Il segreto dell’arto fantasma

Paolo Interdonato | post-it |

Sono nella fortunata posizione di potermi dare i compiti delle vacanze da solo. Sono sempre stato un pessimo spettatore di serialità televisiva: riesco a vedere qualche puntata di una serie, magari mi ci appassiono anche, ma, dopo qualche serata, mi dimentico cosa stavo facendo e mi metto a cazzeggiare diversamente. Mi sono imposto la visione di una serie, dall’inizio alla fine, tutte le stagioni, senza saltare nemmeno una puntata. Ho aperto la piattaforma di streaming video cui sono abbonato, ho scorso le serie disponibili e ho scelto quella con il protagonista con la faccia simpatica: House M.D.
Ne avevo visto chiaramente qualche puntata in passato e sapevo di cosa parlasse. Otto stagioni , ventiquattro puntate per stagione, una quarantina di minuti per puntata: centoventotto ore di televisione; cinque giorni e un terzo di serialità. Le vacanze non sono eterne: se voglio riuscirci, devo inocularmele con costanza e determinazione. Mica una medicina. Proprio una droga. Vicodin, direi.

Quando ancora le serie si guardavano affidandosi al Torrent, avevamo una grande tolleranza nei confronti della pirateria (la mia non ha subito flessioni, ma a volte che non mi fido di te). In quei giorni, c’era una codifica condivisa per raccontarsi la gioia dell’uscita del nuovo episodio delle nostre serie preferite: bastava scrivere “3×16” (la chiave di ricerca di un episodio – in questo caso, il sedicesimo della terza stagione) perché tutti sapessimo di cosa si stava parlando.

Ieri sono arrivato a House M.D. 3×16. È l’episodio Top Secret, trasmesso per la prima volta negli Stati Uniti il 27 marzo 2007. Non è uno dei più belli. Anzi è abbastanza inutile nello sviluppo della serie e non presenta uno di quei dubbi etici che caratterizzano quello Sherlock Holmes medicale circondato da troppi Watson. Però ha un guizzo. Subito. All’inizio.

Il dottor Greg House, primario di diagnostica dell’ospedale universitario Princeton-Plainsboro Teaching Hospital, nel New Jersey, ha un incubo.
Guardo quella sequenza. La conosco. Mi ha già fatto piangere.

B.D. è, tra gli stronzi reazionari, uno delle cui vicende personali mi sono interessato maggiormente. Era l’insopportabile compagno di stanza del democratico Mike presente, fin dalle prime strisce, nella striscia Doonesbury di Gary Trudeau. Militarista immarcescibile lo abbiamo sempre visto con indosso un casco da football o un elmetto militare. La sua pettinatura, così come il suo nome all’anagrafe, è uno dei misteri della striscia. Resterà tale fino al 21 aprile 2004, quando viene colpito da un missile, nei pressi di Falluja, durante un’operazione militare.
Riguarda con me quella sequenza di strisce.

Non sono riuscito a smettere di pensare a B.D. per i successivi 40 minuti. Appena l’episodio si è concluso, con una trovatina di raccordo utile solo a sottolineare la tensione emotiva (ed erotica) tra House e la sua capa, la dottoressa Lisa Cuddy, ho infilato un’altra perlina nel filo dello strano anello.

Questa volta lo scenario di guerra è in Afghanistan. In Iron man, il film del 2008 che dà la stura al Marvel Cinematic Universe, quello stronzo geniale di Tony Stark viene colpito da armi che ha progettato e che commercializza con le sue aziende: la legge del contrappasso sa essere bastarda.

Mi piace osservare, in questa traiettoria che non so chiudere come se fosse uno strano anello, una differenza assoluta tra l’immaginario di Hong Kong e quello statunitense. Nel cinema di arti marziali – da Con una mano ti rompo, con due piedi ti spezzo (1971) a Dragon (2011) – la mutilazione è il passaggio obbligato di un processo di crescita fisica e morale. Il guerriero diventa invincibile anche attraverso la mutilazione.
Nei frantumi di immaginario statunitense polarizzati da House 3×16, la mutilazione è punizione che rende umani i personaggi più deleteri.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)