Il tradrittore – 3

Francesco Barilli | Il tradrittore |

Francesco “baro” Barilli è il nostro tradrittore, colui che traducendo tradisce un po’ le intenzioni dell’autore, ma rimette dritto il senso del testo.

Il tema di questa settimana è “Wish You Were Here”. Il Tradrittore si adegua e prende di mira… se stesso…

Ha detto/scritto (PRECISO: NELL’ORMAI LONTANA ESTATE 1983…)

«Crepa, frocio di merda!!!»

Voleva dire/scrivere

«Scusa, ero spaventato. Non ho altra giustificazione, se non questa…»

[N.d.A.:  Mi rivolgo a te, coprotagonista di questa storia (a cui chissà se e come hai più pensato) e destinatario di quell’insulto. Tanti anni dopo te la devo, una spiegazione.
Era l’estate del 1983. Vivevo i miei 16 anni di adolescente inquieto e solitario. Giravo, per dirti, con una lametta e un preservativo in tasca. Le rispettive assicurazioni di Thanatos ed Eros. La prima restò inutilizzata, il secondo quando venne il momento si rivelò inservibile dopo troppo tempo nel portafogli. Ma è un’altra storia…
Mi piaceva girare in motorino sulle strade vicino a casa mia, periferia di Cremona. Strade di campagna, sterrate, costeggiate da fossi colatori. Mi piaceva, dicevo: poco distante dalla città era come essere sulla Luna. Qualche cascina, poi solo sterrate e campi.
Il mio motorino era un vecchio Atala scassato e impolverato. Tre marce, la seconda la dovevo tenere dentro a forza con la sinistra e questo aumentava difficoltà e, in fondo, divertimento. Quando intravedevo altre moto o bici cambiavo strada, volevo stare da solo e stop. L’odore di concime e fieno. La polvere e i colori di erba e granturco, papaveri e frumento. A volte girasoli, belli ma non frequenti in quegli anni.
Un giorno m’accorgo che un tizio (tu) mi sta attaccato a una cinquantina di metri, con una Vespa 50. Fare sterrati con una Vespa 50 è da cretini. Scusa se te lo dico, del resto anche il mio Atala mica era una KTM da cross, okay…
Dicevo. Mi segui a qualche decina di metri. E sul momento mi dico Bene, un duello di cross fra sfigati: ci può stare.
La storia ha pure un lato divertente e con una sua importanza, perché senza questo episodio col cazzo che mi raggiungevi, su quelle stradacce ero il re incontrastato!!! Eccolo in breve.
Il mio unico avversario, fino a quel giorno, era il pastore tedesco di una cascina, raramente (per fortuna…) lasciato libero e raramente (per fortuna…) interessato a me. Quel giorno gli gira male e mi si para davanti ringhiando. Freno e resto immobile. Devo aver letto da qualche parte che non saprà capire il mio atteggiamento e non m’attaccherà. Una teoria infondata e idiota: lui sta per demolirla con una dimostrazione pratica, quando un richiamo energico della padrona lo ferma e mi salva.
Parlo pochi secondi con la signora. Nel mio ricordo, ostento una nonchalance con cui vorrei nascondere che mi sto cagando sotto. Dubito funzioni. Sta di fatto che tu hai proseguito, ti ritrovo – una volta ripartito – poco più avanti.
E mi fai cenno di fermarmi.
«Scusa sai dirmi dov’è Via del Sale?»
Ci metto molto più tempo del dovuto a spiegartelo. Forse sono ancora agitato, in realtà sono da sempre imbranatissimo a dare indicazioni stradali. Lo sono tuttora, intendo: totalmente privo di orientamento.
Insomma, ti giuro, non m’accorgo della tua mano sulla mia coscia destra. Me ne accorgo mentre sto per ripartire e la tua stretta mi trattiene.
È lì che ti osservo. Hai poco più dei 50 (pensa, più o meno è l’età che ho io ora, ma mi sembri vecchissimo, hah!!! Capisco ora che non c’è proprio niente da ridere…), sei piccolo ma tarchiato, occhiali squadrati su volto squadrato, oggi direi che ricordi Elvis Costello, hai dei pantaloni classici e una polo.
«Quanti anni hai?», chiedi, mentre fai scorrere la mano.
«16, signore. E, ecco… ora dovrei andare a casa. Sa, mia madre si preoccupa se non mi vede per cena.»
«16… Sei bello sviluppato, per essere così giovane… Me lo fai vedere?»
È qui che ti guardo meglio e mi sorprendi. Anche se la tua mano adesso non è più un tocco leggero, ma una cosa che non ho mai sentito e mi spaventa, sembri più spaventato di me. E io lo sono un bel po’. Ma, sorpresa ancora più grande, aggiungi:
«Ti prego…»
Io sono giovane e forte e veloce. Più di te. E tu sei a destra, il lato del fosso. Da quel lato la mia gamba (ricorda, è il 1983: sono 37 anni e una sclerosi fa) ti scalcia e ci aggiungo uno spintone. Frani nel fosso assieme alla tua Vespa 50.
Dici ancora qualcosa, non so cosa di preciso. Vedo che scivoli, nella melma e sulla riva, fatichi a risalire e ripiombi nell’acqua, ma non ce n’è abbastanza, non sei in pericolo. Oggi, 37 anni dopo, VOGLIO pensare d’averlo pensato, ma forse semplicemente non mi sono posto il problema e il tuo «Aiutami!» non mi tocca.
Perché semplicemente in quel momento è la mia, di paura, a essere passata. O a voler passare. O a voler parlare, non so. Resto a guardarti qualche istante e poi te lo dico, prima di ripartire:

