Viola Mistica

Arabella Strange | Rorschach |
disegno di Margherita Govi (“senza guardare”)

Quando studiavo il Buddismo, una delle questioni più appassionanti, per me, era la coscienza; in sanscrito, con uno dei suoi suoni scivolosi e vocalici, vijnana. Per il Buddismo le coscienze sono nove, e le prime cinque, a sorpresa – almeno per me, la rivelazione era stata affascinante – sono quelle dei cinque sensi. C’è una minuscola speciale coscienza per la vista, una per l’udito, e così via. La sesta coscienza compare per mettere insieme quello che le prime cinque le comunicano, e integrarle in qualcosa che abbia senso. A giudicare ci penserà la settima.
Come è tipico per una visione del mondo non dualistica, le coscienze successive non disprezzano quelle precedenti. Le nove coscienze sono un prisma a nove colori e sì, la nona è la coscienza dell’illuminazione, ma non può esistere senza le altre.
Ci penso mentre scendo verso Via San Faustino in una giornata leggera color turchese. Potrebbe essere il primo giorno di primavera. Ho gli auricolari e la musica mi riempie di gioia. È una canzone che parla di un corvo, di alberi e di problemi che si affollano sul pavimento, ma la voce e la chitarra sono così dolci che per me, e solo per me, sta cantando di cieli azzurri e di non avere paura della gente. Ci sono centinaia di bancarelle e la strada è piena di gente, ma non è così tanta da farmi sentire claustrofobica, perché è l’una e quasi tutti sono a casa a mangiare. Qui, alla fiera, ci sono solo i die hard, com’eravamo io e mio padre quando ci andavamo insieme, in uno dei nostri rari momenti di pace.

Per due anni la fiera non si è tenuta. Si pensa addirittura che nel 2020, insieme a una partita di calcio giocata in casa, sia stata una delle cause dell’esplosione del Covid-19 che, qui a Brescia, ci ha massacrati così brutalmente. Oggi mi sembra una nota di fondo, una specie di bordone sotto qualunque discorso sapere che siamo qui di nuovo, che una normalità, anche eccessiva, è di nuovo stesa come una tovaglia allegra, sopra tutto quello che è stato. Le bare nei garage dei condomini, per dire, perché non c’era spazio all’obitorio. Ma oggi è tutto troppo sottile, azzurro e profumato, e la mia settima coscienza sta zitta e, come una zia comprensiva, si siede con la sesta coscienza e lascia che le prime cinque si scatenino come bambine che hanno mangiato troppo zucchero.
Piccolissime, indomite coscienze primordiali che cominciano a dare forma alla realtà, che ci chiamano alla realtà, e la porgono alla sesta coscienza: se gli occhi gridano Blu, la pelle freme e il naso sussurra Dolcezza, con un brivido di piacere la sesta coscienza, maestra d’asilo, spiegherà Cielo di una Giornata di Primavera! E io lo sento quel punto esclamativo mentre guardo su. Non c’è una nuvola, l’aria è tiepida, i colori degli oggetti esposti luccicano. È la giornata perfetta per camminare lentamente e curiosare. E perdere il senso del tempo.

Le cinque coscienze non conoscono il tempo. Conoscono l’essere e, a volte, vanno, di slancio, ognuna per conto proprio. Possono rivelarsi estremamente fastidiose, maledizione, come quando provo un fastidio fisico per la musica brutta! Dovrei dire, per correttezza, musica che non mi piace, ma dentro di me la vocina della coscienza delle orecchie strilla che è brutta brutta bruttaaaaa! Come schiacciarsi un dito in un cassetto? Suggerisce il Tatto. Esatto! Sei una fighetta del cazzo, mi dicono, e invece no, tristemente: le mie orecchie hanno una coscienza, e io cerco, con la mia settima coscienza, di essere umile, ma le mie orecchie fanno Ahi. Quella dell’udito è una coscienza formidabile. Riesce a farci seguire il discorso di una persona che ci interessa al centro di una festa affollata, silenziando i discorsi di altre cento persone che stanno parlando. Ma poi non ci riesce con le canzoni di Sanremo che escono dagli altoparlanti delle bancarelle. Che peccato.
È anche per quello che sto attraversando la fiera con gli auricolari nelle orecchie. Sto ascoltando Raven di Sara Jarosz, una cover di un pezzo bellissimo di Martha Scanlan. Quanto è brava Sara, fra ieri e oggi avrò ascoltato questo pezzo cento volte: l’ho interrotto mentre dormivo, ma appena sveglia ho premuto di nuovo play. La prima volta che ho sentito Raven la coscienza del mio udito ha esultato e, ogni volta che l’ho riascoltata, la gioia si è fatta più forte e più sicura. Questo è il mondo, pensava quella piccola coscienza. Questo è il senso.

