Gillen, Ribic e gli Eterni: il prezzo da pagare

Federico Beghin | Affatto |

E così la Marvel/Disney ha appena dato l’annuncio: realizzerà Eternals, un film dedicato ai personaggi creati da Jack Kirby. Fatalità, quando la notizia si diffonde urbi et orbi, sono insieme con i due amici con cui guardo tutti i film della premiata ditta Kevin Feige & Co. Emozioni ed esclamazioni contrastanti, tra «Figata!», «Questi da dove spuntano?!» e «Speriamo bene».
Sì, speriamo bene, perché già nei fumetti del Re gli Eterni erano qualcosa di complesso, come una promessa difficile da mantenere, di quelle fatte un po’ “a babbo morto”. E infatti nel corso degli anni il babbo se ne è andato e gli eredi si sono dispersi fischiettando.

Salto in avanti. Siamo sempre noi, i miei due amici e io, stavolta nella chat di WhatsApp, ché c’è il Covid-19 di mezzo e comunque, anche se adesso c’è maggiore libertà, siamo tutti e tre in posti diversi. Ce la raccontiamo, tra una chiacchiera e l’altra diciamo che sarebbe bello ritrovarci per andare al cinema a vedere Eternals, che ormai sta per uscire nelle sale. Io, quello che legge di più, ho appena riposto sullo scaffale della mia libreria Eterni: solo la morte è eterna di Kieron Gillen ed Esad Ribic e ho voglia di parlarne con qualcuno. Colgo la palla al balzo e dico ai miei amici che il film ci voleva, perché come spesso accade la sua progettazione ha smosso le acque e la Casa delle Idee ha deciso di cavalcare l’onda con una serie a fumetti. Aggiungo che ci sono voluti anni, che è stata una lunga attesa, ma che finalmente su queste divinità colorate è arrivato un nuovo comic book interessante, solido, coinvolgente e filosoficamente stimolante.

«Dai? Che bello! E che cosa ti ha colpito di più?», chiede giustamente uno dei miei amici. Allora metto in ordine i pensieri e inizio a scrivere.
Più dei disegni di Ribic – che, sì, ci stanno alla grande, visto che i protagonisti sono degli dèi e il disegnatore dà vita a corpi massicci e a volti che sono maschere del teatro greco giunte ai giorni nostri – mi è rimasta impressa la riflessione che lo sceneggiatore porta avanti per i sei capitoli del primo volume edito da Panini Comics. Anche perché alla lunga quelle espressioni così marcate, le bocche spalancate e gli occhi sgranati talvolta mi sono parsi fuori contesto, esagerati, ripetitivi, stancanti. Ma la ricerca di senso nelle tante vite degli Eterni, no. Quella mi ha affascinato dall’inizio alla fine, una conclusione che apre a sviluppi futuri potenzialmente importanti.

Che cosa mi ha detto di così interessante Gillen, uno che di divinità se ne intende, dato che ha già scritto The Wicked + The Divine? Qualcosa di nuovo? No, certo che no – e come potrebbe, nel 2021! Però, mi ha detto che dietro un ciclo di morte e rinascita c’è un sacrificio; anzi, ci sono tanti sacrifici, perché ogni volta che una vita ricomincia un’altra deve finire. Allora è un’ecatombe. Mi ricordo che, nell’antichità, i Greci usavano sacrificare degli animali, solitamente dei bovini e in numero di cento (stando all’etimologia del termine), per ringraziare gli dèi o per averli propizi. I Numi si accontentavano del fumo che saliva dal rogo, mentre poi gli uomini avrebbero consumato le carni cotte.

L’autore britannico rivoluziona il processo: gli esseri umani diventano i buoi, non più aromi e nubi ma corpi e soffi vitali.
Per un dio che muore e torna in vita c’è un uomo che lascia definitivamente una famiglia, una casa, degli amici, un lavoro, un hobby, un’esistenza… così, di punto in bianco, senza sapere perché e per chi, senza neanche rendersene conto, a dire il vero.
Da qui la tragedia di chi scopre il cadavere: ma come, stava bene fino a un secondo fa!

Perché un dio possa proteggere gli uomini, c’è bisogno che un uomo muoia. Contraddittorio, inspiegabile ma ineluttabile. A questo punto è meglio se noi esseri inferiori proviamo a cavarcela da soli, se siamo padroni del nostro destino, perlomeno se riusciamo a illuderci di esserlo. Faber est suae quisque fortunae, no?

«In effetti, fa pensare», mi scrive l’altro amico. Ma poi il fumetto non si esaurisce qui, ovviamente. Ribic disegna dimensioni sconosciute ai mortali, maestose e aliene, Matthew Wilson le colora, ne rende alcune asettiche e spettrali, altre calde e accoglienti. Da una parte Ikaris, il Superman degli Eterni, rinasce avvolto da un blu glaciale, dall’altra la bella e potente Thena gode dell’amore e del vino in un crepuscolo rosato senza fine. Altrove, sulla Terra, donne e uomini, ignari, conducono le loro vite: per loro non sono previste rinascite o piaceri senza soluzione di continuità.

Ancora, le tavole disegnate sono interrotte da alcune infografiche, brevi testi espositivi utili per accumulare informazioni su questo o quel personaggio, su questo o quel luogo. È la Macchina a parlare con me. È lei, cioè la Terra o meglio la sua coscienza, che mi guida nel racconto, con la sua voce stentata, a volte cacofonica, perché è rotta e dev’essere aggiustata. Sì, in fondo è logico: qualcosa non va, altrimenti gli Eterni non si sarebbero risvegliati e non avrebbero agito. A quale prezzo, però?

Basta, non voglio monopolizzare ulteriormente la chat – Homer Simpson insegna: i saputelli non piacciono a nessuno. Mi accorgo che è passata una settimana da quando abbiamo iniziato la conversazione, forse è proprio il momento di fare un giro online e controllare gli orari dei film. Ormai Eternals è nelle sale e dobbiamo andare al cinema.

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