerra patriottica» è sempre quella contro un Occidente, di cui però anche loro fanno parte e alle cui mammelle suggono. Tutti discettando di argomenti senza senso, monotematici, monodimensionali. «Allora sei contro la pace» ha lo stesso valore di «W la figa». Così come c’è figa e figa c’è anche pace e pace. Avere la faccia di decidere qui, dal vostro comodo mondo convenienza del salotto, che qualche decina di milioni di persone debbano finire sotto lo zoccolo di una dittatura perché vi sta sul cazzo il military-industrial complex occidentale (o chissà cos’altro) è veramente schifoso. Sono sicuro che voi, nel ’36, in Spagna coi repubblicani non ci sareste andati.

Coi fascisti sì, però.

Il concetto malato di «noi» da proteggere, da negri, ebrei, froci, comunisti (non marciti) e altre terribili categorie di questi tipi, si applica benissimo a fantasmi come «patria» e «famiglia», concetti che se ti metti a provare a spiegarli non i tentativi non vanno mai oltre rappresentazioni di tipo geografico o residenziale-biologico. Eppure sembrano essere tutto, un tutto assoluto, inviolabile e sommo, primigenio e semidivino.

La divinità, appunto, il terzo polo dei feticci fascisti.

Non credo sia la fonte di tutti i mali, quanto piuttosto il sistema, organizzato e gestito, nel quale il peggio dei vostri talenti si manifesta, si alimenta e cresce, anche quando fate gran mostra di averci preso delle distanze: si tratta della religione. «Tutti cristiani» dice Camus ne La Caduta e ci sono poche verità più vere. Specie quando si parla di ribaltamenti palesi, questo è un campo dove si ci si imbatte in veri e propri gioielli di antipodia smaccata.

Fate ridere a crepapelle.

I figli li mandate nelle scuole dei religiosi, gente che, di solito, per mandato aziendale non può avere figli. Cristallino come ragionamento. Vabbe’, saranno specializzati in pedagogia, si dirà. Ho scansionato tutte le scritture di tutti i culti e non mi pare che ci sia questo accento particolare sull’argomento. Venendo alla declinazione di superstizione che va per la maggiore dalle vostri parti, il cattolicesimo è un numero uno da questo punto di vista: gli «scandali» legati alla pedofilia sono solo una punta di iceberg in un curriculum spettacolare di abusi assortiti verso i più piccoli e i più deboli. Le Magdalene Laundries o le fosse comuni fuori dalle scuole-collegio canadesi sono solo alcuni esempi di implementazioni in un contesto veramente globale. E poi, dai, anche la storia del rapimento Orlandi è bellissima, la famiglia ha una pazienza che batte quella di Giobbe, facendolo sembrare un segaiolo isterico, e nella vicenda si sente pure puzza di papi santi o con forti pruriti o con, almeno, la disponibilità a fare di tutto per abilitare e coprire quelli dei colleghi. O quella cazzo di suora macedone incartapecorita che collezionava moribondi doloranti. Spettacolare. E voi mandate i figli a scuola da questi, che hanno minacciato Galileo con lo strizzapollici se non ritrattava le sue correttissime teorie scientifiche e hanno bruciato Giordano Bruno perché faceva ipotesi cosmologiche rivelatesi poi del tutto sensate, se non proprio esatte. Se i padri scolopi e i gesuiti avessero un minimo di coglioni insegnerebbero ancora il sistema tolemaico. Certo, è stato il padre Angelo Secchi a codificare per primo i tipi spettrali delle stelle, ma quello era il suo vero lavoro, la tonaca era accidentale, spero. La Chiesa è fighissima perché predica assolutismo e ortodossia ma è la prima a praticare e a fondarsi su un totale arbitrario facciamo un po’ come cazzo ce pare. Che è ideale per prendere all’amo i citrulli, gli invasati e i circuibili di varie disposizioni e conformazioni morali e mentali.

