Addizione e Sottrazione (terza parte)

Peppe Liberti | Più per meno diviso |

Prima che i mercanti provassero a codificarlo, l’uso della congiunzione et tra due numeri da sommare non era poi tutta questa gran cosa, era l’uso normale che si fa delle congiunzioni, quello di collegare due elementi nella stessa proposizione. Chi ritiene che già il Fibonacci lo utilizzasse come “segno” dell’operazione nel Liber Abaci sbaglia di grosso e lo stesso fa chi ritiene Nicola d’Oresme responsabile della sua trasformazione in una crocetta. Fu infatti proprio in una copia manoscritta dell’Algorisme proportionum, licenziata da Oresme attorno al 1360, che un anonimo copista tracciò al posto di et un segno che sembra il + che conosciamo. Lo fece però ovunque nel testo e non solo tra due numeri, lo sciagurato, magari per risparmiare tempo e inchiostro, certamente senza alcuna intenzione di proporlo come segno d’addizione.

Anche per il trattino che esprime la differenza qualcuno ipotizza un’origine simile e cioè che si tratti della “forma limite” di una lettera, la m di minus, quando veniva scritta con disattenzione o rapidamente. C’è invece chi è convinto derivi dal macron, il segno diacritico che veniva posto sopra quella e altre lettere. Altri studiosi si sono invece inoltrati lungo una via davvero tortuosa, sostenendo che la sua origine possa essere rintracciata nell’opera del solito Diofanto che, a volte, indicava la differenza con una ψ rovesciata che pareva una freccia che punta verso l’alto, così: ↑. Questa poi si sarebbe trasformata in una ⊤ che, col tempo, potrebbe aver perso per strada il trattino verticale come la coda di una lucertola in fuga. L’ipotesi è ardita, ben più di quella che immagina che la stessa sorte sia toccata ai due puntini dell’ὀβελός (÷) dei grammatici alessandrini. Il fatto però è che, a partire dal XVI secolo e fino all’inizio del XX, ÷ e – sono coesistiti come segni per la sottrazione e dunque anche questa cosa non quadra.
La prima apparizione del segno – di cui si ha conoscenza è quella testimoniata in un’algebra scritta a Lipsia nel 1481, l’Arte magistrale, cioè conoscere magistralmente il far di conto, dove prende nome di minner. Nello stesso testo gli elementi da sommare erano connessi dalla congiunzione vnd, cioè und, il solito et insomma, scritta bene però. Quest’algebra fa parte di una collezione di 80 memorabili opere matematiche che il matematico Johannes Widmann, boemo di Eger, utilizzava per mettere a punto le sue lezioni all’Università di Lipsia, lì dove era stato studente fino al 1485 e poi professore fino alla morte che sopraggiunse nel 1498 quando aveva solo trentasei anni. La collezione, conosciuta come Codice di Dresda visto che nella biblioteca di quella città riposa, contiene anche un manoscritto latino del 1486 in cui appaiono entrambi i simboli,  + e – , assieme forse per la prima volta. È lì che li trova Widmann e che tre anni più tardi farà esordire nel mondo dei libri stampati, fissandoli tra le pagine della sua Mercantile Arithmetic or Behende und hüpsche Rechenung auff allen Kauffmanschafft (l’aritmetica mercantile ovvero il calcolo agile e pulito per tutti i mestieri). Non c’entra l’algebra dunque (saran contenti i letterati), per Widmann erano ancora solo abbreviazioni e non segni di operazioni, se ne serviva solo per indicare l’eccesso o la deficienza nelle operazioni di peso. Ed è proprio l’economia a suggerire un’altra possibile origine del trattino orizzontale: la barra usata dai mercanti per separare l’indicazione della tara da quella del peso totale si chiama proprio minus, magari la ragione è proprio questa, chi può dirlo.

Il primo che li ha utilizzati come veri e propri segni di operazione fu, nel 1514, l’olandese Giel Van der Hoecke nell’Een sonderlinghe boeck in dye edel conste Arithmetica (lo straordinario libro della nobile arte aritmetica) e così farà quattro anni più tardi Heinrich Schreyber (Henricus Grammateus) nel suo Ayn new Kunstlich Buech (il libro della nuova arte).
Siamo ormai nel nuovo secolo però, i trattati d’algebra pubblicati a stampa hanno invaso l’Europa e ci si può ingegnare nell’economia dei segni, una cosa per intelletti che vanno affilati e ai quali Robert Recorde nel 1557 fornirà la pietra, un abbecedario più che un abaco: The Whetstone of Witte.

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