Il Divoratore Di Mondi

Paolo Valeri | Antropocomics |

Chi lo dice che le cosmogonie appartengono al passato? Che oggi non se ne scrivono più? Pensate per esempio a quella cosmogonia che racconta di esseri potentissimi, addirittura incarnazioni di concetti, come sono gli Astratti, e varie creature spaziali impegnate in una lotta per il dominio dell’universo: imperi di razze guerriere come gli Shi-ar o società brutali come quella dei Kree. Questa cosmogonia, immaginata dentro realtà che collassano per dare vita ad altre realtà successive, in una perpetua ripetizione del cosmo, è un mito fondativo che comincia quando, nella sesta interazione della realtà, tutta la materia presente comincia a collassare e uno scienziato s’imbarca sopra un’astronave diretta proprio al punto preciso di quel collasso. Galan di Taa, questo il suo nome, è alla ricerca di ciò che esiste fuori dal tempo e dallo spazio ma, dopo che l’astronave su cui viaggia riesce a sopravvivere alla morte della sua stessa realtà, il suo corpo viene riempito di energia cosmica. Quella nave poi si scontra con l’Alfa/Omega, un oggetto contenente tutta la materia e l’energia potenziale, dando origine al Big Bang che porta all’attuale interazione della realtà. Successivamente, per miliardi di anni, l’astronave, grazie al contatto con l’energia cosmica, funge da incubatrice e trasforma quel corpo precedentemente noto come Galan di Taa in un nuovo, potentissimo essere. Costretto a uscire dalla sua incubatrice tecnologica prima del tempo a causa degli attacchi sferrati da civiltà bellicose, l’essere che ne emerge prende il nome di Galactus: un’entità la cui immensa fame può essere placata solo consumando l’energia vitale di interi pianeti, un essere che attraversa gli eoni fregiandosi dell’appellativo di “divoratore di mondi”.

Questa è la cosmogonia alla base delle storie dell’universo Marvel, in cui il primo essere è nato incompleto, svezzato prima del compimento della sua maturazione per colpa di una guerra, e si ritrova al contempo potentissimo e condannato a distruggere per poter sopravvivere. Il suo completamento, sempre precario, avviene a scapito della distruzione altrui. “Divoratore di mondi” è un appellativo perfetto, perché perfetto è l’utilizzo del concetto di “fame” per esplicare in maniera universale quella sua condizione particolare. Ho parlato di sopravvivenza, di una fame di energia, da qui alla facile sovrapposizione tra l’appellativo “divoratore di mondi” e il paradigma estrattivo con cui, in quest’ultima fase della sua esistenza, il capitalismo sta divorando le risorse del pianeta, il passo è davvero brevissimo. Il “divoratore di mondi” è una perfetta metafora che ci rivela all’istante quale tipo di divinità sia il sistema sociale in cui siamo immersi e infatti la sua fame è una fame precisa, non necessita di elementi materiali ma si rivolge a ciò che li sostanzia, quell’essenza che rende possibile il loro cambiamento e il mutamento del loro circostante: l’energia.

Cos’è l’energia? «La grandezza fisica che misura la capacità di un corpo o di un sistema fisico di compiere lavoro». Almeno così dice il manuale di fisica che ho consultato, lo stesso che alla voce “lavoro” afferma: «L’energia scambiata tra due sistemi». Ne consegue che l’energia sia una grandezza fisica che misura la capacità di compiere lo scambio di sé stessa: la fragilità della logica che sostiene questi assiomi mostra quanto l’energia sia una categoria concettuale porosa e malleabile; fortunatamente le discipline fisiche hanno dalla loro un complesso sistema simbolico, quale è la matematica, in grado di sostenerle nonostante tutto.

Perché proprio l’energia per connotare la fame di Galactus? Se diciamo “energia” tutti intuiamo immediatamente, per quanto con contorni indefiniti, di cosa stiamo parlando. Viviamo in un mondo di energia. L’energia è dappertutto. È materiale esperienza quotidiana, dalle batterie del telefonino o dell’automobile alla fatica impiegata per portare a termine un compito, fisico o mentale che sia. L’energia è la trama che sottende tutte le nostre esistenze. È di certo uno, se non il principale, dei cardini attorno a cui ruotano questi concetti nella nostra pratica concreta e quotidiana. Soprattutto è quell’elemento indispensabile alla sopravvivenza e che, in virtù del suo principio di conservazione, si risolve all’interno di un sistema per la sua finitudine: l’energia non si crea e non si distrugge, al massimo la si può cedere e quindi gli attori del sistema sono condannati a contendersela.

Questo è un costrutto, non una verità. Per gli Achuar dell’Alta Amazzonia, per esempio, è possibile uccidere solo per sfamarsi, poiché animali e piante vengono considerati come dei familiari. Questo a seguito di una cosmogonia in cui sia umani che non-umani appartengono allo stesso mondo e sono tutti dotati di un’anima. Siamo noi che tendiamo a occultare le connessioni utilizzando la dicotomia uomo/natura per negare qualsiasi relazione tra le due parti. L’antropologo Philippe Descola l’ha definito “naturalismo”, in contrapposizione all’animismo degli Achuar, tuttavia la cosmogonia che mette al principio di tutto Galactus pare andare addirittura oltre: se è vero che tutte le società ammettono l’esistenza di pezzi di natura ma che solo l’occidente moderno conferisce all’opposizione tra natura e società il ruolo fondante della propria cosmogonia, allora la cosmogonia del mondo Marvel è un’eccezione ma per eccesso. Qui la natura non è proprio contemplata, non esiste se non come aspetto derivativo dell’energia. Non ci sono un uomo e un ambiente che si affrontano da posizioni contrastanti, c’è solo un uomo che entra in relazione con l’artificiale, l’astronave, e si rigenera a partire da questa nuova possibilità. L’ambiente, inteso nel suo senso “naturale”, come categoria antitetica all’umano, non si dà; l’ambiente è solo la possibilità di attingere da esso energia. Più che alternativa, la natura appare secondaria, anzi arriva per terza: prima si dà la tecnologia, poi arriva l’uomo e solo dopo si palesa l’esistenza di un ambiente da sfruttare. Certo, ancora prima della tecnologia c’è l’energia già presente, ma l’energia non è natura, non è nemmeno ambiente. L’energia, in quanto necessaria e finita, si dà già come implicita affermazione di sfruttamento. Questa cosmogonia moderna, coniata negli ultimi sessant’anni ma come tutte le cosmogonie cresciuta attraverso aggiunte e revisioni di più autori, è talmente perfetta nel descrivere il mito del mondo che ci raccontiamo da rendere obsolete sia la Genesi che l’Ogdoade. Forse, e dico forse, potrebbe essere ora di tornare a fare attenzione alle cosmogonie: prima che sia troppo tardi.

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