Comix Board, la rubrica non richiesta dei fumetti che giochiamo

Garbat | Ricreazione |

“Si può scoprire di più su una persona in un’ora di gioco, che in un anno di conversazione.”

Platone

Partire citando un filosofo per introdurre una discussione sullo stretto rapporto tra il racconto figurativo o immaginario della realtà e il gioco, potrebbe essere fuorviante. Fosse solo perchè la determinazione del “logos” nasce come disciplina tra il VII e il VI secolo a.C., quando la civiltà disegnava e giocava già da più di duemilacinquecento anni. Eppure, per Eraclito, Platone e Aristotele la riflessione sul tema del gioco è passaggio fondamentale e non secondario, tanto da essere ripreso dai vari Nietzsche, Erasmo e Kant per poi arrivare ai nostri giorni; in Oriente è un tema affrontato anche da Lao Tze.


Ora, il problema è che quasi tutti i filosofi perdono molto tempo a raccontare come sono le cose del mondo, almeno la loro versione, senza prendersi la briga di volerlo cambiare, mentre tutti gli altri prima di vivere un futuro hanno quanto meno bisogno di immaginarlo. Ecco, nel corso della sua evoluzione etimologica, la parola gioco, dal latino “iocus”, ha assunto questa valenza fantastica e affine alla produzione artistica, relegando l’altro termine, il “ludus” cioè la pratica del gioco come formazione e regola, nella categoria dei significati negativi.

Piu recentemente ce lo ha spiegato, come meglio non si potrebbe, Mark Twain:

«Il lavoro consiste in qualsiasi cosa il corpo sia obbligato a fare… Giocare consiste in qualsiasi cosa il corpo non sia obbligato a fare.»

Mark Twain

Al gioco consegue la lettura, che è la conquista del sapere per la libertà e, come è chiaro dall’inizio della narrazione delle vicende umane, la libertà è tutto.


Già. L’inizio di tutto: quando la prima descrizione della realtà circostante è avvenuta per immagini. Una comunicazione visiva precedente la lingua, un linguaggio senza scrittura ma composto di segni grafici non alfabetici. Contemporaneamente a questa forma di comunicazione e memoria nasceva la pratica del gioco, come testimoniato in quelle stesse immagini.

Permettimi di esemplificare quello che intendo con una rapida cronologia:

  • XXXIII secolo a.C.- XXVII secolo a.C.  il gioco egizio Senet dipinto nella tomba di Merknera.
  • XXV secolo a.C.  raffigurazioni del Senet e dell’Han nella tomba di Rashepes.
  • XXI secolo a.C.  un dipinto in una tomba a Benihassan rappresenta due tavolieri di giochi ignoti. Forse Il secondo gioco potrebbe essere il Tau.
  • XVI secolo a.C. il tavoliere del Liubo inciso nella roccia. Dipinti del gioco di Cnosso.
  • XV secolo a.C.  diversi giochi da tavolo (fra cui AlquerqueMulinoTris, e probabilmente un Mancala) incisi sul tetto del tempio di Kurna.
  • IV secolo a.C. la prima rappresentazione conosciuta del Gioco Reale di Ur.
  • Il primo alfabeto codificato per la scrittura viene fatto risalire circa al XIX secolo a.C.

La descrizione della realtà, la sua vita, le organizzazioni sociali, le idee, le religioni le abbiamo prima disegnate. Le forme di quelle rappresentazioni, poi le abbiamo tramutate in piani di gioco e ci siamo sfidati, messi alla prova, affrontati su tabelloni con dadi e pedine. Una complessità e un legame che non abbiamo dimenticato e ci siamo portati appresso attraverso i millenni.


Scomodando Joan Hiuzinga e il suo imprescindibile Homo Ludens: «La cultura sorge in forma ludica, la cultura è dapprima giocata… Ciò non significa che il gioco muta o si converta in cultura, ma piuttosto che la cultura, nelle sue fasi originarie, porta il carattere di un gioco, viene rappresentata in forme e stati d’animo ludici…Nei giochi e con i giochi la vita sociale si riveste di forme innate che le conferiscono maggior valore.» Magari non del tutto giusto, ma sicuramente poco di sbagliato.