Riesco ancora a camminare con il naso all’aria. La gente sta cominciando a riempire la strada ma si riesce ancora a camminare con calma, con il proprio passo. Non sarà così per molto. Ora il cielo è azzurro come una delle mie magliette preferite, un blu sicuro di sé, con la sfrontatezza del lapislazzulo. Ci sono innegabili segni di primavera ovunque e gli occhi, che hanno una coscienza sviluppatissima, quella più allenata a garantirci la sopravvivenza avvisandoci di serpenti leoni e ragni giganti, vengono bombardati da boccioli, foglioline, rametti e  fiorellini come in una miniatura medioevale. E sopra a tutto c’è quella volta, implacabile, che si curva sopra la mia testa.
Sto inoltrandomi verso il cuore della fiera: la piccola coscienza dei miei occhi dovrà cominciare a impegnarsi per selezionare i dettagli interessanti mettendolo il resto nel cestino e premendo delete.
Ci sono centomila versioni degli stessi dieci prodotti, ma alcune bancarelle mettono in mostra oggetti più strani che faranno riposare i miei occhi. Orecchini che brillano al sole, sciarpe ornate di gatti per di più. Se ne vanno i primi soldi.
La coscienza del mio naso si è risvegliata, improvvisamente: oh, finalmente, è il profumo delle frittelle! Sento la bocca che mi si riempie di saliva, è la coscienza del mio gusto che si attiva e mi dice per cortesia, lo so che sei a dieta e la tua tiroide non funziona tanto bene, ma potremmo mangiare qualcosa di buono? Per il mio naso e la mia bocca questo posto viene di colpo percepito come amorevole e accogliente, mentre la coscienza degli occhi è occupata a schivare i deficienti che sfrecciano sugli attraversamenti pedonali in monopattino elettrico.
Gli occhi mi hanno urlato: attenta! E nello stesso istante il mio naso urlava: che buono! E le mie orecchie cantavano So take me down hard time are falling down and covering the ground.
Perché tutte e cinque le coscienze hanno la purezza di un corvo e la ferocia di un agnello. Non valutano, sentono. Tuttalpiù, cercano. Ma sono. Ascoltandole siamo, anche noi, un po’ di più. Il mondo è più mondo, Noi siamo più svegli. Io sto giocando a sintonizzarmi su queste cinque piccole radio, mentre la fiera dei santi patroni genera un sovraccarico sensoriale che rende il mio tentativo di dare ascolto a queste vocine un’esperienza a tratti difficoltosa, a tratti psichedelica.
Il sole tiepido sulla pelle. L’aria di primavera. La gomma morbida della borsa che tengo chiusa con una mano per evitare di farmi fregare il portafoglio. Lo spostamento lento e disordinato della gente che tende a fermarsi di botto e tu vai a sbattergli contro.
La mia settima coscienza prende atto della mappa messa insieme dalla sesta e mi fa capire che la claustrofobia sta montando. E che è il momento di sgusciare fuori e infilarmi nella chiesa dei Santi.

Dentro c’è una mia amica. È una supereroina. È nascosta in una nicchia laterale della navata sinistra. Sotto il piede destro tiene un demone cornuto. Ha in braccio un bambino e ne tiene un altro per mano. Sono piccini e ridono. Lei ha un sorriso indecifrabile. Potrebbe essere uscita da un arcano maggiore dei Tarocchi, una carta che chiamerei L’Eroina, oppure La Dignità.
I bambini sono bellissimi e allegri, indistinguibili da quelli a cui leggo i libri all’asilo, ma fatico a trovare le parole per descrivere l’espressione da guerriera di questa Madonna che schiaccia un demonio cornuto come se fosse normale. Il suo viso non tradisce sforzo o rabbia. Ha la faccia di una con cui non ti devi permettere di fare il coglione. Sulle spalle porta un manto di fiori azzurri e oro che vorrei indossare anch’io.
La coscienza dei miei occhi si ingioia sempre e anche le coscienze superiori si risvegliano, attente, perché quella Madonna è lì per me, per me pagana: è la Signora del coraggio, la mia patrona personale. È la Madonna che mi dice di non vergognarmi, è la Madonna del vaffanculo.
Ma per la coscienza dei miei occhi è puro splendore.

