Distrazioni

Ugo e Michel | La grande abbuffata |

(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)

Misdirection. Siamo stati degli idioti! Ci hanno fregati con il più elementare trucco dei prestigiatori. Anzi. Parlare di trucco è proprio ingiusto. Nella maggior parte dei casi, l’illusionismo funziona perché tutti gli spettatori si concentrano sul movimento più ampio e trascurano tutto il resto. L’inganno succede proprio sotto i loro occhi.
Come quando il prestigiatore si fa appoggiare una moneta sul palmo della mano sinistra; l’afferra visibilmente con la mano destra; stringe il pugno e lo solleva; quando tutti guardano le dita serrate della mano destra, il prestigiatore le dischiude lentamente e la moneta è sparita.
In quella mano la moneta non c’è mai stata: è rimasta nella mano sinistra e, mentre tutti gli occhi erano concentrati sul movimento, l’illusionista se l’è infilata in tasca e ci ha pure guadagnato due euro.
La magia non ha nulla di magico: ha spesso a che fare con movimenti attraenti che distraggono gli spettatori.
Chi bara a carte e nasconde assi nella manica o nella cintura, usa lo stesso sistema. Le carte vengono sostituite mentre tutti si concentrano su un’azione eseguita clamorosamente dal baro.
Ci ha fregati! Quel bastardo di Guittoni ha approfittato della nostra visita annunciata e, mentre eravamo nella redazione di “Cash Art”, ha messo a segno il suo trucco.

«Ed è tutta colpa tua!», grida Ugo in faccia a Michel, «Da dove cazzo viene quella statuetta?»
Michela guarda i due amici e poi, spostando il peso sulla gamba destra e piegando lievemente il capo, mostra di aver deciso da che parte stare. Fissa Michel, in attesa di una risposta convincente. Una risposta che non arriva.
La casa è un disastro. I ladri hanno agito indisturbati, per un sacco di tempo. Hanno rovesciato tutti i cassetti, aperto tutte le ante, sfondato tutti i cuscini, strappato gli interruttori, tirato in mezzo alla stanza tutti i libri. Hanno agito con metodo e poi se ne sono andati, lasciando la porta accostata.
«Vuoi dire qualcosa? Cazzo!», la frase è accompagnata da una spinta con entrambe le mani sulle spalle. «Ci sono entrati in casa dei ladri e tu stai zitto e immobile!»
Michela non si aspettava che Ugo avrebbe cercato lo scontro fisico. Gli appoggia una mano sul braccio, ma lui l’allontana con un gesto infastidito.
«Ci sono entrati in casa! Per colpa di quella statua del cazzo e di quella lettera di cui non mi hai detto niente. Dì qualcosa, cazzo!»
Michel non si muove, neanche quando Ugo gli grida «Va’ a vedere, almeno, se hanno trovato quella cazzo di lettera!»
Il rumore dello schiaffo echeggia nella stanza. Michel lo incassa senza scomporsi. Mantiene le braccia abbassate e non stacca gli occhi da quelli di Ugo, che fa un passo indietro con la mano aperta ancora sollevata davanti a sé. Poi lancia un grido, che si trasforma in una specie di ululato, spezzato dai singhiozzi. Si lascia cadere in ginocchio e inizia a piangere.
Michel si inginocchia a sua volta e lo abbraccia. Lo stringe forte. Gli affonda il naso tra i capelli e lo respira, quasi voglia estrarre la rabbia inalandola.
Michela si allontana di qualche passo. Si sente improvvisamente a disagio. Facendo attenzione a non calpestare niente si infila in cucina per lasciarli soli, garantendosi però la possibilità di sentire tutto quello che i due uomini si dicono.
La respirazione, interrotta dai singhiozzi, torna lentamente regolare. L’abbraccio di Michel si fa sempre più dolce, man mano che Ugo si calma. Poi, parla.

«Non possono aver preso la lettera, perché io non ce l’ho. Non ce l’ho mai avuta. Non so neanche di che lettera parlasse Guittoni. La statua mi è stata data, accompagnata da una strana storia . Christine è una signora che incontro sempre quando lascio l’auto nel parcheggio di Famagosta. Non saprei dire quanti anni ha, ma si capisce che vive in strada da decenni. Ha un marcato accento francese ed è lì da sempre. Tutte le volte, mentre le lascio cadere qualche moneta in mano, parliamo un po’. Qualche volta è solo un saluto, in altre occasioni, quando ho più tempo, mi faccio raccontare di lei. Un paio di volte ci siamo seduti su una panchina, in silenzio. So che frequenta il banco alimentare di zona, non so dove trascorre la notte ma temo stia alla larga dai dormitori, mi ha parlato spesso della sua amica Camille e del manicomio. L’ultima volta che l’ho incontrata, mi ha dato un oggetto infagottato in una coperta e tra numerose pagine di giornale accartocciate. Mi ha chiesto di tenerglielo, e di averne cura, fino a quando non me lo avesse richiesto. Dentro c’era la statua della sua amica Camille. Nessuna lettera. Me la sono fatta rubare da uno stronzo che vuole distruggerla. Devo trovare un modo per riprendermela.»

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