Pensieri spettinati

Paolo Interdonato | post-it |

uno. Un pensiero spettinato, che mi si è infisso nel cranio, mi ha prodotto una certa inquietudine.
Il cellulare come lo conosciamo oggi è un’invenzione piuttosto recente. Prima del 2007 toccare lo schermo era un tabù e il telefono aveva dei bottoni che bisognava pigiare con vigore. A meno che tu non avessi un blackberry (che era un oggetto molto brutto), per scrivere un messaggio dovevi giocherellare con i pochi bottoncini dei numeri e sperare che il T9 ti permettesse di comporre parole sensate. Poi sono arrivati gli schermi multitouch e le gesture. Pochi tra noi si sentono a proprio agio senza un telefono in tasca; pochi tra noi immaginano un futuro senza telefoni.
La parola “smart” ha smaltito il grosso del proprio fascino ai tempi del più recente colera. La pandemia che ci ha chiusi in casa ha trasformato lo “smart working” in un obbligo spesso insopportabile; la fine dei lockdown ha ribaltato i giochi. La possibilità di lavorare da casa è stata progressivamente ridotta: pare proprio che le aziende preferiscano che i lavoratori, qualunque contratto abbiano, siano in presenza perché, diciamocelo, l’occhio del padrone ingrassa i cavalli. “Smart”, ma non troppo, ché poi quelli fanno i furbi. Eppure, le persone che incontro sui mezzi che prendo indossano sempre più spesso oggetti smart: orologi soprattutto, ma anche occhiali.
Penso a un futuro senza cellulari: con informazioni visive che si sovrappongono al mondo che guardo attraverso i miei occhiali. Le immagini che vedo e tocco sullo schermo del mio cellulare sono metafore che raccontano il mondo (tutti quei cuoricini e quei pollicioni significano). Se quelle metafore diventano un livello (proprio come quelli di Photoshop) sovrapposto alla realtà che esperisco attraversi i sensi, il mio corpo acquisisce superpoteri. Certo, sono superpoteri normalizzati perché ce li hanno tutti, ma sempre superpoteri restano: faccio cose che prima mi erano impossibili.

due. «Quando disegni, non puoi mentirmi. Ti vedo. Capisco tutto di te. Vedo se sei timido o spavaldo, se hai paura, se sei triste, se stai bene… Se sei una persona vuota, il tuo disegno sarà vuoto. E, allora, devi fare qualcosa per metterti dentro qualcosa, per riempirti. Solo così, il tuo disegno avrà dentro qualcosa. Quello che sei.» (Lorenzo Mattotti, riportato a memoria, durante il suo incontro pubblico all’Arf di Roma il 13 maggio 2023)

tre. Sto leggendo i fumetti fatti da Nicoz Balboa prima dell’ultimo (Nicozrama, Born To Lose, Play With Fire). Seguire per intero quel percorso mi sembra il modo migliore per leggere, con animo euforico, Transformer, l’ultimo suo libro, che ha proprio l’aria di essere un capolavoro. Lo conosco da un bel po’ e ho sentito alcune su interviste recenti. Ho una gran voglia di chiacchierare di fumetti con lui.

quattro. «Quanti anni aveva Tina Turner?» Una domanda così, fino a qualche anno fa sarebbe rimasta senza risposte per un po’. L’indeterminatezza avrebbe scatenato uno scontro di ipotesi. «Aveva più di quarant’anni ai tempi di Mad Max e We Don’t Need Another Hero». «Di che anno è Mad Max
Oggi il discorso si interrompe sul nascere. Qualcuno estrae lo smartphone e fa la domanda ottenendo subito la risposta.
Penso a un mondo in cui nessuno deve cacciare la mano in tasca ed estrarne il telefono: bastano l’orologio e gli occhiali. Penso a un mondo in cui nessuno deve passare le dita sullo schermo: basta chiedere. Un po’ come si fa con l’assistente vocale a casa. Anzi senza neanche invocare l’intervento con la parola magica. «Ok google», «Alexa», «Apriti, Sesamo»… Non servono più. Il tuo dispositivo è sempre in ascolto. Le informazioni richieste ti appaiono davanti agli occhi sovrapponendosi al mondo.
Abbiamo capito perfettamente quali sono le potenzialità delle AI. Chi tra noi non ha ancora giocato con ChatGPT e OpenAI? Microsoft ci ha buttato dentro, all’inizio di quest’anno, dieci miliardi di dollari ed è facile intuire cosa possa significare un tale movimento di capitali.
L’integrazione di OpenAI negli strumenti di produttività personale (il client di posta, il foglio di calcolo, il word processor…) produce consigli personalizzati, spesso calzantissimi. E migliorano a vista d’occhio.
«Voglio una bodyguard che si spieghi anche per me», cantava Vinicio Capossela. Non serve più. L’AI può piazzarti davanti agli occhi la risposta più opportuna alla domanda di un amico, alla strana richiesta durante un colloquio di assunzione, all’interrogazione di filosofia, all’affermazione perentoria della persona che stai cercando di affascinare.
Uno spaventoso mondo in cui le intelligenze artificiali dialogano tra loro mentre noi simuliamo vita senziente in fase REM.

cinque. Continuiamo a dirci che il popolo è coglione perché non si mangia i ricchi. Potremmo però chiederci se è vero che l’antropofagia sia la soluzione più efficacia e giusta alle disparità sociali. La storia dell’umanità, sempre così prodiga di ottimi consigli, ci fornisce dei metodi diversi e degli esempi della loro applicazione.
Nel 1184 il Sacro Romano Impero era attraversato da pericolose onde di malumore. Una brutta storia di contese e faide tra feudatari, inasprita da espropri e redistribuzioni dei possedimenti di potenti (tutta roba che svantaggiava o avvantaggiava solo i nobili), mentre le tensioni e gli scontri erano così rischiosi per la tenuta del regno che Enrico VI, re dei romani, decise di organizzare una dieta a Erfurt, città tedesca nel Langraviato di Turingia.
Nobili da tutto il Sacro Romano Impero arrivarono nella città il 25 luglio e si infilarono nel locale scelto per la dieta. Erano troppi e troppo ben nutriti. Il pavimento di legno su cui tutta questa nobiltà si scaldava in attesa dello scontro e della riappacificazione cedette e la massa di ricchi precipitò nella sottostante latrina.
Fu così che morì una sessantina di nobili, affogati nei liquami o soffocati dai miasmi.
Benché questo metodo replichi mirabilmente alcune delle caratteristiche della legge del contrappasso, si rivelò poco efficace: i maggiori contendenti e il re si salvarono.

sei. Un mondo in cui gli umani che indossano occhiali e bracciali diventano l’interfaccia utente di intelligenze artificiali, di algoritmi che scandagliano dataset sempre più articolati e combinano risposte inattese ma molto regolate, è davvero così spaventoso? Forse no. Potrebbe migliorare gran parte dei discorsi che facciamo sul treno, al bar o anche in ufficio.

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