Inuyasha e i decenni di Rumiko Takahashi

Boris e Paolo | Facoltà di cazzeggio |

Paolo: Boris, la settimana prossima siamo senza articoli. Cosa ci mettiamo? Fa’ qualcosa, sennò faccio lo scherzo del Lorem ipsum…

Boris: Sto un po’ nella merda, ma per lunedì un pezzo lo tiro fuori. Venerdì c’è Francesco con la Mappaterra. Resta il buco di mercoledì.

P.: Facoltà di cazzeggio?

B.: Sì, ma su cosa?

P.: Visto che hai torto per definizione, facciamo come facciamo sempre. Decidi una cosa bella che non ti piace o una brutta che vuoi difendere. Poi parliamo di quella.

B.: Una cosa bella che non mi piace è l’ultimo di Manuele Fior, però rischiamo di ripetere lo stesso schema delle altre due volte. Voglio proprio cazzeggiare sparando minchiate. Ci vuole un manga.

P.: Però deve vendere più delle 350 copie della maggior parte dei graphic novel.

B.: Basta che non sia One Piece. Scegli tu.

P.: Uno pieno di narrazione, struttura, e comicità. Uno di cui si può parlare anche avendone letti solo due volumi. Potrebbe essere una cosa di Rumiko Takahashi.

B.: Ma io sono fermo a Maison Ikkoku.

P.: Beh, anche quello se vuoi: è bellissimo e divertente. Attualmente sta uscendo ‘sto Mao, ma è insopportabile. Pare il fumetto fatto dalla gente che vive nello studio mentre lei è in un’altra stanza a leggere Proust, Dostoevskij o Kawabata. Secondo me non mette mano nemmeno agli storyboard. Altrimenti, sempre in uscita in questi mesi, c’è la ristampa di Inuyasha. Una bella storia d’amore, demoni e liberazione.

B.: Scendo in libreria e ne prendo due numeri, poi ne riparliamo.

P.: Non puoi aspettarti che noi si trattenga il fiato mentre ti aspettiamo. In qualche modo dobbiamo intrattenerci. Siccome mi hai lasciato solo riassumo brevemente l’incipit e il contesto narrativo per chi non lo avesse letto. Boris, quando hai fatto, avvertimi, così posso dirti, per l’ennesima volta, che hai torto e sei completamente privo di gusto.
Allora… C’è questo mezzo demone fracassone che si chiama Inuyasha, ha una lunghissima zazzera bianca e occhi e orecchie da cane, e fa il diavolo a quattro in un villaggio giapponese nell’epoca Sengoku, un periodo di grande casino: feudi e conflitti intorno al sedicesimo secolo. Nello specifico ha rubato una sfera magica e sta riuscendo a portarsela via. La protettrice della sfera è la sacerdotessa Kikyo che compare all’improvviso e interrompe il furto del mezzo demone con una freccia sacra. Kikyo muore subito dopo e Inuyasha si ritrova sigillato a un alberone in mezzo alla foresta. La sacerdotessa viene sepolta con la sfera.
Nel Giappone contemporaneo la neoquindicenne Kagome cade in un pozzo magico dietro casa e viene trascinata da demoni nell’epoca Sengoku. Si ritrova assalita dai demoni e per difendersi stacca dall’albero la freccia che sigilla il corpo di Inuyasha e lo libera. Il demone cane ha trascorso una cinquantina d’anni imprigionato. Nel trambusto la sfera viene rubata e Kagome, nel tentativo di salvarla, la colpisce con una freccia e la manda in frantumi.
Ora, per ritrovare tutti quei pezzetti di cristallo magico, la ragazza, il mezzo demone e una compagnia di amici raccolti per strada partono in missione.
Il tutto ha trovate narrative divertenti, racconta una storia d’amore che procede tra negazione, tentazioni, incertezze e incomprensioni, e fa molto ridere.
Sei tornato?

B.: Sì, sono tornato. Scusa il ritardo ma la libreria è dall’altra parte della piazza e, attraversandola, passo davanti al mio locale preferito. Al ritorno ci siamo fermati a farci due bicchieri. Io e Inuyasha da soli, per entrare in sintonia. Per quello che ho letto – i primi due volumi – l’ho anche trovato gradevole, forse pure appassionante per un lettore di sei anni. Voglio dire, è dai tempi di Dragon Ball che i fumettari giapponesi ci ammorbano con la loro fissa per le sfere: da quelle del drago alla palla da basket di Slam Dunk, passando per Capitan Tsubasa e Jenny la tennista. Le mie sono frantumate in più pezzi della Sfera dei Quattro Spiriti. Tu sai spiegarmela questa ossessione orientale per le sfere? Pensa che una volta ho letto un libro che raccontava che le sfere vaginali le hanno inventate in Giappone per l’allenamento pelvico delle Geishe.

