Nessun segno ha diviso il mondo come hanno fatto quelli usati per la divisione e del resto proprio la divisione è l’operazione politica ed economica per eccellenza: divide et impera, mi pare si dica. Accadde nel XVII secolo e i segni erano due: l’obelus (÷), usato in Gran Bretagna, nei suoi domini e poi negli Stati Uniti, e il colon, inteso come i due punti e non il tratto terminale dell’apparato digerente, diffuso nell’Europa Continentale e nei Paesi latino-americani.
Chi abbia per primo introdotto l’obelus, tra John Pell e il suo allievo svizzero Johann Rahn, non è chiaro. La vicenda è piena di buchi come l’emmentaler e si svolge subito dopo la guerra dei trent’anni, una serie di conflitti che ebbero luogo in Europa tra il 1618 e il 1648 e ne modificarono l’assetto economico e politico. A decretarne la fine era intervenuta la pace di Westfalia, un trattato firmato alla conclusione dei negoziati tra le delegazioni protestanti confinate a Osnabrück e quelle cattoliche segregate a Münster. Il trattato, tra le altre cose, fissava delle clausole territoriali che rendevano la Svizzera un Paese indipendente. Nonostante le differenze religiose la Svizzera era infatti riuscita a non farsi coinvolgere nella guerra, un atteggiamento che presto si sarebbe trasformato in neutralità permanente nei confronti di qualsiasi conflitto. Le divergenze entro e fuori i suoi confini non erano però mai state del tutto sopite e Oliver Cromwell, «Lord protettore d’Inghilterra e le sue verruche», cercò di approfittarne spedendo in missione diplomatica a Zurigo un suo uomo fidato, John Pell, professore di matematica a Londra, col compito di convincere i rappresentanti delle famiglie che amministravano i cantoni protestanti a partecipare a una sorta di lega guidata dall’Inghilterra.
John Pell era uno che non passava inosservato. Portamento elegante, voce profonda, un tipo sanguigno e malinconico, straordinariamente bello, dicevano. Forse fu anche per questo, certamente per la sua predisposizione a organizzare gruppi di interesse e pressione, a fare lobby insomma, che Cromwell lo scelse. Era il 1654, cinque anni da quando si era realizzata «la cosa più interessante del regno di Carlo, il primo» e cioè il fatto che era «alto 5 piedi e 6 pollici all’inizio del suo regno ma solo 4 piedi e 8 pollici quando finì». Il povero Carlo «poggiò la testa sul ceppo», l’ascia cadde e «nel silenzio che seguì l’unico suono che si poté sentire fu quello della risatina di Oliver Cromwell» (apprezzerete di più questi versi recitandoli con in sottofondo le note della Polacca in La bemolle maggiore op. 53 – l’eroica – di Chopin).
Pell a Zurigo non combinò granché ma ci rimase fino al 1658. Una piccola parte del suo prezioso tempo l’aveva dedicata a Johann Rahn, che non aveva una biografia interessante ma solo una moglie di nome Ursula, al quale spiegava la matematica ogni venerdì sera. «Lo visito ogni settimana», affermò Rahn in una lettera al teologo e orientalista Johann Heinrich Hottinger, «tutto il tempo lo dedichiamo a ricreazioni matematiche, nel cui campo lo considero incomparabile». La imparò così bene la matematica che nel 1659 diede alle stampe la Teutsche Algebra, oder algebraische Rechenkunst, zusamt ihrem Gebrauch, il primo corso di algebra mai pubblicato in tedesco, testo in cui appare per la prima volta l’obelus ÷ come segno per la divisione.
Obelus viene da ὀβελός e in origine indica un piccolo spiedo o comunque qualsiasi strumento che in lungo si assottiglia, come gli obelischi appunto, monoliti a quattro lati che finiscono a punta e che gli Egizi sistemavano in coppia all’ingresso dei templi. Gli obelischi non sono piccoli in assoluto, lo erano a confronto con le piramidi, per questo il paragone regge. L’obelismo poi potrebbe benissimo essere una patologia dell’apparato sessuale maschile, ma è meglio non approfondire. Il segno fa invece parte di un sistema di simboli editoriali usati per marcare parole e passaggi discutibili in un testo, la lineetta che infilza i puntini simboleggia il taglio della materia dubbia. Aristasco, nell’ordinare i poemi di Omero, annotava con gli spiedini i versi spuri e alterati mentre gli autori ecclesiastici, a cominciare da Origene, li usavano per indicare quello che nei testi non era di origine ebraica. Nel XVII secolo, soprattutto in Germania, Svizzera e Olanda, quel segno era usato per la sottrazione e così pure il trattino. «Come?» deve aver pensato Rahn «due segni per la sottrazione e nessuno per la divisione? Non è mica giusto!».
