La rivista che non vota nessunə

Paolo Interdonato | QUASI |

25 settembre 2022. Quella data… dove te la sei appuntata? Io su un sito di viaggi. Ho fatto in modo di prenotare l’andata qualche giorno prima e il ritorno un po’ dopo. Voglio essere lontano dall’indirizzo indicato sulla mia tessera elettorale. Non vorrei mai cedere alla tentazione. È un po’ come quando hai pulsioni suicide. La prima cosa che devi fare, in quei casi, è mettere degli ostacoli tra te e le situazioni che potrebbero metterti in pericolo. «Spostavo l’armadio davanti alla finestra della camera d’albergo», spiegava Dario Argento in un momento di confessioni televisive, «lo psichiatra mi aveva detto che l’attimo del suicidio è molto veloce: se hai qualcosa che si interpone tra te e quella pulsione, allora non lo fai».
Sarò lontano. Non voterò. È una scelta meditata.

«Stronzo! Consegni l’Italia alle forze più becere! Alla destra più estrema e schifosa!», grida una voce nella mia testa (sì, ti ho sentito… l’hai pensato proprio forte).

Voto da trentacinque anni. Ho sempre votato. Ho votato ogni singolo barlume di speranza in quella roulette russa chiamata elezioni. Ogni volta, ho premuto il grilletto, tenendo quella fottuta matita copiativa, che avrebbe dovuto avere almeno una nicchia vuota, saldamente puntata alla tempia. E ogni volta mi sono inoculato dosi del peggior veleno e mi sono allontanato lasciando prove della mia colpevolezza.

Pier Luigi Bersani, qualche settimana fa, citava l’ultima rilevazione di Tecné: «Chi sta bene o benissimo va a votare per il 73%; chi sta benino va a votare per il 62%; chi sta male, malino, malissimo va a votare per il 28%». Non sono riuscito a trovare il rapporto a cui si riferiva, ma solo citazioni giornalistiche di quel dato, tipicamente attribuite a Carlo Buttaroni, sociologo e politologo che di Tecné è il presidente. Decido di credere a quei numeri: mi sembrano attendibili. E mi lascio andare a una catena di deduzioni instabili.
I poveri non votano perché hanno perso fiducia e speranza. I poveri stanno aumentando progressivamente, mese dopo mese, tra pandemia, guerra, costo dell’energia, crisi del lavoro. Gli elettori che decidono di recarsi alle urne diminuiscono, consultazione dopo consultazione. I governi della gran parte dei paesi del mondo si spostano a destra. La comunicazione dei partiti, completamente scollegata da questioni di rilievo sociale, si ostina a sventolare vessilli intrisi dell’odore mortifero del populismo e attrae, con ogni evidenza solo le fasce a maggior reddito.

Bella merda.

Chiamerò Capitalismo, per esigenze di sintesi e per comodità, il sistema schifoso in cui siamo immersi, che si dimostra sistematicamente incapace di attenzione verso le nostre esigenze più elementari (cose semplici come Libertà, Uguaglianza e Fratellanza). Ecco… Quella roba, il Capitalismo, si basa su due movimenti costruttivi fondanti e sono entrambi tossici: il bisogno e la disperazione.

Il bisogno diventa una sfera avvolgente che ci parla continuamente. Voci nella testa che neanche Giovanna d’Arco. Inizia con i bisbigli, poi parte con una cascata di parole incomprensibili, un gramelot del commercio, la gran danza dei pubblicitari. Infine ci urla addosso parole che improvvisamente assumono un senso nuovo (spesso senza senso). Cose che in quel momento sono belle buone e utili e rendono anche noi belli e desiderabili. Il bisogno non deve essere soddisfatto: un cliente felice è un cliente che non compra. Ci deve essere sempre qualcosa di meglio, di più. Sappiamo che le cose che desideriamo ci rendono desiderabili. Però, se sto «male, malino, malissimo» i miei bisogni servono a poco. E questo ci porta all’altro binario lungo cui corre il Capitalismo: la disperazione.

La perdita assoluta di speranza non ha nulla a che fare con la ricchezza. Basta indurre un senso di irreversibilità ed è fatta. Basta convincere ognuno di noi che non ci sia più nulla che si possa fare per migliorare la situazione. Quelli sono gli uomini più ricchi del pianeta (un circo Barnum in cui un porco sposta di decine di punti percentuali il valore del mercato azionario con un tweet e un altro porco smonta un ponte storico per far uscire la barca gigantesca che si è fatto costruire nel porto di una città). Le risorse stanno esaurendosi e siamo destinati a vivere in romanzi distopici: guerre, carestie ed esodo di migranti mossi dalla fame e dalla sete. Il cambiamento climatico ci ha condotti al capolinea: questa non è l’estate più calda che tu abbia mai vissuto, ma la più fresca che vivrai d’ora in poi. Povertà, fame, miseria, siccità, inquinamento, pandemie, guerre, sottomissione, sfruttamento… Un’infilata di cavalieri dell’Apocalisse che, per servirli tutti, abbiamo dovuto mettere il distributore di numerini all’ingresso. Qualcuno, addirittura, se li appunta sull’agenda.

Bella merda, eh?

E se provassi a non essere disperato? Il pianeta se ne fotte della presenza mia e di tutti gli altri parassiti umani sulla sua superficie. Antropocene? Stiamo trasformandolo con il nostro intervento? E allora? Mica lo conduciamo alla distruzione. Lo trasformiamo un po’, mentre quello corre, tutto allegro, verso la morte termica, assecondando responsabilmente il secondo principio della termodinamica. È tutto normale.
L’Enciclopedia Treccani mi fa notare che i dinosauri «hanno dominato le terre emerse per circa 165 milioni di anni». Le prime scimmie antropomorfe sono comparse 25 milioni di anni fa. Nel calendario cosmico di Carl Sagan (che comprime l’intera cronologia dell’universo in un anno terrestre), il Big Bang è stato il primo gennaio, il 2 ottobre è nata la vita sulla Terra, il 24 dicembre sono arrivati i dinosauri, la preistoria è finita il 31 dicembre alle 23:59:50. La nostra storia occupa gli ultimi dieci secondi.
Davvero devo scegliere su quale simbolo di una congrega di irresponsabili mettere una crocetta? Davvero posso cambiare il destino dell’umanità con una X?

Preferisco occuparmi di me, concentrandomi sul modo per essere il più felice possibile, considerandomi libero e uguale, e rendendo lieve, più che posso, la mia presenza ai miei compagni di viaggio.

E tu? Per quale destra voti?

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(Quasi)