Di tutte le cose visibili e invisibili

Ugo e Michel | La grande abbuffata |

(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)

Il solo modo sensato per vivere insieme ad altri individui è imparare la sottile arte dell’invisibilità. In una famiglia ci sono equilibri strani. Sempre. Qualunque forma abbia la famiglia. Qualunque sia il sistema di regole, quasi sempre non dichiarato, entro cui quel minuscolo gruppo sociale ha deciso di muoversi. Le regole più facili da definire sono quelle che riguardano il cibo, il sonno e il sesso. I piatti sgraditi o indigesti, la distribuzione nelle camere e i modi in cui si abbraccia il cuscino, le posizioni del sesso o il grado di tolleranza verso le inevitabili infedeltà… Ecco. Quelle sono tutte cose semplici. La famiglia sviluppa il proprio essere famiglia intorno a prassi che, se tollerate, si consolidano. Diventano regole che non hanno bisogno di essere contrattualizzate. Facci caso. In famiglia le norme vengono certificate da documentazione contrattuale solo quando si decide che la famiglia non c’è più e servono degli avvocati per determinare le forme di civiltà condivisa.
Le regole difficili sono altre. Riguardano tutti quei comportamenti delle persone con cui conviviamo che reputiamo sbagliati. Quelle attitudini che ci scatenano piccole continue delusioni. Il gesto inelegante con cui scalcagna la scarpa mentre se la sfila con l’altro piede. Il tubetto del dentifricio schiacciato nel punto sbagliato. I capelli lasciati nello scarico della doccia. Il tappo dell’olio avvitato male prima di riporre la bottiglia nella dispensa. I libri riposti nella mensola sbagliata. Il televisore che si riaccende su un canale odioso. Il modo in cui piega le camicie… Cose minuscole, che dovrebbero farci sorridere, che non dovrebbero in alcun modo turbarci. E invece… zac zac zac. Se non si fa attenzione a controllare le proprie reazioni, quella stilettata sottile ogni volta affonda un po’ di più. E il dolore si fa più acuto. E quel dolore, un po’ alla volta, si trasforma in fastidio, rabbia, disprezzo.
E allora l’invisibilità diventa importante. Il più forte tra membri della famiglia (e, chiaramente, sono io) deve imparare a scomparire lasciando che gli altri gestiscano i momenti difficili in sua assenza. Se la famiglia, come nel mio caso, è una coppia, è senza dubbio un po’ più difficile. Essere invisibili in casa, mentre l’altrui livore è indirizzato proprio verso te, richiede maestria.
Adesso, per esempio, anche se non stacco gli occhi dal tablet e mi concentro sul mio romanzo, con gli auricolari che mi inoculano nella testa
Le variazioni Goldberg nell’esecuzione di Glenn Gould, lo vedo. È silenzioso come sempre, non alza la voce, non sbatte i piedi sul parquet, non parla nemmeno. È fermo davanti a me, in piedi, con le braccia incrociate sul petto. Sa che la mia vista periferica lo ha intercettato e non si muove. È paziente. Ma io sono bravissimo a far finta di non vederlo. Mi comporto come ho imparato guardando film d’avventura: quando il predatore entra in scena ruggendo e muovendosi lentamente, sto fermo, immobile, trattengo il respiro, divento ambiente. Con i t-rex e i grizzly spesso funziona.
Non se ne va. Non sbuffa. Non batte il piede. Non tamburella con le dita. È paziente. Dannazione.
Più di me.
Che noia…

Quando Ugo stacca gli occhi dal tablet, si ritrova di fronte Michel con le braccia incrociate sul petto. Il moto di stupore che la scoperta gli scatena è chiaramente simulato, ma l’impegno profuso in quell’istante di recitazione lo mette al sicuro da battute. «Ciao, non ti avevo visto», continua a mentire tra i baffi. Michel rimane immobile in silenzio.
I due si guardano per un tempo lunghissimo, mantenendo il ruolo che la recita impone loro. Una ritualità domestica affinata da anni di esperienza. Michel in piedi silenzioso e immobile, con il corpo in posizione di riposo e lo sguardo inquisitorio; Ugo seduto sulla sua poltrona, le braccia morbide appoggiate sulle cosce, la bocca appena schiusa, e lo sguardo interrogativo.
«Dove lo hai messo? Non lo avrai mica buttato?».
«Non so di cosa parli.», mente Ugo.
«Lo sai benissimo, la mia riproduzione del pensatore di Rodin.»
«Quello verniciato di smalto rosa da Pollock?»
«Non ce ne sono altri in casa. Dov’è?»
«È un oggetto molto curioso, non trovi? Una riproduzione in scala perfetta, modellata nell’argilla da un artigiano bravissimo. Perché, diciamocelo, anche se quella statua è un insulto al gusto dell’umanità, riprodurlo con precisione assoluta richiede un artigiano bravissimo.»
«Non mi stai rispondendo. Dov’è?»
«E poi c’è quella nota stranissima. Una secchiata rosa su una statuetta. Perché? È curioso, sai? All’inizio mi faceva schifo. Mi dicevo che era incomprensibile come un uomo con la tua sensibilità potesse aver comprato quell’oggetto destinato a persone prive di anima…»
«Detesto interromperti mentre mi insulti, starei ad ascoltarti per ore, ma sto perdendo il buonumore. Dov’è?»
«Insomma, siccome alla fine ho iniziato a esserne affascinato e sembrava che tu lo avessi trovato per caso e non sapevi da dove veniva, ho deciso di farmi dare una consulenza.»
«Ti ricordi Michela? Suo zio è uno studioso di arte contemporanea. L’ho dato a lei e stasera glielo fa vedere. Così poi ci dice da dove viene.»
«Non ti devi permettere di prendere le mie cose senza il mio permesso!»
«Non voglio litigare… volevo farti una sorpresa. Magari è un’opera notissima di un artista contemporaneo. Pensa che bello, avere un certificato di autenticità per un oggetto perduto e ritrovato.»
Michel scuote la testa e si allontana senza dire nulla. Ugo sa che lo attende una pesantissima serata di silenzi.

Un bel pezzo di carta che certifica che quell’obbrobrio è “autentica chincaglieria”. Una patente per la tua caduta di stile, da incorniciare nel tinello. A futura memoria. “Questo documento attesta con chiarezza il momento in cui il gusto del signor Michel è andata a ramengo”. Che essere invisibili mica significa essere ciechi. A me quella statuetta mette addosso un senso d’angoscia spaventoso. L’uomo con cui vivo ha completamente perso il senno. Porta in casa una robaccia immonda e inguardabile.
Inizi così e, in un attimo, ti ritrovi circondato da ogni sorta di schifezze. E, poco dopo, ti compare in camera una riproduzione di Klimt. Che uno mica può stare in mezzo al piattume e continuare a essere vivo.
Ho il dovere morale di difendere il bello in questa casa. Lo faccio per noi. Per la nostra famiglia.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)