Chiacchiere da salotto

Ugo e Michel | La grande abbuffata |

(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)

Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo!
Tutti quei risvegli improvvisi e quelle notti insonni per paura di morire sono stati inutili. Quanto era fuori fuoco l’assurda paranoia che mi ha costretto a ciabattare per casa al buio, in cerca di una distrazione, per non pensare all’AIDS, al Covid o a un’altra malattia terribile scelta a caso dal catalogo delle possibilità infauste, fosse anche solo la vecchiaia. Lo dovevo capire da subito che oggi sarebbe stata una giornata di merda.
Quando stavo per uscire quatto quatto, per non farmi beccare, Michel mi è comparso davanti. Era già pronto per venire con me, dalla giacca alle scarpe. Si era preparato senza che mi accorgessi di nulla e, senza rivolgermi la parola, è uscito sul pianerottolo ad aspettarmi. Odio quando mi fa fretta!
In auto ha ignorato tutti i miei tentativi di smussare la tensione. Non ha detto una sola parola fino a quando non è arrivata Michela. A quel punto ha indossato la maschera ilare ed è andato in scena. Sorrisi, complimenti, ammiccamenti. Un sacco di battute. Tutte divertenti. Che stronzi! Il mio uomo che ci prova con la mia amica. La mia amica che flirta con il mio uomo. E io divento invisibile, mentre ‘sti due stronzi si sdilinquiscono a proposito dell’eleganza delle rispettive mascherine. Perché, si sa, l’eleganza la fanno gli accessori. Rischio di morire, soffocato dai luoghi comuni.
E invece no. Cazzo! Cazzo! Cazzo! Non saranno i luoghi comuni, e nemmeno la gelosia, a uccidermi.
Arriviamo a casa dello zio di Michela, il professor Micchioni, e quello ci mette un sacco prima di farci salire. Quando entriamo nell’appartamento, sono nervosissimo. Michel e Michela sono dietro di me e sembrano sereni. Ed esattamente come succede ai loro nomi, capisco che sono già uno dentro l’altra. Che rabbia! Quando l’anziano professore, nervosissimo pure lui, ci dice che dobbiamo andarcene al più presto e che lui non vuole avere niente a che fare con noi, sento la rabbia montare. Ci dice che quell’oggetto, la riproduzione del Pensatore di Rodin deturpata dallo smalto rosa, è pericoloso, che non ce l’ha più lui e dobbiamo dimenticarcene.
Vuoi vedere che aveva ragione Michel e che quell’obbrobrio valeva un sacco. Mi sono fatto fregare da questo vecchiaccio. Ho una gran voglia di prenderlo a sberle. Alzo la voce. Gli dico che è un ladro. Lui si irrigidisce e ci invita ad andarcene. Perdo il controllo e inizio a sbraitare. Strillo come un papero. Rivoglio la mia statuina. Cioè… non la mia… la sua… la nostra! È una schifezza, ma è la nostra schifezza. Mentre quello sciagurato di Michel, dopo aver fatto il cascamorto con quella stronza della mia amica, ha ritrovato il silenzio e non mi supporta in alcun modo, io difendo le nostre cose. La nostra famiglia.
Ed è quello il momento in cui entrano i due energumeni. Sembrano usciti da un film di Tarantino: due cani da rapina con la camicia bianca e il completo nero che compaiono all’improvviso, ingombranti, in una storia che non li riguarda. Quello con il tatuaggio sul collo dice che dobbiamo andarcene alla svelta e che ci conviene dimenticarci della faccenda. Prendo la rincorsa per gridare un vaffanculo la cui eco si dissolverà solo dopo che avremo ottenuto l’agognata immunità di gregge dal Covid. Sto ancora inspirando quando il tatuato fa tre passi in avanti e mi arriva così vicino da farmi sentire il suo alito attraverso la mascherina.
Sto pensando che non ne verremo mai fuori da ‘sta pandemia del cazzo se la gente non è nemmeno capace di rispettare le distanze, quando l’altro estrae una pistola e la punta in faccia a Michel.
Cazzo! Cazzo! Cazzo! Non morirò di Covid.

«Rimaniamo calmi, ce ne andiamo subito.», dice Michel.
Ugo continua a muovere la testa a scatti, guardando da tutte le parti e, con voce querula, dice «Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo!» La ripetizione ossessiva e coprolalica si interrompe all’improvviso, quando l’uomo con i tatuaggi gli sferra un gancio nella bocca dello stomaco. Ugo si accascia con un rantolo. Michela scatta verso l’aggressore e riceve un manrovescio che le fa attraversare la stanza.
Michel si muove di lato, fuori dalla traiettoria della pistola puntata sul suo viso. Afferra la mano armata e con un movimento fluido la mette in leva, mentre infila il ginocchio dietro la gamba dell’uomo. Il rumore delle dita rotte si confonde con il tonfo della pistola che cade lontano. Il tatuato gli si lancia contro, infilando una mano nella giacca. La sua corsa viene interrotta da una tallonata all’inguine e da un colpo di tibia sul volto. Mentre l’uomo con i tatuaggi crolla, Michel si volta verso l’altro aggressore che ansima forte, trattiene le lacrime e tiene la mano compressa tra gomito e costole. Allunga la mano come per colpirlo e gli caccia il pollice destro in bocca. Strattona la guancia facendolo volare accanto al corpo riverso del suo compagno. Si piega sul tatuato svenuto, gli prende la pistola dalla fondina sotto la giacca, estrae il caricatore, lasciandolo cadere per terra, e la lancia l’arma dall’altra parte della stanza.
Si allontana in modo da poter controllare tutta l’area. Prende il gel igienizzante dalla tasca, se ne lascia cadere qualche goccia sulle mani e inizia a fregarle tra loro. Poi guarda l’anziano padrone di casa che non si è mosso dalla sua poltrona.
«Adesso, professor Micchioni, sarebbe così gentile da dirmi chi sono questi due signori e dov’è la mia statuetta? Ho un po’ di fretta e non vorrei risultare sbrigativo e sgradevole.»

Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo! Cazzo!
Adesso ci porta tutti a casa. Mica in ospedale. A casa. Ci ha guardati e ha detto che abbiamo bisogno solo di due impacchi di ghiaccio. Michela ha solo un occhio nero e le passerà in fretta, ne sono certo. Invece a me si è rotto qualcosa dentro. Ho sicuramente un’emorragia interna e morirò come un animale che è riuscito a sopravvivere all’impatto con un’auto. Domattina, non vedendomi arrivare, entrerà nella mia camera e mi troverà stecchito. Con le zampe in alto e la lingua di fuori. Come un cane. Ne sono certo. E avrà sensi di colpa per tutta la vita!
Tutta la vita, poi. Mica durerà così tanto. In che accidenti di affare ci ha trascinato? Quelli erano armati. Le guardie del corpo di Armando Guittoni, il direttore di “Cash Art”. Che se ne fa della milizia irregolare di Slobodan Milosevic il direttore di una rivista d’arte. L’ho pure comprata un paio di volte. Se sopravvivo a stanotte, non la comprerò mai più. Ha perso un lettore. Giuro.

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