Il mondo sopra il tavolo

Arabella Strange | Rorschach |

Non ora non qui. È martedì e sono in un appartamento afoso della mia città. Fa caldissimo, siamo tutti in maglietta, io e C. con i capelli tirati su in un groviglio approssimativo, lei li ha fermati con un mollettone, io con due bacchette del ristorante cinese che fa le consegne a domicilio. Un ventilatore rimescola l’aria bollente di questa serata estiva, girato in modo da darci un po’ di sollievo ma da non far volare dappertutto i nostri fogli. È una serata qualunque di Dungeons & Dragons.
La storia del gioco comincia negli anni Settanta, e ne parla con precisione Vanni Santoni nel suo bellissimo La stanza profonda, quindi non tenterò nemmeno di farne un riassunto. Quello che mi interessa è che noi giochiamo con le regole dell’Advanced, che sono abbastanza complicate, e che questa partita va avanti da almeno otto anni.
Non sono una giocatrice. Quando qualcuno tira fuori il Risiko, digrigno i denti.  Non riesco a guardare una partita di calcio, perché mi trovo sempre a soffrire per chi sta perdendo, e negli anni in cui ho seguito il moto GP dovevo seguire i miei piloti preferiti attraverso le dita, con una mano sugli occhi. Insomma, i cosiddetti giochi a somma zero, cioè quelli in cui se uno vince gli altri perdono, vanno ad agganciarsi a qualcosa di profondo dentro di me, non so bene cosa sia, l’orrore del conflitto, l’identificazione dei perdenti, l’inutilità del tutto visto come metafora del mondo.

Dungeons & Dragons, D&D, è un gioco collaborativo. I personaggi giocanti, cioè quelli mossi dai giocatori, hanno a che fare con altri personaggi mossi dal Master, e benché siano ben caratterizzati, a volte davvero complessi, non hanno dietro gli anni di vita di un giocatore. Vanno, vengono, fanno alleanze, vengono distrutti. Se il Master, il costruttore del mondo in cui giochiamo, è bravo, allora la stanza bollente, il sudore che cola sulla nuca, i rumori della strada scompaiono.
Per fare il Master di D&D sono necessari complessi manuali. Devi essere un po’ ossessivo compulsivo per prenderti la briga di leggerli e controllare le regole, ma chi gioca può essere anche una cialtrona come me.
Il gioco è semplice nella sua struttura. I personaggi si costruiscono con una serie di tiri di dado che danno un certo numero di punti, che puoi distribuire come vuoi tra le caratteristiche del personaggio. Gioco con una Destrezza Prodigiosa, un Carisma altissimo, una Saggezza medio alta e la Forza e l’Intelligenza di un bambino di nove anni. Ma siccome la razza che ho scelto è quella degli elfi, ho potuto scegliere due carriere invece di una: chierico, cioè lanciatore di magia grazie alla preghiera alla dea a cui sono votato, e ladro, che col tempo è diventato non solo borseggiatore e abile scassinatore di serrature di ogni tipo, ma anche cecchino, cioè estremamente abile nel combattimento con armi da lancio. Intorno al tavolo, con me, ci sono C., guerriera tank umana, F., un ranger bionico, e il Master, che da anni ha abbandonato la rigida regolamentazione dell’Advanced per inserire nel gioco personaggi e mostri che ruba dai fumetti, dai videogiochi, dai film. Cambia i nomi, ritocca un po’ le caratteristiche, ed ecco che il nostro mondo si popola di comprimari che a volte ci accompagnano per anni, a volte solo per il tempo di un combattimento. Durante questa infinita partita le nostre origin stories sono diventate sempre più complicate, le nostre armature e gli oggetti magici si sono evoluti, abbiamo appreso nuove abilità, e abbiamo viaggiato in regioni strane e sempre diverse. Siamo la Combriccola.

