La monografia che nessuno menzionò

Tiziana Metitieri | Spaziami |

Aspettando di andare a votare il prossimo 25 settembre, mi trovo a rileggere la storia delle scoperte delle funzioni e dell’anatomia dei lobi occipitali e, tra queste, una che sembrava marginale ma solo perchè sopraffatta dalla lingua imperante e dall’albagia degli uomini occidentali.

Non si trova su una rivista, trattandosi di un articolo scientifico pubblicato in forma di libro. È una monografia scritta in tedesco, la lingua nella quale per alcuni decenni del 1900 si pubblicarono le ricerche scientifiche in Occidente. Soprattutto, è una monografia che non legge nessuno oppure non lo rivela. La monografia fu una delle modalità per comunicare gli sviluppi scientifici, almeno fino a quando, durante il secolo scorso, presero il sopravvento le riviste scientifiche e fu socialmente e incautamente accettato che non pubblicarvi i propri risultati sarebbe equivalso a non esistere come ricercatori e ricercatrici.

Questa è una monografia che non solo non legge nessuno ma non riceve alcuna menzione quando la Società Oftalmica Giapponese ne onora l’autore per il suo successivo e infaticabile impegno nella prevenzione della miopia e per l’introduzione di un ottotipo adatto alla misurazione dell’acuità visiva nei bambini.

Immagine tratta da da Jokl e Hiyama 2007

Tra i meriti elencati, difatti, non compare quello studio sul campo visivo di 29 soldati feriti nella guerra russo-giapponese, iniziata l’8 febbraio del 1904, quando l’Impero del Giappone aprì le ostilità a Port Arthur (l’attuale città cinese di Lüshun) per contrastare l’aggressione imperialistica russa in Estremo Oriente, e conclusa il 5 settembre 1905 con il trattato di pace di Portsmouth.

La monografia aveva per titolo Die SehstSrungen bei Schussverletzungen der kortikalen Sehsphäre (I disturbi visivi nelle ferite da arma da fuoco della sfera visiva corticale) e fu pubblicata a Lipsia nel 1909 da Tatsuji Inouye (1881–1976) che, lasciato l’esercito nel 1906, si recò per motivi di studio in Europa, rimanendovi tre anni per poi fare ritorno in Giappone, dove diresse l’Ospedale Oculistico Inouye dal 1909 al 1963.

La copertina della monografia da Jokl e Hiyama 2007

Inouye fu arruolato come medico militare durante il conflitto russo-giapponese. Il suo servizio consisteva anche nel misurare l’entità di perdita della vista nei soldati feriti, affinché venisse loro garantito un adeguato trattamento pensionistico. In particolare, Inouye sviluppò una perimetria dinamica per individuare i deficit di campo visivo nei soldati colpiti da proiettili nella parte posteriore della testa e penetranti i lobi occipitali del cervello. Proprio in quella guerra i russi introdussero un nuovo fucile, il Mosin-Nagant 91, dotato di proiettili più piccoli dei precedenti, che non devastavano il cranio, ed erano abbastanza veloci da uscire dalla parte opposta, lasciando lesioni nel cervello, le cui conseguenze potevano essere osservate se i soldati colpiti sopravvivevano dopo i primi giorni di perdita di coscienza. Il progresso tecnologico può, al più, ridurre la dimensione spaziale delle ferite di guerra ma genera nuove disabilità e nuovi bisogni di riabilitazione, cure sanitarie e assistenza sociale che si estendono a lungo termine nella dimensione temporale.

Ideando uno strumento chiamato “cranio-coordinometro”, e con la collaborazione dei soldati, il medico giapponese riuscì a ricostruire le coordinate delle ferite di ingresso e di uscita dei proiettili, calcolando l’estensione delle traiettorie e determinando quali regioni del cervello erano state danneggiate.

