Sospeso nel tempo con Chris Ware

Claudio Calia | post-it |

Da quando ho capito che il PAFF! di Pordenone è sostanzialmente a un’ora di macchina da casa mia, ho cominciato ad andarci abbastanza spesso. Me lo ha consigliato la mia terapeuta tempo fa: «se ci sono posti in cui stai bene, non farti problemi ad andarci. Prenditi il tuo tempo» (poi ha detto anche «respira» ma questo è ininfluente ai fini di questo articolo). Al PAFF! ci sto bene. Se non c’è niente, c’è una mostra permanente bellissima. Ma è rarissimo che non ci sia niente. Non vi annoio sull’estasi provata nel tempo a trovarmi davanti a tavole originali di Herriman, di Segar, di Eisner, i personaggi in plastilina della Aardman, la faccio breve: oggi era un giorno di quelli e al PAFF! c’è la mostra di Chris Ware.

Sono stato fortunato, con Chris Ware. L’ho preso dall’inizio lui, non dal numero 2 come mi capita spesso. L’ho preso dall’inizio grazie a Omar Martini, di quante cose mi trovo sempre a ringraziarlo, che nel ’93, quando usciva il primo numero di “Acme Novelty Library”, lavorava all’allora Alessandro Distribuzioni a Bologna e, come capitava spesso – a ben vedere continua a capitare anche oggi che abbiamo vite diverse – me lo ha consigliato. Per cui ho potuto vedere la sua ascesa dal grado 0, praticamente: i formati sempre diversi degli “Acme Novelty Library”, l’edizione in volume di Jimmy Corrigan the Smartest Kid On Earth (2000), la curatela del numero 13 della rivista letteraria “McSweeney’s” (2004), passando per Building Stories e arrivando a Rusty Brown, praticamente in diretta e restando sul pezzo quanto poche volte mi è successo.

Quante volte ve lo devo dire. Visitare il PAFF! è bello. A me già un’entrata così fa quello che deve fare.

Si parte subito con lui, Jimmy Corrigan.

Lo sapete vero, che Chris Ware fa tutto, ma proprio tutto, a mano? Come fa, a tirar sempre fuori il segno giusto, io non lo so.

Ah ah! Sgamato. Son dovuto andare a pescare una tavola GIGANTESCA di Quimby the Mouse, per trovare delle correzioni a tempera bianca. SBAGLI ANCHE TU!

Se dovessi farvi vedere tutte le foto che ho scattato secondo me mi troverei una denuncia. Per cui devo tirare dritto.

Passo a bocca aperta e in estasi le sezioni della mostra dedicate a Jimmy Corrigan, ad “Acme Novelty Library”, a Building Stories, alle collaborazioni con il “New Yorker” mentre mi cova una strana sensazione. Dove cavolo sta Rusty Brown? Comincio a fare congetture, non ho sfogliato il catalogo, neppure ho letto cosa c’era scritto sul sito o sul volantino, magari è una mostra vecchia, magari è stata organizzata prima che lo facesse e gira il mondo da anni, e anni, e anni…

Rusty Brown sta al piano di sotto. Lui e Quimby.

Ve l’ho detto che le tavole di Chris Ware sono gigantesche, vero? Ecco, io neanche capisco come fa a scansionarle, quelle robe là. Quelle su Joanne Cole sono GIGANTESCHE davvero, e vederle così c’hanno un ritmo e una composizione che ti parlano pure se le guardi da lontano.

Ora mi avete capito. Uno si sveglia così, pensa alle cose, alla vita, alle mille incombenze che lo soffocano (come capita a tutti, eh), i lavori da fare… e piglia la macchina e va a vedersi la mostra di Chris Ware a Pordenone perché ha bisogno di liberarsi di tutto per un momento. Si dà il caso che quest’uno sia anche uno per cui i fumetti nelle loro varie articolazioni sono proprio un’ossessione. Anzi, uno per cui i fumetti sono proprio un’ossessione che soffre di una grave forma di sindrome dell’impostore. Ma, si dice questo tizio, è tutto così geometrico in Chris Ware, è tutto così architettonico, sembrerà tutto così freddo, a noi (me e il tizio) piace il segno gestuale, lanciato come un secchio di vernice sul foglio, che dipinge le forme dai loro contorni traballanti. A parte che nulla in tutta l’esposizione sembra minimamente freddo (e ogni singola righetta è fatta a mano, maledetto!)… poi vedi gli schizzi dal suo sketchbook.

E quel tizio, quello con l’ossessione dei fumetti e la sindrome dell’impostore, quello che voleva rilassarsi un attimo astraendosi dal mondo, solo per un istante, in una delle prime domeniche quasi estive di questo 2024, proprio quel tizio l’unica cosa che ha pensato, alla fine, uscendo dalla mostra, mosso da un sentimento disdicevole, è:

«Le dita da piccolo, bisognava spezzargli.»

La mostra Chris Ware: la prospettiva della memoria è aperta fino al 12 maggio. Chi può, si faccia un bene.

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