Giochi di ruolo for dummies – 1

Paolo Interdonato | La cassetta degli attrezzi |

Una chiacchierata tra Paolo Interdonato e Andrea Porrini, giocatore.

Paolo: Allora, Andrea… Tutta questa storia è iniziata quando, durante un pranzo, mi hai raccontato che fai il master nei giochi di ruolo. E che lo fai da trent’anni! Io, abituato come sono a frequentare le mostre mercato del fumetto, ero scioccamente convinto che i giocatori di ruolo godessero di qualche feticismo e, di nascosto, si vestissero da elfi troll e maghi… Invece, ti incontro in camicia e cravatta tutti i giorni.

AndreaP: Intanto, Paolo, grazie per la possibilità di poter chiacchierare di questo che è un hobby per molte persone. Sì è vero: ogni giorno mi vedi in ufficio in giacca e cravatta e la sera quando vado a giocare… beh tolgo solo la cravatta. Il gioco di ruolo è praticato da gente di tutte le età, dai più giovani e ai meno come me, e di ogni professione, dallo studente al professionista affermato.
E’ vero tuttavia che se si partecipa a convention dedicate o a particolari tipi di gioco di ruolo detti “dal vivo” lì davvero incontri gente che si veste in modo particolare.

Tra Stranger Things e Big Bang Theory mi pare ci sia ormai un’accettazione sociale diffusa del gioco di ruolo… Non devi per forza mettere quella cravatta, Andrea. Vieni in ufficio con uno spadone o con il cappello di Gandalf!

Magari me li farò prestare da qualche amico che ne possiede: io ho solo tanti libri.
Di recente i giochi di ruolo sono tornati in auge, grazie soprattutto ad alcune sitcom e webcast che ne hanno diffuso la conoscenza anche tra i profani come te. Inevitabilmente c’è ancora un po’ di confusione.
I giochi di ruolo nascono negli anni Settanta e, nel tempo, hanno avuto una popolarità altalenante molto spesso legata alle uscite editoriali di volta in volta promosse. Questo andamento ha prodotto delle ondate che hanno favorito diversi tipi di gioco.
A me piace classificarli sulla base del tipo di narrazione che mettono in scena.

Però prima, sii gentile: come dici sono un profano, raccontami cos’è un gioco di ruolo con parole così semplici che le possa capire anche io.

Lo devi capire anche tu? Bella sfida! Ci provo, ma non garantisco… Un gioco di ruolo è un gioco di società non competitivo, in cui i partecipanti raccontano una storia guidata. Ha alcune peculiarità.
Innanzi tutto c’è un giocatore che guida la narrazione e trasporta gli altri giocatori in una storia che può essere semplice o complessa.
Poi c’è un regolamento, simulativo a vari livelli, che guida lo svolgere delle azioni raccontate, supportato, spesso ma non sempre, da una componente casuale.
L’assenza di competitività fa sì che i partecipanti si accordino, implicitamente, per raccontare questa vicenda. Non esiste, o per lo meno non dovrebbe esistere, rivalità fra chi conduce il gioco e i partecipanti, o fra i partecipanti stessi. Si vince solo se ci si diverte raccontando la storia.
Infine non esiste la plancia di gioco, quello che voi chiamate tabellone come nel Gioco dell’Oca o nel Monopoly. I giocatori si siedono intorno al tavolo e chiacchierano. In mezzo possono esserci i bicchieri e le bottiglie e i taglieri con i formaggi e i salami. E siccome raramente qualcuno è vestito da troll o da mago, li potresti scambiare per amici in osteria che si raccontano delle storie. Certo puoi avere dei fogli di carta su cui tracciare mappe o segnare delle note, o al giorno d’oggi in epoca di pandemia, puoi giocare il tutto attraverso Virtual Tabletop, programmi che ti permettono di giocare a distanza.
Tieni conto che queste caratteristiche, che definiscono il gioco di ruolo, in alcune “avanguardie” possono di volta in volta mancare: ci sono giochi senza chi dirige il gioco o senza casualità ad esempio. Ma probabilmente ne parleremo più avanti.
Come ti dicevo poi ci sono forme di gioco dal Vivo, oppure via forum o chat, ma queste sono solo varianti di come si gioca, non del gioco stesso.

Come è cambiato questo modo di raccontare storie che diventa gioco?

In mezzo secolo i giochi di ruolo hanno continuato a cambiare, evolvendosi e modificandosi. In questo modo i giochi, il modo di giocarli e le forme di narrazione condivisa hanno identificato diverse tipologie di gioco.
Ogni nuova tipologia non ha fatto sparire le precedenti. Anzi i giochi delle tipologie passate sono sopravvissuti e continuano a essere giocati, magari reinterpretati alla luce dei nuovi modi di giocare, con edizioni pensate appositamente per un pubblico giovane che non ha potuto conoscere le vecchie.
Un modo per determinare e riconoscere queste diverse tipologie di gioco è secondo me la disamina del peso che hanno avuto quattro elementi nella narrazione: chi dirige il gioco, il regolamento, la casualità e la storia.

Mi piace questa idea culinaria di un gioco di narrazioni. Il modo in cui la composizione degli ingredienti dà vita alla forma del racconto e del divertimento. Raccontamelo dall’inizio.