Crepa, frocio di merda!!!

Ti dico una cosa a cui non crederai. Negli anni m’è capitato di raccontare quella storia. Non tante volte: a pochi amici, davanti a bicchieri di vino o grappa che si accatastavano numerosi e a risate pecorecce. Le loro e pure le mie.
Sappi che ho sempre modificato il finale. «Sono andato via, era un povero diavolo e così me ne sono andato, tutto qui».
Questo raccontavo. Quella frase non l’ho mai confessata. Che, se ci pensi, suona strano. È una frase che “fa macho”, un tempo mica ci si vergognava di cose del genere, anzi…

«Crepa, frocio di merda!!!» lo dissi solo a te. E mio solo vanto è il non essermene mai vantato.

Te lo dissi con odio. Dopo averti trattato con una violenza di cui, in quel momento, NON ero pentito, anzi, mi inorgogliva. E il desiderare che tu quella frase potessi ascoltarla, fu dimostrazione di crudeltà.
Tendenzialmente sono non-violento, ma non credo che la non-violenza sia una metafisica che tutto avvolge e tutto cura. L’odio, per conto mio, è un diritto, specie se spinto da rivendicazioni sociali (ci sarebbe un discorso a parte sulle conseguenze, ma non te la faccio lunga). La crudeltà mi sta proprio sulle palle, ma pure questa può avere una sua ragion d’essere. Ciò che davvero non sopporto è la violenza non necessaria, l’odio senza una ragione, la crudeltà quando indiscutibilmente stupida. E quel giorno io ti riservai una violenza inutile, un odio immotivato, una crudeltà meschina.

Dicevo prima che allora avevi più o meno l’età che ho io adesso. Se faccio due conti, mi sa che oggi non sei più a questo mondo. E forse mi son fatto troppi brodi mentali, magari tu a quel nostro incontro non hai più pensato, quel capitombolo nel fosso melmoso l’hai archiviato in fretta fra le figura di merda (son capitate e capitano a tutti, tranquillo) o tra i cazzotti in faccia – con annesse sofferenze d’ogni tipo – che la vita riserva a chi “non è come gli altri”.
Però in questa settimana con tema “Wish You Were Here” mi sembrava il minimo dirtelo. Che vorrei tu fossi qui, per dirti che il cazzo mica te l’avrei fatto vedere (guarda, non hai perso ‘sta gran cosa, eh…) ma avrei potuto gestire la cosa in mille altri modi. Per dirti che persino in quel momento avrei dovuto capire che ne avevi passate tante, che la vita è una brutta bestia da capire, figurati da giudicare. Insomma, per dirti che mi dispiace.
]

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)