Chi conosce il gioco si starà domandando: dov’è il Mago? Un gruppo che si rispetti è composto tipicamente da almeno un guerriero, un ladro, un chierico – che ha l’abilità di curare – e un mago.
Il nostro mago se n’è andato quattro anni fa. Non solo da Mystara, il mondo in cui ci muoviamo sul tavolo, ma dal pianeta terra. Nessuno di noi ha pensato di rimpiazzarlo. È come se ci fosse sempre una sedia vuota, enorme come lui.
Ricordo una sera in cui era passato a prendermi per andare a giocare, e mi aveva detto che aveva risposto ai colleghi, che si stupivano di questo suo irrevocabile impegno del martedì, citando una cosa che avevo detto io a un certo punto ai miei amici che mi prendevano un po’ in giro: vedo i miei amici e faccio con loro una cosa fighissima che mi fa divertire da matti, che problema c’è? E infatti uno dei motivi che mi legano al gioco è la presenza dei miei amici, e la complicità che si crea tra noi e i nostri personaggi. Può darsi che durante una serata in un locale io dica qualcosa di particolarmente melenso e C. mi guardi e commenti «e uno perché è buono», che è una battuta che capiamo solo io e lei.
È affascinante pensare che sono anni che esploriamo Mystara e i suoi continenti, imbattendoci in popoli di ogni tipo, razza e cultura. E qui razza sta a indicare umani, nani, halfling, elfi, draghi, mostri, a volte alleati, a volte nemici, a volte persino nemici che diventano alleati. Il mio allineamento era Neutrale/Buono, col tempo, a causa delle mie azioni spesso sconsiderate, è stato cambiato all’unanimità in Caotico/Buono. Caotico è uno che non segue nessuna legge, e prende spesso decisioni controproducenti. In pratica, sono io. I personaggi che giochi tendono a intrecciarsi con la tua personalità, con i tuoi mostri e fantasmi, con la tua visione del mondo. Ma non si sovrappongono completamente mai. Da qui un senso enorme di libertà. Siamo altrove, siamo altri. Nessuno di noi è un ragazzino, sappiamo benissimo come funzionano le cose, ma intorno al tavolo possiamo riorganizzare il mondo, cercare giustizia, guadagnare tesori, perderli, rischiare la vita. Wow.

E abbiano i dadi! I dadi meravigliosi con sei facce, otto, quattro, dieci, venti. Parte del gioco è strategico: sia politicamente, per le alleanze che costruiamo e le missioni per cui il nostro piccolo gruppo viene ingaggiato, sia per la struttura dei combattimenti. E quanto mi piace menare! È assai buffo, perché nella vita sono una mediatrice, una evitatrice di conflitti. Quando gioco non vedo l’ora che si combatta. E la formazione tipica è: davanti i guerrieri, dietro i lanciatori di magie, protetti. Io spesso mi posiziono troppo avanti sui quadratini del tavolo di gioco, e la guerriera mi sgrida: stai indietro, cazzo! Perché la mia abilità fondamentale e più preziosa è quella di curare con la magia. Ma la mia natura di cecchino mi spinge avanti, a tendere l’arco, a scagliare le frecce. Faccia brutta della guerriera: arretro la mia miniatura di tre caselle. Scusa, C., hai ragione. Accidenti.

Ecco cosa serve per giocare: una miniatura del tuo personaggio, i dadi, e una distesa di caselle. E un Master, naturalmente, possibilmente uno che ti fa incazzare perché cambia le regole creativamente – siete in un continente dove la magia clericale è proibita, il potere degli dei è debole, e tu, chierico, puoi usare, e di nascosto, solo incantesimi fino al terzo livello. Ma come, porco cazzo!, ci ho messo otto anni ad avere a disposizione incantesimi del settimo livello e adesso in questa fottuta terra di Blackmoor regredisco a un lanciatore di incantesimi da campetto dell’oratorio? Sì. Ok.