L'iconico Papa di Bacon da Sotheby's exibart.com

Comunque il problema siete sempre voi, che siete anche meno che tolemaici. Il ragionamento di Eratostene che dimostra l’approssimabilità della Terra a una sfera è elegante e lo capisce anche un deficiente. Eppure siete terrapiattisti. Nella nostra cultura, tanti anni fa, c’era un equivalente della rupe Tarpea per quelli come voi. Qui non funzionerebbe perché a giudicare gli scemi ci sarebbero altri scemi, non ci pensate nemmeno.

La religione legittima i malintenzionati (salvezza garantita, a volte proprio acquistabile) e tormenta i coscienziosi (peccato strutturale). In questo senso contribuisce a costruire una società che erode liberté, égalité, fraternité meglio di qualsiasi altro solvente anti-libertario. Perché non c’è bisogno che andiate nei luoghi di culto, se quell’impronta lì, da popolo eletto, da virtuosi, da righteous sempre e comuque, ce l’avete, vi accompagnerà sempre con tutta la sua potenza di fuoco e sarete in grado di reimpastare lo starter kit del fanatico in sempre nuove salse. Gli Stati Uniti fanno scuola da questo punto di vista. Voi siete stati all’avanguardia nel Novecento nel dimostrare come opportunisti facce di culo potessero eccitare gli animi per ribaltare l’ordine costituito e prendere il potere, lavorando allo stesso tempo sul mantenimento di un consenso, anche di fronte al disastro più totale, ma poi siete stati superati da altri che sono diventati ancora più bravi. Per esempio: quel sacco di merda vagamente arancione che avevano nello studio ovale e che tenta in tutti i modi di tornarci, pur essendo un criminale matricolato, è una superfetazione di quello che avete avuto voi, a varie riprese, per quasi tre decenni. E tutti e due beniamini dei credenti – eroi inviati dalla provvidenza. Ma se l’incoerenza è strutturale, identitaria, espressione proprio mortologica del potere di un principio di autorità l’abbranchiapussy americano e il bungabunghista italiano non hanno nessun problema in termini di qualifiche per essere dei defensores fidei. E il connotato sessuale è solo uno dei grossi problemi dei personaggi. Comunque, era per dire che non siete soli: la Corte Suprema americana è veramente una barzelletta di cattivo gusto, macchiettistica, e fa sembrare la vostra Corte Costituzionale e le vostre istituzioni avanzate e progressiste.

Che se poi vogliamo ricordarlo, la vostra corte è quella che, presieduta dal vecchio topo con gli occhiali, ha detto che il referendum sull’eutanasia era inammissibile. Cazzo ragazzi, questo è un paese dove ai preti fate decidere chi fa le fiction, anche sulla base di cose dette o fatte vent’anni prima e poi ci stupiamo se i sottanoni influenzano un referendum dove l’argomento non gli importa un cazzo (i vecchi e i malati muoiono, non sono più utili, a parte che per il business delle RSA e i testamenti) ma sul quale ci si sono impuntati pur di non darla vinta a tutti gli altri, anche in assenza di fonti scritturali, dottrina e altro, tavola della legge, fosse anche solo una scoreggia di santo, che dice che l’eutanasia proprio no, non si può fare. Ma, di nuovo, dove regna la «fede» tutto è permesso e quindi… Pensate al livello veramente orwelliano-stalinista che è stato raggiunto: quel povero autolesionista di Dostoevskij scriveva che se non c’è Dio tutto è permesso, quando, e lo vedete qui, dimostrato ordine geometrico, è esattamente vero il contrario. L’esatto contrario.

Nextinction – Ralph Steadman Art Collection

Ci sarebbe ancora un capitolo, ma lo lascio da sviluppare, ed è quello dell’ambiente, ma è un tutt’uno con il resto. Se la vostra passione è abilitare individui e gruppi che trattano le persone con un livello di violenza difficilmente superabile, rivestito di legittimità e rispettabilità – di quale considerazione vi aspettate che godano l’ambiente naturale, gli animali, la natura? Tanto la vostra salvezza è assicurata, i vostri resti mortali potranno riposare nella stupida cappella di famiglia, comprata a carissimo prezzo dalla confraternista di stocazzo al cimitero monumentale.

