Giochi di ruolo for dummies – 2

Paolo Interdonato | La cassetta degli attrezzi |

Seconda parte della chiacchierata tra Paolo Interdonato e Andrea Porrini, giocatore. La prima parte è QUI.

Paolo: Ho preso una bottiglia di Gewürztraminer. Va bene?

Andrea: Un altro bianco? Per altro questo me lo avevi già fatto bere… è quello che ti lascia un gusto sul palato così forte che sembra quasi di aver mangiato pot-pourri a cucchiaiate. Se di fumetti ne capisci come di vino, i lettori di QUASI sono proprio messi male…

Non ti preoccupare, simpaticone, QUASI è la rivista che non legge nessuno e la prossima bottiglia la scegli tu. Comunque mi stavi spiegando i giochi di ruolo con parole a portata di profano.

Vediamo cosa hai capito…

Ah… Mi interroghi? Innanzi tutto, per giocare non sei costretto a vestirti come un personaggio del Signore degli anelli. In secondo luogo, che sono giochi non competitivi in cui i giocatori, tutti insieme, cercano di divertirsi in una situazione d’invenzione, guidata da uno dei giocatori (che io beceramente chiamo master) ma raccontata da tutti insieme.

È da quando ti conosco che mi chiedo se davvero ascolti o, mentre gli altri ti parlano, entri in fase REM. Sono quasi commosso. Quasi. Continua.

Che ansia! A quel punto hai raccontato un modo per capire le evoluzioni dei giochi di ruolo. Mi hai detto che bisogna guardare come è cambiata la combinazione e il peso di quattro elementi nella narrazione: chi dirige il gioco, il regolamento, la casualità e la storia. E poi hai detto delle forme primordiali: la vecchia scuola e la scuola di mezzo.

Sei un barbaro! Non ho mai parlato di forme primordiali. La gran parte degli elementi dei vecchi giochi è ancora ben viva nei regolamenti delle uscite più recenti. L’evoluzione non spazza via le forme del passato: le modifica, le adatta, le rende più efficaci rispetto alle necessità correnti. Caso e necessità.

Va bene, Andrea. E dopo la scuola di mezzo cosa c’è?

La nuova scuola, che nasce intorno al 2000 quando la regola diventa sempre più importante a scapito degli altri elementi, e in particolar modo della storia.

Nella nuova scuola tutto viene codificato, fornendo a chi gioca un insieme di regole che permettono in maniera deterministica di interpretare gli eventi e decidere con che meccanica risolverli.

L’evoluzione nasce inizialmente dalla necessità di semplificare alcune regole (ancora ereditate dai war game) e rendere più comprensibile a una platea più ampia il gioco. Progressivamente quell’insieme di regole diventa più complesso: non è più simulativo, non imita la realtà, ma è un sistema di norme finalizzate alla giocabilità che rendono il gioco di ruolo sempre più simile a un gioco da tavolo classico. Si arriva alla necessità di avere una plancia per svolgere alcune fasi del gioco. La casualità resta importante, ma viene dominata dal regolamento che permette di prevedere quali possano essere le ripercussioni di un tiro di dado. E chi guida la partita è, anche lui, soggetto alla Regola, chiara e condivisa fra tutti i giocatori.

La storia, completamente imbrigliata da queste regole che ne danno un’interpretazione certa, ha un peso variabile a seconda della partita. Il regolamento permette di giocare una storia epica, come nella scuola di mezzo, o una vicenda semplice, fino ad arrivare allo scontro fra personaggi come si fa in un gioco da tavolo.

Chi si trova intorno al tavolo affiancherà al gusto di narrare una storia più o meno complessa, la possibilità di usare un corredo di regole per inventare un personaggio che non avrà solo una psicologia o una storia narrata, come nelle scuole precedenti, ma anche delle caratteristiche regolamentari di gioco, quantitative e numerabili e soprattutto molto estese e variegate. Caratteristiche da usare opportunamente durante una partita, quasi si stesse giocando a scacchi. La gestione del combattimento risulta quindi uno dei fattori importanti del gioco, così come la creazione stessa del personaggio, che diviene quasi un gioco a sé stante nella ricerca della continua ottimizzazione delle sue potenzialità.

La narrazione potrà essere quindi di vari livelli ma, nel momento in cui un’azione ingaggerà un elemento delle regole, il racconto si fermerà per permettere di svolgere la meccanica prevista, che risulta quindi avere un peso maggiore rispetto alla storia.

Non ti piace per niente la nuova scuola, eh? Fai il master e ti ostini a chiamare il ruolo che sei scelto “chi guida la storia”. A me pare che quella parte ti permetta di diventare un metagiocatore. Sei l’unico narratore di una storia collettiva che può permettersi di uscire dalla scatola del racconto e modificare gli eventi. Una struttura di regole vincolante ti toglie i grandi poteri… e anche le grandi responsabilità.