La serata è cominciata come al solito con l’arrivo scaglionato dei giocatori a casa del Master. Chiacchiere oziose finché non ci siamo tutti, poi si comincia. Leggiamo il riassunto della puntata precedente. Abbiamo riempito decine di quaderni con le cronache delle nostre avventure. Stavolta ci viene ricordato che stiamo parlamentando con le Sisters, un corpo di guerriere tecnologiche, votate al potere dell’Imperatore di quelle terre, che forse è morto e forse no. Io ho già smesso di cercare di capire chi regna e perché, non sono mai stata brava in geografia, o in storia, figurati se memorizzo dinastie e situazioni politiche complicatissime. So solo che dobbiamo convincere le Sisters che io, anche se elfo, non sono un problema, perché qui della mia razza se ne sono visti pochi. Anche perché la mia razza ha provocato proprio da queste parti, un migliaio di anni fa, un cataclisma terrificante trafficando con la Radianza. Non siamo molto ben visti. Mi presento come cecchino. Nessuno deve intuire che sono un chierico di Ordana, la dea dell’equilibrio della natura. Mentre con cautela parlo con un alto grado delle Sisters apriamo la prima bottiglia da un litro e mezzo di coca cola, stappiamo le prime birre. Frugo nel sacchetto e scelgo una confezione gigante di fonzies: c’è una ciotola apposita sul tavolo, che continuiamo a spostare per avere una chiara visione del piano di gioco. La regola di queste serate è: solo junk food. Non importa quanto possiamo essere salutisti, vegetariani, vegani: si mangiano solo patatine, pop corn, schifezze. Dopo cinque minuti rovescio il mio bicchiere e scatta il panico: io chiedo scusascusa e tampono il disastro con la carta scottex, C. mette in salvo il quaderno, il Master, rassegnato, solleva il terreno di gioco e mette in salvo tutti gli edifici e le miniature che ha meticolosamente dipinto, con pennellini e lente d’ingrandimento. Ultimamente è diventato appassionato di questa attività da miniatore medievale, e le nostre rudimentali miniature sono diventate sempre più raffinate. Prima poteva capitare di usare un tappo di barattolo e dire questo è un drago blu, misura cinque caselle per cinque, il suo soffio congelante arriva fino a qui – e tutti ci sporgevamo per guardare e fare calcoli sui posizionamenti delle nostre miniature. Adesso abbiamo miniature di mura, città, mostri. Intanto, riparato il disastro della cocacola, dobbiamo vedere se ho convinto al Sister: tiro sul Carisma. Chi fa il punteggio più basso vince. Il Master tira il suo dado da venti, e lo nasconde con la mano. Mi guarda e io prendo il mio dado, viola trasparente, lo stringo in pugno, mi bacio la mano e tiro. Uno! Ovazione degli altri. L’ho convinta della mia affidabilità, ma con un uno avrei potuto convincerla anche che sua nonna era una carriola. La situazione si evolve, e si stappa la seconda bottiglia di cocacola ormai tiepida, si apre un altro pacco di patatine. Siamo in missione e dobbiamo combattere contro una razza locale di mega rettili, e forse con dei technovampiri. Eccoli. Si tira per l’iniziativa. Tocca a me, ed è una fortuna, perché a parità di punteggio il ladro vince sempre. Il Master fa cinque col dado da sei. Intorno al tavolo è tutto un Sei! Sei! Solita routine, stringi, bacia, e il mio dado trasparente rotola sul tavolo: cinque. Pari. Vinco io, vinciamo noi. Abbiamo il diritto di attaccare per primi.

È scesa la notte, l’aria smossa dal ventilatore è sempre meno utile, ma ci siamo abituati al suo quieto ronzio, al soffio sui colli sudati.
Ci disponiamo per l’attacco, attenti a non impallinarci col fuoco amico. Io sono euforica. Si combatte! Potrei anche morire per una sequenza di sfortunati di tiri di dado, e sarebbe un disastro, perché l’unico che ha il potere magico di resuscitare i morti sono io. Ma chi se ne frega: c’è da menar le mani!
Che ore sono? Ce la facciamo a finire il combattimento?
Perché se nelle nostre vite sono passati otto anni, con divorzi, morti, cambi di lavoro, di case, su Mystara è passato a malapena un anno. E un combattimento, che in tempo reale corrisponderebbe a cinque minuti di strage, può durare un’ora e mezza. Spostamenti, tiri di dado da venti, calcoli complessissimi sulla classe di armatura del nemico e sul proprio Thac0 (To Hit Armour Class Zero), e viceversa quando il nemico contrattacca, e tutti i nostri occhi sono accesi, come se fossimo davvero nelle pianure desolate di Blackmoore, col suo sole offuscato e l’aura nera che lo copre. Mentre festeggiamo i tiri a punteggio alto e ci disperiamo per quelli bassi – noooooo, ma dai, è il secondo tre che faccio! – scorrono i minuti, le mezz’ore, le ore. Io ti copro, tu attacchi per primo, adesso tocca alle armi da lancio, per ultimi ai lanciatori di magia, che però qui non ci sono, per quella storia della magia clericale proibita, porca miseria. La battaglia prosegue, lentissima e velocissima, ci conosciamo come il palmo della nostra mano, Tu non fare cazzate mi ammonisce la guerriera, perché in quel momento non è la mia amica C., con la faccia sudata e il mollettone arancio, è una guerriera alta e con gli occhi a mandorla, un’armatura splendida e una spada magica. E quella miniatura sul tavolo è un mostro, un mostro vero, e gioiosamente può incarnare tutti i miei mostri e i miei fantasmi, e io che rovescio ogni volta la cocacola ho la destrezza di un gatto e una prodigiosa abilità nell’infilzare i nemici con le mie frecce.

È quasi mezzanotte, giro di consultazione: finiamo il combattimento? Sì, ovviamente.

E tutto sparisce, restano i personaggi, i dadi del fato, i mostri di questa Chernobyl spettrale, e l’urlo di vittoria quando la creatura inferocita cade sotto i nostri colpi. Quanto siamo feriti? Non importa, ci cureremo, con le pozioni, la mia magia segreta. Un altro martedì sera è passato. Domani sarà il lavoro, i soldi che non ci sono, le relazioni complicate, la frustrazione e le cose del mondo materiale, cose che se ti ci scontri troppo velocemente possono farti a pezzi.
Qui abbiamo vinto, e esultiamo.

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