Nessuno ha detto che la libertà sarebbe stata un parco giochi.

Il solo fatto che in tanti abbiano rischiato, sofferto e siano morti per raggiungere una condizione che consentisse, per quanto possibile, a tutti, di dare una esecuzione, una realizzazione a questo concetto così forte ma altrettanto vago, oggi sembra non contare niente. Chi celebra e ricorda viene quasi visto come un passatista nostalgico, ma il fastidio viene più che altro dalla cattiva coscienza di sapere, in fondo, di essere, almeno in parte («ha anche fatto cose buone» ne è la dimostrazione più puerile e patente) dei sostenitori di quello contro cui ci si batté all’epoca. Siete rimasti proprio tanto fascisti. Ci si è liberati del consiglio di amministrazione e della dirigenza del fascismo, non della forza lavoro né della cultura organizzativa. Da questo punto di vista, la lotta è ancora viva, la battaglia ancora sensata. Meno letale ma pur sempre insidiosa, dentro ciascuno. Se foste meno stupidi e meno recidivi vi direi: ma vi pare il caso, essendo in otto miliardi, di pensare di dovervi affidare a questo o al tal altro conducător? Non sarà che ve stanno a cojona’?

Non vi fate fregare, ce la potreste ancora fare a diventare degli adulti non troppo disfunzionali. Basta smetterla di dare spazio ai deficienti che inquinano i pozzi del discorso civile, non è semplice ma dovete trovare un modo. Senza memoria storica non siete niente, poco più che birilli automatizzati nel bowling dei pezzi grossi. Provate a immaginare se una opinione pubblica americana isolazionista avesse prevalso, magari nel dire: non inviamo armi ai partigiani italiani, sosteniamo la «pace». Il venticinque aprile è, appunto, la festa giusta per chi ha la consapevolezza che, per quanto poco desiderabile, anche l’uso della violenza e della forza, contro una violenza e una forza peggiori, ha un senso e una dignità. Come ha detto qualche giorno fa una sopravvissuta alla rivolta del ghetto di Varsavia del ’43: «La rivolta in sé era suicida. Non potevamo vincere, ma dovevamo fargli male». Cari falsi «pacifisti» italiani, fottetevi, fottetevi [cit.].

The Death Cart: Lodz Ghetto | Art UK

Ecco, l’occasione di questo venticinque aprile mi ha invogliato a lasciarvi questa noterella, un appunto frettoloso che meriterebbe di essere sviluppato in un trattato. Non ho quel tipo di tempo, né di desiderio. E poi ve la dovete cavare da soli, basta podestà, basta papi, locali o stranieri che siano. Ripristinerò il bassista lasciandogli almeno il venticinque. Nel frattempo, quando questo pezzo sarà pubblicato, io sarò già bello lontano, oltre il wormhole di Saturno – e che non vi venga voglia di seguirmi, tanto è largo meno di un metro e con le vostre stupide scatolette spaziali, così lente e inaffidabili, non ce la fareste mai!

Invio a molti di voi, come avete già ampiamente intuito, i miei più cosmici vaffanculi e un disprezzo denso e pesante come il nucleo galattico. In pochi mi mancherete ma, se non altro, per ottime ragioni.

[mi spiace per i toni, ma sono quelli che ho trovato nella testa del bassista. Nella simbiosi temporanea ci troviamo costretti a utilizzare alcune modalità espressive e comunicative del soggetto. Quello che accade, in ultima analisi, è quindi una sorta di abbandono di eventuali remore nel metterla giù nei termini più aderenti alla consapevolezza dell’io che, temporaneamente, ci ospita]

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