Tutte le culture e le lingue del mondo hanno il concetto dell’albero, ma se poi se ne chiedesse a ogni esponente un disegno, allora sì che che ci si avventura su sentieri sconosciuti; d’altronde uno dei più grandi sapienti del genere umano, Maimonide, ebbe a scrivere che:

«La verità nel bosco è dare un nome ad ogni albero.»

Maimonide

Torniamo a noi. Per farla breve basterà ricordare che tra le infinite cose che ci ha regalato la più grande stagione culturale del nostro paese, quel periodo che sta tra il Rinascimento e l’Umanesimo, ci sono le carte da gioco e il gioco dell’oca. In quel preciso momento la materialità di un’idea e di un pensiero si fecero pratica di gioco, raffigurando in forma di allegoria con dei semplici disegni, quella debordante cultura intrisa di scienza, filosofia, magia e religione.

Era la definitiva codificazione dei tre grandi filoni del modus del gioco, nel quale si identificavano e codificavano le ultime due pedine mancanti: le carte ed il tabellone del gioco di percorso. La terza grande famiglia era formata dai giochi di strategia e di posizionamento delle pedine, gli scacchi e la dama per capirci, più o meno abbinati all’uso dei dadi. Per intenderci i tre giochi capostipite del genere umano, il Sent egizio, il Gioco Reale di Ur e i dadi, contenevano tutte le caratteristiche di base dei sistemi di gioco moderni basati su immagini e contrasti cromatici, percorsi con caselle di inizio e di fine e quanto altro.


Una tradizione lunga trentacinque secoli, lega la rappresentazione figurativa della realtà, del pensiero umano e del racconto per immagini alla prima forma concreta di interazione sociale che non fosse scaturita da mere esigenze materiali: il gioco. Questo legame, nato da espressioni religiose ed iniziatiche, si è sempre mantenuto al passo con l’evoluzione e ha saputo incarnare molte delle pulsioni del genere umano, il denaro, la guerra, la filosofia, l’etica, la violenza, l’amore e quanto altro vuoi trovarci. Ecco, fai fermentare altri due o tre secoli e tra l’epoca dei Lumi e la Rivoluzione industriale vittoriana, con l’avvento dei giornali, delle tecniche di stampa, delle nuove scienze e di una società in sempre e continuo progresso, nasce una nuova attenzione e un nuovo modo di fruizione di cose antichissime; nascono le vignette satiriche, le strisce sui giornali, insieme alle quali torna il gioco dell’oca, mentre dalle carte del gioco d’azzardo si passa alle figurine stampate per accompagnare la descrizione del mondo che viene, fino ad arrivare alle radio con i colori e le immagini … agitate mescolate e servite.

Intorno alla fine degli anni Venti del Novecento la popolare serie di comic cartoon Toonerville Folk, disegnata da Fontaine Talbot Fox Jr. epubblicata dal 1908 sull’inserto domenicale del “Chicago Post” dopo che, tra il 1920 ed il 1922, ha visto la realizzazione di ben diciassette film (i classici corti della cinematografia di quegli anni), esce anche in formato di gioco da tavolo, con un sistema di gioco di percorso con lancio dei dadi e movimento delle pedine nello stile del gioco dell’oca.

Stessa sorte e stessa meccanica di gioco tocca, negli anni Trenta, alla striscia domenicale del “Chicago Tribune” The Gumps di Robert Sidney Smith,pubblicata dal 1917 sempre nell’inserto domenicale e divenuta anche lei negli anni Venti un corto animato e due film prodotti dalla prestigiosa Universal, nonché un programma radiofonico che sopravviverà fino al primo dopo guerra.

Erano solo cento anni fa, non era l’inizio cui ti ho accennato, ma da quel momento non ci siamo più fermati dal giocare anche i nostri fumetti preferiti; proverò qui a raccontarti questo splendido viaggio.


Immagine di copertina: Il gioco reale di Ur.

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