P.: Ma certo! Hai ragione! E che dire delle catastrofi nelle narrazioni occidentali? E dal Gilgamesh – cosa sono? Seimila anni? – che ce la meniamo con il diluvio universale e la fine del mondo.
Boris, non ti ci mando solo perché conosci la strada e ci vai da te.
La ricerca è il nucleo narrativo dello Scimmiotto. Dragon Ball, che sembra partire da lì, poi costruisce una narrazione a spirale nella quale i protagonisti affrontano nemici sempre più forti e acquisiscono sempre più forza. Un bellissimo gioco narrativo intorno a The Game of Death e a quegli ultimi trenta, meravigliosi, minuti di cinema sublime di Bruce Lee.
Takahashi decide di riscrivere Dragon Ball. E lo mette in crisi. Lo ribalta continuamente. C’è la ricerca della sfera a pezzi. Ci sono le sfide continue. Le notti di luna che trasformano il piccolo Son Goku in un gigantesco gorilla, qui, diventano l’elemento che scatena un’altra trasformazione… ed è altrettanto pericolosa. E quando tutti i frantumi saranno recuperati, proprio come succede con le sette sfere…
Ma davvero ti ha annoiato?

B.: No, non direi annoiato. Anzi, ti ho detto che, per quel poco ancora che ne ho letto, l’ho trovato gradevole. Piuttosto vagamente deluso. Il problema non è certo la rilettura che Takahashi fa di Akira Toriyama… è che mi è sembrato di assistere alla stessa cosa che mi è capitata mentre leggevo Amelia e le 7 streghe vulcaniche (sette come le sfere del drago, sarà mica un caso) di Enna e Vian su “Topolino” 3564: una completa desessualizzazione del personaggio. Un’Amelia de-erotizzata non ha più alcun senso. Nel caso di Inuyasha ho avuto l’impressione – ma te lo ripeto ho letto solo due volumi – non solo che venissero annullati tutti i sottintesi sessuali di Dragon Ball, ma anche che Takahashi abbia, come dire, normalizzato il proprio universo, epurandolo da tutte le ambiguità. Penso a cose che mi piacevano veramente come Lamù o Ranma 1/2 che ne erano pieni. E, se ci togli tutte le ambiguità, una storia di demoni non mi piglia.

P.: Mi pare che Takahashi sia molto cambiata nel tempo. Probabilmente anche per adeguarsi alle sensibilità che cambiano. Magari anche alla sua, di sensibilità, che cambia.
Il sottotesto erotico c’è sempre. Ci sono triangoli amorosi, a volte sanissimi e a volte malsani (tra questi quello tra Inuyasha, che è un mezzo demone, Kikyo, che è morta, e Kagome, che ne è probabilmente la reincarnazione). Ci sono i corpi, c’è un sacerdote bellissimo e maiale che ci prova con tutte le ragazze, palpeggiandole spesso, nella cui mano giace una voragine che potrebbe ingoiare il mondo e ucciderlo al contempo, ci sono decine di contendenti per tutti e tutte…
Forse hai ragione. Mi ci fai pensare e capisco che l’erotismo di Inuyasha ha rimosso le trasgressioni. Certo in Lamù e Ranma 1/2 il mondo era più effervescente.
Però, forse, il kink si è spostato nel nucleo narrativo. La battaglia continua con oni e yokai, messi sotto steroidi dall’innesto di cristalli nelle carni, è una straordinaria carrellata nel folklore nipponico. Mi sembra che Inuyasha abbia spesso lo stesso respiro di Kitaro dei cimiteri di Shigeru Mizuki.
Però Takahashi gioca in un altro campionato: non vuole confrontarsi con l’autoracconto, la confessione, la storia e, soprattutto, le microstorie; decide di essere una grande narratrice seriale. Ecco… mi pare che se dovessi affiancarla a un altro fumettista, per scelte, ritmo, variazioni di racconto, gestione dei tempi, la accosterei a Carl Barks e ai suoi paperi. Con l’enorme differenza che Barks ha vissuto mezzo secolo prima di iniziare a raccontarci Paperino e a inventare il suo mondo affettivo e avventuroso; Takahashi ha iniziato giovanissima.

