Post-it: Un genio schifoso, un manipolo di pirati e un «anti-vax to the max»

Paolo Interdonato | post-it |

Non sono mai riuscito ad amare Fanteria dello spazio. Ci ho provato, eh. Mi dicevo: è la principale fonte di ispirazione di quel gioiello di Gundam, non può non piacermi. Il romanzo di Heinlein è innervato di un militarismo tale da produrmi un forte disagio. La mia copia, un Oscar con la copertina argentata, è da qualche parte in una scatola in un box e dubito che sarà ma sfogliata nuovamente.
Ho amato invece Il gioco di Ender di Orson Scott Card. Ho letto quel romanzo e i suoi due seguiti in caserma, mentre prestavo servizio di leva (in quel momento era un obbligo). Era il 1991 e condividevo i miei giorni con un paio di appassionati di fantascienza e ci scambiavamo romanzi e commenti, durante le interminabili serate in caserma: una valida strategia di sopravvivenza alla noia.
Non ho più pensato a quel romanzo fino a quando, qualche mese fa, l’ho trovato in edicola in forma di “Urania”. L’ho comprato e appoggiato sulla mensola delle cose da leggere, quella che, prima o poi, crollerà, sotto il peso della mia inadempienza.
A casa, da solo, il 14 agosto, neanche un prete per chiacchierar… Mi è venuto in mente che Card è un sacerdote mormone. Ho deciso che era giunto il momento perché mi raccontasse una storia. Ho ripreso in mano Il gioco di Ender e ho iniziato a rileggerlo. Dannazione! Mi ricordavo perfettamente la sequenza degli eventi. Dopo cinquanta pagine, avevo voglia di averlo riletto tutto, ma anche bisogno di un po’ di tensione narrativa.
Sono un uomo pratico: ho aperto “Prime video” e ho visto il film. Non mi guardare così. Ripeto: a casa, da solo, il 14 agosto, neanche un prete per chiacchierar… Cosa avresti fatto al posto mio.
Ho visto il film. E mi sono pure divertito.
Mi sono chiesto, a quel punto, perché non fosse andato in produzione il sequel: Quella di Ender è una trilogia e i primi due volumi sono potentissimi.
Mi è bastata una ricerca in rete. Alla sua uscita, il film è stato boicottato per le posizioni omofobiche di Card: basta leggere la sua risposta a quelle accuse, per avere un sentore di quanto lo scrittore statunitense sia una personcina deprecabile. (A quel punto mi è anche venuto in mente perché, anche quando li incontro per strada, di solito non mi metto a chiacchierar con i preti.)
Per farla breve, Orson Scott Card non è solo un mormone osservante e un conservatore: è un omofobo, contrario al matrimonio tra persone dello stesso sesso, capace d affermare che l’omosessualità deriva dagli abusi subiti durante l’infanzia; è un razzista che invoca violenza contro i più elementari diritti umani.
Non è una questione di punti di vista o di opinioni discordanti: Orson Scott Card sii muove nell’alveo di un’ideologia mostruosa.
Eppure Il gioco di Ender continua a essere un gran bel romanzo di fantascienza che dovresti proprio leggere.

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Dopo una cena con mio nipote, ho deciso che dovevo leggere One Piece. Ho iniziato. Lentamente. È divertentissimo, ritmo e cazzeggio, pieno di citazioni inattese (e chi se lo aspettava un omaggio così evidente a Corto Maltese nelle prime pagine). Procedo leggendo un volumetto ogni due giorni, sperando di non bruciarmi mentre avanzo.
Se non lo hai mai letto, passa ai tre asterischi successivi, perché qui c’è uno spoiler.
Se non lo hai mai letto, inizia a farlo ora e non te ne pentirai.
Arrivo al punto in cui Nami, che è forte, che è imbattibile, che ride nella sventura, che non ha paura di niente, che non piange da otto anni, con gli occhi colmi di lacrime, implora Rufy D. Monkey: «Aiutami!»
Quello, serio serio, si toglie il cappello di paglia e lo calca sulla testa della ragazza. Poi, con la consueta faccia da idiota, a bocca spalancata e mostrando tutti i denti, grida: «CERTO CHE TI AIUTO!»
E a me scappa una lacrima. Mi scopro commosso. Eiichiro Oda è un gran bastardo e sa raccontare fottutamente bene. Non mi divertivo così con un manga da quando, a metà degli anni Novanta, ho letto Dragon Ball.

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La casa editrice francese Cornelius ha pubblicato The Complete Crumb Comic Covers,un volume che raccoglie tutte le copertine realizzate da Robert Crumb per le pubblicazioni a fumetti. Quella specifica (“comic covers”) è furbetta e fallace: da un lato sta lì a dirci che non sono riusciti a ottenere i diritti di pubblicazione di quelle tre copertine del “New Yorker”; dall’altro consente di ignorare completamente le copertine realizzate per “Mineshaft” (la bellissima rivista di Everett Rand e Gioia Palmieri che pubblica poesie, racconti e fotografie, ma anche – dannazione! – un sacco di illustrazioni e fumetti). Il libro è bello, ma non incredibile. Costa sessanta euro e antologizza le copertine e tutti i bozzetti, le ipotesi e le idee scartate che i curatori sono riusciti a intercettare. Dopo il miracolo dei sei volumi Taschen, che riproducono gli sketchbook di Crumb e che costano meno di 30 euro l’uno, per stupirci bisogna impegnarsi molto di più. In ogni caso, il libro presenta delle cose che non avevo mai visto e chiude il proprio corpo centrale (quello che allinea in ordine di uscita le copertine, prima della lunga intervista che conclude il volume) con l’ultimo comic book realizzato da Robert Crumb in febbraio 2022. Si tratta di “Sauve-qui-peut Comix” ed è stato realizzato dalla «Crumb Family Covid Exposé». Al di là della dialettica tra Aline («Triple vaxxed but not a fauci fan»), Robert («Anti-vax to the max») e Sophie («Unvaccinated but fatalistic about it»), quell’albo ospita l’ultima collaborazione tra Robert e Aline. È stato pubblicato da David Zwirner Books e lo trovi qui.

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