Te piace ‘o presepe?

Boris Battaglia | QUASI |

No!
È la secca e convinta risposta di Tommasino alla reiterata domanda del padre Luca: te piace ‘o presepe?
Ci troviamo a metà del primo atto di Natale in casa Cupiello. Il padre gli aveva già posto la domanda all’inizio dell’atto, quando Tommasino nemmeno si era ancora alzato. E la sua risposta era stata: a me non mi piace! Mi deve piacere per forza?
Per tutta la durata di questo primo atto, Luca ci prova almeno altre tre volte e convincere il figlio della bellezza del suo presepe, ricevendo sempre la stessa risposta, ferma e negativa.

«Te piace ‘o presepe?»
«No, il presepe non mi piace!»

Questo tormentone si ripete a intervalli regolari per tutta la commedia, e si interromperà solo alla fine del terzo atto, quando sul letto di morte del padre, spinto a compassione, Tommasino dirà di sì.

L’interpretazione più pigra e superficiale di questa commedia eduardiana è quella che vede nel rapporto conflittuale tra Luca e Tommasino una metafora dello scontro generazionale tra vecchi e giovani, tra i padri custodi della tradizione e i figli che aspirano a un mondo nuovo. Interpretazione figlia degli anni Settanta e legata alla versione televisiva più famosa della tragicommedia, quella diretta dallo stesso Eduardo De Filippo per la RAI nel 1977.
Il testo eduardiano è andato in scena nel 1931, l’Italia era sotto una dittatura che proprio in quegli anni raggiungeva il più ampio consenso e la cui parossistica esaltazione della giovinezza confluiva senza soluzione di continuità in quella della tradizione. È improbabile che quando Eduardo lo scrisse avesse in mente il contrasto tra vecchi e giovani, tant’è vero che proprio nel momento che il padre muore Tommasino ne assume l’eredità culturale.
C’è, verso la fine del primo atto, un momento rivelatore per l’interpretazione di questo testo. Tommasino dice al padre che se fosse stato femmina mai avrebbe sposato Nicolino, il marito di sua sorella Ninuccia (che in realtà lei non ama, ma questo Tommasino ancora non lo sa).

«Se tu eri femmina, io come padre che comanda e il figlio deve sottostare, io ti dicevo: sposate a Nicolino e tu te lo dovevi sposare.»
«Se io ero femmina ti rispondevo: non mi piace.»

Questo spiega tutto. Tommasino non avrebbe sposato Nicolino non per contravvenire a un ordine del padre, non è volontà di ribellione quello che lo spinge, ma una valutazione estetica.
Il “presepe” del padre e il marito della sorella sono brutti. Quello che Tommasino emette è un giudizio critico, non un grido rivoluzionario.

Storicamente la strenna era un dono di buon augurio che si faceva in determinate ricorrenze. Oggi è sostanzialmente un prodotto che editori e fabbricanti di mutande buttano sul mercato a dicembre per accaparrarsi una fetta di quello che viene speso per i regali di Natale.
Nel 1986 Andrea Pazienza aveva trent’anni, la stessa età di Eduardo quando scrisse Natale in casa Cupiello. Degli zii titolari di una fabbrica di imballaggi gli chiesero un disegno per decorare le scatole natalizie. Pazienza realizzò per loro un’intera serie di figure del presepe.
In questi giorni l’editore Gallucci – nella diffusa e commerciale tradizione del grattare i fondi dei cassetti degli artisti morti – ha fatto uscire, come strenna natalizia a ventiquattro euro, un box contenente: 1 sfondo autoportante di 1 metro per 30 cm con 4 facciate; 21 figure, da montare sui piedistalli, ciascun personaggio è colorato su un
lato e lasciato in bianco e nero sull’altro, come l’originale, per essere colorato a piacimento; 3 angeli e la stella cometa da posizionare sul cielo con il biadesivo; 1 striscia di biadesivo; 2 miniposter con la riproduzione del disegno originale di Andrea Pazienza.
Mentre guardiamo questo presepe ci convinciamo ancora di più della necessità di fare una rivista come QUASI, che raccolga – soprattutto nel mese dell’invasione delle strenne – intorno a sé tutti coloro che sentono forte l’impellenza critica di rispondere NO! a una domanda stupida come «Te piace ‘o presepe?»

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(Quasi)