Intanto la coscienza del mio naso è conflitta tra wurstel con la senape, bomboloni con la crema, diffusori di aromi al vetiver e incenso di rosa mistica. Esco. La gente è tantissima, e il cielo è più blu, l’aria ancora più tiepida, c’è un gran rumore e le cose da vedere sono troppe.
Ne compro alcune a caso. So che mi pentirò, ma come si fa ad andare a una fiera senza comprare nulla? Resto incantata ad ascoltare quello che vende lo spazzettone di gomma strizzabile che raccoglie i peli degli animali, lo compro perché chissà, sarà magari l’utensile magico che mi aiuterà a tenere sotto controllo il pelo dei tre gatti che affollano casa mia. Ho veramente bisogno di un ulteriore coso per fare a cubetti le zucchine? Sì, perché la coscienza delle mie orecchie è deliziata dal ritmo delle parole recitate mille volte dal venditore, da come si librano nel caos, ininterrotte, precise, ipnotiche.
Adesso si fa fatica a camminare, io desidero solo arrivare a uno slargo per infilarmi sotto i portici. Saluto due amici dietro al banco delle pentola, sono arrivati questa mattina all’alba dal Piemonte, andranno a dormire a tarda notte. Ci abbracciamo, come state? Non ci vediamo da prima del Covid. Bene, bene, non riusciamo nemmeno a parlare perché la gente vuole comprare pentole! E non so come me ne vado anch’io con due pentole regalate. Penso a loro stamattina, al buio, col furgone pesantissimo, tutta quella merce di metallo, stanotte col furgone semivuoto, e spero che non abbiano una fiera anche domani. Che vita fanno gli ambulanti. Una vita un po’ selvaggia, carica, scarica, mangia in piedi delle cose fritte, scambia due parole col bancarellaro accanto. Questa volta il loro vicino vendeva le olive di Sicilia, mentre ero lì è venuto a portargliene un cartoccio.
Ma mentre la mia settima coscienza pensa queste cose quelle piccole e furibonde dei miei cinque sensi, specie del tatto, stanno strillando Esci da questa bolgia!
E alla fine ce la faccio. Sono fuori.
È buio come fa a febbraio, veloce, con una sfumatura blu, e la temperatura crolla di dieci gradi in pochi minuti. Io ho speso tutto, ma non ce la faccio a camminare con un secchio magico dello spazzettone magico che mi sbatacchia contro le gambe, quindi decido che prenderò un taxi, perché oggi è proprio festa Se uno dei focolai che hanno prodotto migliaia di morti è stato qui il 15 febbraio 2020, noi oggi siamo di nuovo qui e pensiamo, un po’ tutti, che forse questa è andata, vedremo la prossima, intanto festeggiamo, accalchiamoci e vaffanculo.

Per fare il prelievo allo sportello del bancomat devo mettermi in coda nella piazza fascista. È strano non essere più spintonati da tutte le parti. La coscienza del tatto si era abituata alla pressione delle persone, ai loro gomiti nelle costole e ai loro piedi estranei che mi calpestavano gli anfibi. Alzo il volume in cuffia, Raven oh tree oh tree oh tree take me back where roots begin. Anche io sono un albero che ha bisogno di ritornare dove le radici cominciano. E le radici non sono quelle cinque piccole voci che fin dall’inizio ci hanno cullato e poi insegnato e poi scagliato nel mondo? Mentre aspetto riesco ad ascoltarla due volte per esteso e ho i sensi così sovraccarichi, sono talmente felice, sono talmente in up che mi sembra di sentire il punto luminoso e preciso in cui tutte le mie coscienze, ora, si stanno schiudendo come i cinque petali di una viola alchemica.

Torno a casa in taxi.

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(Quasi)