Il cranio-coordinometro di Inouye riportato per la prima volta da Glickstein e Whitteridge (1987)

I punti di riferimento per la mappa della corteccia visiva, quali la scissura calcarina, la scissura parieto-occipitale, il tentorio cerebellare e il corno posteriore del ventricolo laterale, furono misurati da Inouye sul cervello dei soldati morti per le ferite causate da quei nuovi proiettili.

A partire da questa mappa, come descritto nella monografia, per ciascuno dei 29 soldati sopravvissuti che studiò, tracciò uno schema accurato del campo visivo di ciascun occhio, circoscrivendo l’area lesionale corrispondente a livello occipitale.

La mappa topografica di Inouye riadattata da Glickstein (1988)

Seguendo tali procedure, Inouye sviluppò il primo schema che mostra in modo più accurato come il campo visivo sia rappresentato nella corteccia visiva del cervello umano: il centro del campo visivo è rappresentato nella parte posteriore del lobo occipitale, mentre le parti più periferiche del campo sono rappresentate verso la parte anteriore del lobo occipitale. Con questi dati, Inouye ribaltò la ricostruzione anatomica del neuropatologo svedese Salomen Eberhard Henschen che, nel 1892, aveva scoperto il ruolo della corteccia occipitale nella percezione visiva.

Per la prima volta, inoltre, la minuziosa monografia documentava una sovrarappresentazione della macula nella corteccia visiva, rispetto alla periferia retinica e venivano ipotizzate le basi anatomiche del risparmio maculare in cui la visione centrale è conservata in presenza di deficit di campo visivo causati da lesioni unilaterali del lobo occipitale. Questo reperto sarebbe poi stato messo in discussione.

I risultati di Inouye furono replicati ed estesi dal neurologo britannico Gordon Holmes, assieme al suo collega William Tindall Lister, attraverso lo studio delle lesioni occipitali nei soldati inglesi feriti durante la prima guerra mondiale.  Tuttavia, Holmes e Lister, negarono il verificarsi del risparmio centrale nei deficit di campo visivo, ritenendo che tutti i casi di apparente risparmio maculare fossero causati da un danno incompleto al lobo occipitale.

La mappa di Holmes del 1928 riportata da Glickstein (1988)

Questa disputa non è stata risolta dalle ricerche più recenti. Probabilmente il risparmio maculare, se presente, è riconducibile a diverse spiegazioni da analizzare caso per caso.

Nei decenni successivi, però, ad essere citato nelle ricerche sull’argomento fu solo il lavoro degli inglesi e nessuna citazione fu riservata a quella monografia scritta in tedesco da un medico giapponese.

Si deve a Mitchell Glickstein e David Whitteridge nel 1987 e a Glickstein nel 1988, a Danny H.-Kauffmann Jokl e Fusako Hiyama nel 2007 e ad Alexander P. Leff nel 2015 il tardivo riconoscimento del pioneristico lavoro clinico e neuroanantomico di Tatsuji Inouye.

L’autore non si scompose per averlo in vita. Come riportano Jokl e Hiyama, «fluente in inglese, francese, tedesco, cinese e coreano, pianista e praticante dello Zen, mangiò con parsimonia». Inouye sviluppò l’oftalmologia in Giappone, si occupò di accesso alle cure, di prevenzione dei disturbi della vista con campagne di sensibilizzazione e adattamento degli arredi nelle scuole, dell’attività clinica tra guerre e disastri naturali e visse in conformità alla filosofia che «se la mente è in pace, il cervello è in pace».

Non si sottrasse al dovere di prestare servizio durante la guerra russo-giapponese, tra devastazioni e crudeltà che le persone non coinvolte «non possono nemmeno comprendere». Fu però consapevole, nella razionalità e compassione del medico, che, anche attraverso le indicazioni derivanti dal suo lavoro «se non è possibile prevenire guerre future, almeno ai popoli coinvolti potrebbe essere fornita tutta la protezione possibile per ridurre il loro terribile stress e la loro sofferenza». Così scriveva Tatsuji Inouye in quella monografia rimasta al di fuori dallo spazio visivo scientifico per quasi ottant’anni.

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