B.: Mi sa che hai ragione. Hai beccato il punto. È quello che mi chiedevo. Perché, per esempio, a me che ho massima attenzione per le culture del sud e dell’ovest e non mi frega quasi niente di quello che arriva dall’est e proprio niente del nord, ogni volta che rileggo NonNonBa di Sigheru Mizuki mi trovo ad appassionarmi per quella storia di demoni e spiriti? Probabilmente per quello che dici. Perché Mizuki mette nei suoi fumetti tutto il suo vissuto, e il suo vissuto è accumulato vivendo prima e separatamente dal fare i fumetti. Invece per Takahashi i fumetti sono il suo percorso di vita. Comincia a fare Lamù a vent’anni, e quel fumetto sono i suoi vent’anni, con tutte le pulsioni e le ambiguità dei vent’anni, e io che ho cominciato a leggerla a poco più di vent’anni (grazie a Granata Press nel 1991, se non ricordo male) me lo sentivo perfettamente addosso. Mi è successo lo stesso con Ranma, che riflette la curiosità sessuale (in momento in cui il sesso, da pulsione diventa cultura) realizzato da una trentenne. Per questo non provo entusiasmo per Inuyasha: sono i racconti di una nonna che ripensa a quel che è stato, ma sembra dimenticarsi la parte di vissuto, per non turbare (perché lei teme di poterli turbare) i nipotini.

P.: Sta’ attento a quello che dici di Rumiko Takahashi! Finisce a botte!
Il fatto che il fumetto sia il suo mestiere da sempre non significa che non abbia potuto vivere.
Mi illudo che anche chi, come Takahashi e come me, fa da tanti anni un mestiere di tante ore al giorno e di tanta noia (per ragioni diversissime, eh), possa trovare il tempo per vivere.
A me chi afferma «O si scrive, o si vive» pare imbecille allo stesso modo di chi sentenzia «Chi sa fa, chi non sa critica». Anche perché – da lettore prima che da critico – so che la maggior parte di chi fa sa pochissimo e – da alienato che lavora, da 34 anni, per 10 o 12 ore al giorno – confesso di aver vissuto, riuscendo spesso a divertirmi. Mi è venuta tristezza: mi preparo un gin tonic. Non hai trovato straordinaria l’evoluzione del rapporto tra Inuyasha e Kagome? E il fatto che lei lo sottometta gridando «A CUCCIA!»?

B.: Straordinaria non lo so. Divertente certo. Comunque mi hai frainteso. Non ho mai detto, anche perché non lo penso, che Takahashi non abbia vissuto perché faceva e fa fumetti. Ho detto che a differenza di altri autori che nei loro fumetti ci riversano il vissuto, i suoi fumetti sono il suo vissuto. Mica è una vita da disprezzare quella che si identifica con la propria opera. Quello che penso, e me lo hai fatto venire in mente tu, è che c’è una perfetta adesione tra lei e i suoi fumetti, che riflettono, senza essere autobiografici, la sua evoluzione anagrafica e probabilmente culturale. Per questo ribadisco che Inuyasha, pur essendo scorrevolissimo, non mi appassiona come avevano fatto altre cose sue. Non mi interessa questa parte della sua vita di vecchia zia che ha tanto vissuto e che sa tante cose sull’amore. La preferivo quando ne sapeva di meno ma le viveva insieme a me lettore. Oh. Nessuna tristezza ma è venuta sete anche a me. Mi faccio un Martini dry.

P.: Ti devo però dare una notizia terribile. Takahashi è del 1957 e ha undici anni più di te e di me. Ha lavorato a Lamù tra il 1978 e il 1987, nel suo decennio dei vent’anni, a Ranma 1/2 tra il 1987 e il 1996, nei trent’anni e facendoci sospettare che voglia legare con precisione alcune sue opere a precisi decenni della sua vita. Quando è entrata negli “anta”, nel 1997, stava facendo Inuyasha da un anno e si è fatta accompagnare da quel fumetto fino ai cinquantuno. Se era una nonna, era una nonna molto giovane.
La serie dei cinquant’anni è Rinne, che proprio non ricordo, e quella dei sessanta Mao, di cui ho letto un paio d’albi prima di ritirarmi in buon ordine tra le fila dei non lettori.
Ti faccio notare, mentre sorseggi il tuo Martini (agitato o mescolato?), che lo sfasamento delle tue letture sta sovrapponendo il tuo immaginario erotico di vecchio porco nel pieno del suo decennio dei cinquanta a un mondo di Rumiko quarantenne.
Va bene che abbiamo iniziato dicendo che volevamo cazzeggiare e sparare minchiate, ma forse qui si esagera.

B.: Mi appello all’inalienabile diritto del cazzeggiatore di esagerare. Non è quello l’importante?

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