Del piacere dell’accumulo: Le tette di Enrico Pierpaoli, in arte Wasabi Gummybears

Carlotta Vacchelli | Charlie don't surf |

C’è questo libriccino rosa di una quarantina di pagine, 9 cm2, che mi diverte molto.

Di per sé, il formato quadrato mi rassicura: guardandolo chiuso pregusto un senso di equilibrio cosmico e mi compiaccio del fatto che l’autore abbia scelto di incanalare una materia cangiante, proteiforme e centrifuga come il fumetto in una cornice così linda e regolare. Nel necessario scontro con il valore che quotidianamente mi impongo di assegnare all’ordine, alla linearità e alla sistematicità – in quanto natura instabile, approssimativa, vocata al caos e destinata alla dispersione – non posso che essere ammirata e affascinata da espressioni di armonia e compostezza, come un formato quadrato. Insomma, un taglio di questo tipo già mi orienta a una buona predisposizione.

Ma poi, ok, è chiaro che il formato, la copertina e tutto quanto stanno lì a bella posta a incuriosire l’incidentale lettore – aggiungiamoci la patinatura della carta, il piacevole senso di rotonda gommosità del disegno e del lettering di Wasabi (non a caso) Gummybears, e, naturalmente, il rosa! – ma è la materia in sé a ghermire immediatamente la mia attenzione: il libriccino si intitola infatti 50 sfumature di tette – e le tette, si sa, “piacciono a tutti”, come chiosa Alessio Bilotta (editore di Slowcomix – che di Wasabi ha pubblicato, tra gli altri, il recente Xenax) nella prefazione. In altre parole, un prontuario disegnato di tette nell’adorabile foggia di un bigino della misura di un portamonete, più che di un taschino.

A cosa può servire un oggetto di questo tipo, mi chiedo, mentre inizio a sfogliarlo.

Partiamo dalle possibili motivazioni (e dalle eventuali ricadute) di un’operazione così: non siamo certamente nel campo del pornografico – non vedo rappresentazione di atti sessuali espliciti –, ma direi neanche dell’erotico – non mi pare spicchi una particolare intenzione di sfruttare l’immaginario legato al corpo femminile per stimolare desiderio sessuale. Direi, piuttosto, che il libriccino in questione pertiene a una delle mie aree concettuali preferite, quelle per cui difficilmente resisto dall’almanaccare, arrovellarmi, congetturare, ribaltare la prospettiva da un lato e dall’altro: normalizzare la rappresentazione del corpo. Porre a tema un soggetto assodato, interpretato, esibito, onnipresente nell’immagine occidentale e presentarlo per quello che è (una cosa ovvia e normale, di cui è dotato circa il 50% della popolazione) attraverso un sistematico e ordinato accumulo di variazioni, con un distacco da compilatore di inventari.

La prospettiva è infatti quella stralunata e candida del collezionista di farfalle, abbinata a un’affabile tendenza al gioco di parole e alla garbata reinterpretazione in chiave mammocentrica di parole esistenti: dal tagliere che ci porge le “tette a fette”, ad aprire la raccolta, al paio di pianeti areolati della cosmologia del “tettapiattismo”, al modello della “tettonica delle placche, alle tette traballanti durante il “tettemoto”, alle “tette biscottate” e così via.

Il disegno è tondeggiante e morbido, di linee composte ma leggermente irregolari – interessante la scelta del viola anziché del nero per i contorni, che mi fa pensare alle edizioni colorate di Frank di Jim Woodring. Una grafica consapevole, che esalta la naturale ricerca di armonia, risonanza, misteriosa affinità tra le immagini (due tette dietro gli occhiali sotto una cicatrice a forma di saetta sono subito “Harry Popper”, come le “tette sode” due metà capezzolute di un uovo bollito): un’attitudine propria dello sguardo dell’artista.

A chiudere la collezione un epilogo che ogni tanto rileggere non guasta.

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