Il gioco di ruolo si basa comunque su un accordo implicito fra i giocatori che tocca due aree: la narrazione della storia e la distribuzione delle responsabilità  perché questa narrazione abbia successo. È evidente che un insieme di regole più forte ti toglie possibilità narrativa ma anche responsabilità e quindi rende, forse, più “accessibile” il gioco, anche perché lo rende molto assimilabile al gioco da tavolo classico a cui siamo abituati.

In ogni caso hai colto un tema importante per i giochi di ruolo: quello del metagioco che da sempre viene dibattuto da chi pratica questo hobby e che soprattutto nei giochi più recenti riveste un ruolo evidente.

Tornando alle nostre tipologie di giochi di ruolo una prima reazione alla deriva della nuova scuola si ha con il fiorire di giochi di narrazione soprattutto in ambienti indie dove la sperimentazione è più forte.

Giochi di narrazione? Cosa sono?

Nei giochi di narrazione la storia raccontata è il fulcro. Non è mai un racconto che chi dirige il gioco imbastisce e che gli altri giocatori vivono, ma una storia dove tutti, a livello diverso in dipendenza dal gioco, contribuiscono a creare. In questo modo, la figura di chi dirige il gioco sfuma, viene limitata o addirittura eliminata. Il regolamento diventa funzionale a questa trasformazione e offre dinamiche grazie alle quali tutte le parti possono cambiare il fluire del racconto e, di conseguenza, nessuna può prevalere sulle altre. E anche la casualità non è libera, ma spesso vincolata  al buon esito della storia, un po’ come accadeva nella scuola di mezzo.

Chi si trova intorno al tavolo per un gioco di narrazione partecipa a un’esperienza condivisa molto simile a quella che si giocava da bambini quando si inventavano storie. Lo fa, tuttavia, con delle regole che ne garantiscono la giocabilità e la compartecipazione: ciascun giocatore può forgiare la storia non solo con l’agire del suo personaggio ma direttamente con le sue scelte. Proprio per queste caratteristiche e per la sua natura di origine di nicchia il gioco narrativo non propone solo le classiche storie di avventura, ma può esplorare ambiti di racconto peculiari, grazie a un regolamento leggero e, quindi, adattabile a qualsiasi storia si voglia narrare.

Aspetta… Un racconto peculiare?

Peculiare perché non racconta solo le classiche ambientazioni avventurose o epiche. I modelli dei giochi di ruolo rischiano di essere pochi: c’è Tolkien per il fantasy; Asimov per la fantascienza classica; Gibson per il cyberpunk; e Lovecraft e il suo Call of Cthulhu per l’orrore. Siccome sono nati come fenomeni di nicchia, i giochi di narrazione esplorano anche ambiti particolari. Possono infilarsi in una serie televisiva anni Settanta, oppure nel mondo delle fiabe per bambini, o ancora in scenari distopici basati sulla situazione politica contemporanea. Insomma mini giochi costruiti per soddisfare uno specifico racconto.

E mentre negli ambienti indipendenti venivano forgiati questi giochi, le grandi case di giochi di ruolo cosiddette mainstream, interpretavano questa necessità di evoluzione, davano inizio al periodo dei giochi di ruolo contemporanei

Contemporanei?

I giochi contemporanei nascono nella prima metà degli anni 2010, come evoluzione dei giochi della nuova scuola, e inglobano caratteristiche dei giochi narrativi.

In questo genere di gioco il regolamento torna a semplificarsi e lascia all’interpretazione la declinazione delle varie situazioni. Come nei giochi narrativi i giocatori possono provare a influire sulla storia – anche se molto meno rispetto alla precedente categoria – tuttavia chi dirige il gioco mantiene un controllo del racconto e delle evoluzioni. Tanto questo controllo quanto l’impatto della casualità sono limitati da un insieme di regole bilanciato che impedisce la loro totale discrezionalità.

Chi gioca un gioco contemporaneo vive un’esperienza di narrazione dove la storia e i personaggi sono i protagonisti, un po’ come accadeva nella scuola di mezzo, ma con un maggiore equilibrio, per evitare derive, e con la possibilità da parte dei giocatori di intervenire contribuendo, in una sorta di limitato metagioco, alla narrazione complessiva.

E con questo ti ho detto tutto.

Lo vedi, quando si parla di giochi di ruolo non si intende una tipologia di giochi uniformi con poche variazioni, tutte schiacciate nella forma dei dadi e dei contenuti narrati. Parliamo di un modo di giocare che continua a evolvere grazie tanto alle grandi case di produzione quanto ai diversi contributi indie. Ed è proprio questa evoluzione che permette nuovi modi di giocare e di narrare la storia.

Oh… frase perfetta per finire.

Come per finire? Non dovevi prendere una bottiglia tu?

Sto andando.

E cosa mi racconti mentre beviamo?

Niente. Adesso giochiamo.

Ah… E quando finisce il gioco?

Di solito quando finisce il vino.

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