Nel 1659 Pell è di nuovo a Londra. Arriva solo pochi mesi prima della morte di Cromwell ma non riesce a parlargli. Ha una crisi mistica o non ha altro da fare o tutte e due le cose, non si sa, e così diventa diacono, poi sacerdote e viene infine eletto, nel 1663, membro della Royal Society. Non accade tanto per meriti scientifici, per la sua reputazione di studioso di matematica, quanto per la sua influenza nei circoli culturali del tempo, alimentata da contatti personali e corrispondenze, in particolare col solito John Collins che della Royal Society era bibliotecario. Quando Thomas Brancker, due anni più tardi, bussa alla sua porta e gli comunica che sta traducendo la Teutsche Algebra, quasi gli prende un colpo. Pell precisa subito che l’autore di quel libro è stato suo discepolo, una cosa che sanno in molti peraltro, e che quelle robe lì son copie di documenti prodotti in sua presenza o che lui gli aveva dato da trascrivere: «Se vuole che io riveda il lavoro di Monsieur Rhonius ma, soprattutto, se vuole che la sua traduzione venga stampata ne deve prendere atto». Brancker lo fa e il libro esce a Londra nel 1668 col titolo An Introduction to Algebra […] Translated by Thomas Brancker. Much altered and augmented by D. P. (dove D.P. sta per Doctor Pell). Da quel momento sarà l’Algebra di Pell.
Chi aveva plagiato chi? Non è chiaro, attribuzioni esplicite non ve ne sono, possiamo solo fare illazioni, come quelle che fece John Collins nella sua lunga corrispondenza con John Wallis e Isaac Barrow chiamando ripetutamente l’obelus «simbolo di Pell». In ogni caso, il segno svizzero (chiunque ne sia stato l’autore), una volta importato in Inghilterra con la traduzione del testo di Rahn, ebbe qui e nei paesi su cui esercitava influenza grande successo, mentre nell’Europa continentale no, continuavano a intenderlo come segno di sottrazione. Così fece il matematico e astronomo olandese Christiaan Huygens in un articolo pubblicato nel 1670 nelle Philosophical Transactions of the Royal Society, la prima rivista al mondo dedicata alla scienza. Per la divisione bisognava accontentarsi di quello che passava il convento: qualcuno, tanto per non fare confusione, usava la croce di Sant’Andrea, altri s’accontentavano del solito brioso Stifel e ci mettevano una D.
Pell nel frattempo aveva litigato con Collins, col quale aveva persino convissuto. «Censuri gli altri, non sai comunicare» diceva il John bibliotecario grafomane al John matematico frustrato. Si separarono e Pell finì in rovina, pieno di debiti e per ben due volte in carcere. Quando tornò definitivamente in libertà, senza più un posto dove andare, si fece ospitare da conoscenti e infine, nel 1685, morì a casa del signor Cothorne, lettore della chiesa di St Giles-in-the Fields, la chiesa dei Poeti del Borgo londinese di Camden, lasciando in eredità un enorme guazzabuglio di manoscritti.
A introdurre il colon come segno per la divisione fu invece, nel 1684 (in un articolo ospitato negli Acta eruditorum, il primo giornale scientifico tedesco), Gottfried Wilhelm von Leibniz. Il merito della sua affermazione fuori dalla Germania va a Christian Wolf, tedesco e filosofo, «il più grande di tutti i filosofi dogmatici» secondo Kant. Wolf conosceva fin troppo bene Leibniz e la sua opera e, come molti altri filosofi, riteneva che il metodo della matematica, se applicato correttamente, potesse essere utilizzato per espandere le altre aree del pensiero umano. Molti anni più tardi, un filosofo neo-romantico del XXI secolo, Gramellini, si sarebbe opposto strenuamente a questo punto di vista sostenendo, in un celebre e appassionato articolo, che «la dittatura dell’algoritmo è l’ultimo rifugio di un certo tipo di persone, per lo più maschi intellettuali con il cuore a forma di granchio e gli occhi a forma di dollaro». Gli occhi di Wolf non erano a forma di fiorino e questo gli consentì di scrivere nel 1713 un trattato di algebra, poi tradotto in francese, in cui faceva largo uso di quel segno.
Era fatta, il mondo s’era ormai diviso, metà con l’obelus, metà col colon, una situazione che sarebbe durata per un paio di secoli. Nel 1923, infine, i membri del National Committee on Mathematical Requirements under the Auspices of the Mathematical Association of America, sottolineando come né il segno ÷ né il segno : giocassero alcun ruolo nella vita economica, stabilirono che l’uso della forma frazionaria era più opportuno e che, quando il significato era chiaro, dovesse essere usato il segno / al posto dell’obelus. Più che un obelisco serviva una Torre di Pisa. O il chitarrista dei Guns N’Roses.