Quando tutto si tiene

Boris Battaglia | Strani anelli |

Durante i concitati mesi che seguirono la caduta del Secondo Impero, a causa della sconfitta subita da Napoleone III nella guerra contro la Prussia, e la nascita della Terza Repubblica, il Consiglio dei ministri trasferì la sua sede nel palazzo d’Orsay, che sorgeva sulla sponda sinistra della Senna nel punto più centrale di Parigi.

Quando nel marzo del 1871 il popolo parigino insorge contro il governo Thiers per impedire la consegna di Parigi alle truppe di von Bumenthal, il palazzo D’Orsay viene dato alle fiamme. In qualche modo è l’atto d’inizio della Comune che verrà proclamata il 28 marzo, con l’insediamento dei delegati appena eletti nel Consiglio della Comune. Tra i delegati neoeletti c’è Gustave Courbet. Nei due mesi che durerà la Comune, non avrà incarichi militari, ma sarà molto attivo dal punto di vista culturale. A lui si deve, per esempio, l’abbattimento della colonna Vendôme.

Se vai a rileggere quell’assoluto gioiello che è Il grido del popolo di Jean Vautrin e Jacques Tardi, nelle ultime quattro tavole del primo volume italiano (e del secondo francese) ci troverai, splendidamente raccontato, attraverso un divertito battibecco tra Nadar e Courbet, lo “sbullonamento” della colonna. Lo sguardo di Courbet si allarga fino all’imponente crollo che chiude il volume.

Courbet all’epoca è un pittore famosissimo; pensa che nel 1867 può rispondere all’Esposizione Universale che non vuole le sue tele realistiche e scandalose, con una personale che sarà sempre affollatissima. Sono quelli gli anni in cui realizza la famosissima Origine del mondo.

Finita la Comune Courbert finisce prima in carcere dove la sua vena artistica si secca, e poi esule in Svizzera, dove morirà pochi anni dopo.

La sua pittura, senza appartenere ad alcuna scuola, influenzerà tutto quello che verrà dopo, in particolare l’Impressionismo. Degas, per esempio, realizzerà i sui capolavori proprio sotto l’influenza dell’opera di Courbet. A Degas, Emanuele Fior dedica il suo Variazioni d’Orsay, e non a caso. Lo sai no, che Degas sosteneva che l’arte va studiata nei musei e che si sarebbe dovuto fucilare chiunque dipingesse all’aria aperta?

Una trentina d’anni dopo che fu distrutto dalle fiamme livellatrici della rivoluzione comunarda, ed esattamente per l’Esposizione Universale del 1900, sulle rovine del palazzo d’Orsay fu costruita una stazione che doveva raccogliere tutto il traffico ferroviario proveniente da sud-ovest. Ma Parigi era una città in continua trasformazione e a metà degli anni Trenta del secolo scorso, il grande traffico fu dirottato alla gare d’Austerlitz e la d’Orsay fu declassata a stazioncina per il traffico regionale (non c’entra niente con questo strano anello, ma mi piace sottolineare che oggi anche la gare d’Austerlitz ha perso importanza a favore della gare Montparnasse che è capolinea della linea TGV, ma Parigi è fatta così, non sta mai ferma). Insomma, per fartela breve, nel 1978, essendo diventata inutile come stazione, la d’Orsay fu trasformata, su progetto di Gae Aulenti, in un museo: dove, per la postuma felicità di Degas, è stata raccolta una delle più importanti collezioni di dipinti impressionisti.

Se ci fai un salto puoi gustarti un sacco di incredibile bellezza, tra cui l’Olympia di Manet. Tutto, (dall’uso del colore, alla scelta dell’illuminazione, alla composizione) in questo dipinto, e nell’altro di Manet, altrettanto bellissimo, Le petite déjeuner sur l’herbe (che puoi vederti lì insieme all’Olympia) concorre a mettere in crisi il nostro sguardo, che è costretto ad assumersi la sua responsabilità, mentre scivola sui corpi, della loro nudità.

In questo suo tematizzare la crisi dello sguardo (maschile), cominciata nel 1857 con Le signorine in riva alla Senna e deflagrate nel 1866 con l’Origine del mondo, Manet è forse colui che meglio ha compreso la lezione di Courbet.

Quanto c’è dell’Olympia di Manet nell’opera che, nel 1881, Jules Barbier e Jacques Offenbach traggono dall’omonimo racconto di ETA Hoffman, in cui la fanciulla di cui l’autore è invaghito si rivela un automa?

Probabilmente molto, e c’è, nel racconto e nell’opera, quel senso profondo che c’è nel fatto che Bastien Vivès, Ruppert e Mulot mettano l’Olympia al centro del secondo episodio della saga delle tre bellissime ladre d’arte.

Olympia è brutta, non c’è dubbio, ma non ha importanza. Non c’entra nulla la bellezza. Come nota Foucault, il suo corpo è colpito da una luce che sembra venire da lei stessa. Olympia non ha bisogno di nessun ideale di bellezza a cui rifarsi, basta a se stessa. E questa è la consapevolezza a cui arrivano le tre protagoniste del libro di Vivès, Mulot e Ruppert, Quanto affermato prepotentemente dall’organo genitale dipinto qualche anno dopo l’Olympia (un paradosso da strano anello: il maestro che chiude il discorso cominciato dal “discepolo”) da Courbet, che è bello nella sua perfezione anatomica a prescindere da qualsiasi ideale di bellezza a cui possa essere piegato il corpo femminile, che in quel dipinto è appunto assente.

Nel 1995 il dipinto di Coubert, che apparteneva alla collezione privata di Jacques Lacan, è ceduto al museo d’Orsay. Alla fine, lo vedi, tutto si tiene.

Questo strano anello è composto da

  • Jean Vautrin e Jacques Tardi, Il grido del popolo, vol.1, Double Shot, 2011.
  • Gustave Coubert, Le signorine in riva alla Senna, 1857, e L’origine del mondo, 1866.
  • Manuele Fior, Le variazioni d’Orsay, Coconino, 2015.
  • Edgar Degas, Olympia e Le petite déjeuner sur l’herbe entrambi del 1863.
  • ETA Hoffmann, L’uomo della sabbia, 1816.
  • Jules Barbier e Jacques Offenbach, I racconti di Hoffmann, 1881.
  • Bastien Vivés, Ruppert e Mulot, Olympia, Dupuis, 2015.

Gli impressionisti si ubriacavano d’assenzio. A me, per dirtela tutta, l’assenzio non piace. Ho accompagnato questo giro sullo strano anello con un Cognac di quella piccola zona a sud dell’omonima città che viene definita come Petite Champagne dove producono e distillano cose di un’eccellenza per me a volte superiore a quella della Grande Champagne.

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