Iniziamo dalla vecchia scuola. Sono i primi giochi di ruolo e nascono come eredi dei war game da tavolo. Hanno un regolamento semplice per lo più centrato nella risoluzione degli scontri e in cui ciò che non è codificato viene deciso da chi dirige il gioco.
Accanto al regolamento c’è un importante elemento di casualità che impernia la storia da due prospettive. Da un lato aggiunge elementi che neanche chi dirige la storia conosce in anticipo; dall’altro influenza fortemente gli eventi che riguardano i personaggi giocati in modo che il loro futuro risulti incerto a ogni passo. Chi dirige il gioco ha potere assoluto nelle determinazioni degli eventi e nell’interpretazione delle regole, anche se accetta che la casualità possa modificare ciò che avviene e introdurre nuovi fatti nella vicenda narrata.
La storia si sviluppa linearmente e ha uno scopo chiaro. Poco peso hanno le evoluzioni e le psicologie dei personaggi interpretati dai giocatori: la vicenda si riassume spesso in una serie di scontri che portano al raggiungimento di un fine ben noto dall’inizio. In più la verosimiglianza dei luoghi raccontati è secondaria se non addirittura trascurabile.
Un esempio può essere entrare a saccheggiare un labirinto popolato da mostri: cosa ci fano tutti questi mostri, come convivono, perché sono lì i personaggi giocati, sono domande secondarie.
Chi si trova intorno al tavolo racconterà una storia facile, in alcuni punti quasi meccanica, nella quale i personaggi giocati non sono approfonditi: è poco importante cosa dicono o pensano; lo è molto di più come agiscono per raggiungere il fine senza che il loro personaggio venga sconfitto dagli eventi o dalla casualità.

Sembra, Andrea, che tu stia raccontando i fumetti seriali italiani. Dimmi, per favore, che esiste una speranza di evoluzione.

Interessante questo parallelismo con i fumetti italiani: quando abbiamo un momento me lo spieghi.
Comunque sì, c’è. La chiamiamo scuola di mezzo. O meglio, la chiama così Mauro Longo in un suo bell’articolo. Nasce nella prima metà degli anni Ottanta da un’evoluzione della vecchia scuola, quando la casualità perde importanza a vantaggio della storia. E ti confesso che è la mia preferita.
Nella scuola di mezzo la storia narrata diventa complessa e intricata, con finalità da scoprire mentre scorre la trama, e i personaggi giocati ne sono i protagonisti. Il mondo in cui si svolgono le vicende è verosimile e descritto in forma approfondita per dare alla storia e ai personaggi uno sfondo realistico. Il regolamento diventa sempre più simulativo, così da accompagnare la veridicità della storia, e la casualità diventa meno importante: gli eventi casuali spariscono progressivamente e anche l’aleatorietà che accompagna l’agire dei giocatori nei momenti topici diviene trascurabile se contrasta il racconto della storia: nessun personaggio morirà per un tiro di dado sbagliato, ma magari per una scelta sbagliata o in un momento topico sì.
Chi dirige il gioco, d’altra parte, mantiene il potere assoluto, rappresentato dalla regola 0, che deve usare per far procedere la storia, valorizzando le scelte dei giocatori: la sfida per lui sta nel trovare il giusto equilibrio fra la storia e la libertà dei giocatori. Problema che nei giochi di ruolo viene detto Railroad.
Un esempio di storia può essere la saga di un gruppo di farabutti che per varie vicende viene a salvare un regno fino ad ereditare una propria baronia come ricompensa.
Chi si trova intorno al tavolo racconterà, allora, una storia complessa, spesso epica, nella quale i protagonisti sono i personaggi interpretati dai giocatori e la storia stessa. I personaggi avranno una psicologia forte e sarà importante cosa dicono e cosa scelgono di fare in un mondo sempre più ricco.
E questa è la base di partenza per la nuova scuola.

Aspetta. Cos’è un regolamento simulativo?

E’ un termine derivato da un lavoro del 2008 di Ronald “Ron” Edwards che ha introdotto il Big Model, un modo di classificare i giochi di ruolo.
Semplificando i regolamenti (lui dice i giochi di ruolo) possono essere simulativi, narrativi o gamisti: un regolamento simulativo ricerca una simulazione della realtà nelle dinamiche di gioco, un regolamento narrativo favorisce la narrazione a scapito delle regole o della simulazione, mentre un regolamento gamista ricerca giocabilità e consistenza delle regole anche a scapito della veridicità o della narrazione. Ovviamente sono categorie che hanno delle sfumature.
Forse banalizzando, un esempio facile ci viene provando ad applicarlo ai giochi da tavolo più classici. Risiko ha un regolamento gamista: le regole non vogliono simulare la realtà ma solo rappresentarla in un modo equilibrato e consistente. Un Wargame per appassionati, dove la mappa è un foglio ricoperto con esagoni, le unità hanno diverse capacità di movimento o di forza per simulare la realtà ha tipicamente un regolamento simulativo. I giochi da tavolo classici per loro natura male si prestano come esempio di regolamenti narrativi.

Perché non parli mai di master e giocatori, ma dici “chi dirige il gioco” e “chi sta intorno al tavolo”?

Per due motivi: il primo è perché anche il master è un giocatore, con un ruolo diverso ma non predominante sugli altri. Secondo me il nome ha creato spesso, soprattutto nei neofiti, dei fraintendimenti. Il secondo è legato all’evoluzione della figura del “master” nel tempo: arbitro, narratore, regista. Beh preferisco dire chi dirige il gioco che mi pare più neutro.
Alla fine tutti stanno intorno al tavolo.

Ecco, a me questa idea conviviale piace molto. Vado a prendere da bere e poi, se vuoi, mi dici della nuova scuola.

(continua)

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