Fritto misto, birra e salsicce, ramen

Federico Beghin | Ricreazione |

Mi vengono in mente l’estate e qualche pranzo fuori casa con mia mamma, quando avevo tra i dodici e i sedici anni. A dire il vero, non ordinava mezzo litro ma solo un quartino di bianco, però il fritto misto sì, anche per me, e magari un piattino di patatine fritte a parte. Io bevevo dell’acqua naturale o forse del tè freddo alla pesca.

Non so perché, ma pensare a “1 fritto misto e 1/2 di bianco”, poi, mi porta verso il cinema italiano, a «birra e salsicce». Dici che non c’entra niente? E hai ragione! Ammetto che ad Altrimenti ci arrabbiamo! sono arrivato tardi, quindi le prime «birra e salsicce» che mi figuro in testa sono quelle di Totò Sceicco. Non ho mai taciuto sul fatto che Antonio De Curtis sia stato fondamentale per me e lo sia tuttora. Ancora oggi, quando sono giù di morale o particolarmente arrabbiato, metto su un film di Totò e, ridendo, passa quasi tutto. Totò Sceicco non è tra le pellicole che riguardo più spesso, però lo sketch con birra e salsicce è uno di quelli che mi hanno iniziato alla comicità del Principe. Nel film del 1950 Ludovico, l’autista della marchesa di San Frustone (Ada Dondini), spiega al capo maggiordomo Antonio (Totò) che cosa deve fare per arruolarsi nella legione straniera e salvare il suo padrone Gastone, un giovin signore svagato interpretato da Aroldo Tieri. Ughetto Bertucci (Ludovico) conosce perfettamente le parole d’ordine, dice letteralmente «bira e salcicce», ma non ricorda se debbano essere pronunciate al Caffè Verdi a via del porto o al Caffè Porto a via Verdi. Ovviamente Antonio si reca nel locale sbagliato e l’equivoco è servito… insieme a tonnellate di salsicce e a litri di birra. Dopo essersi messo comodo, il maggiordomo ordina al cameriere (un giovane Carlo Croccolo) «birra e salcicce» e muove le labbra su e giù, facendo quella che nell’era social è conosciuta come “duck face”. Il ragazzo non abbocca e serve al cliente quanto richiesto. Alla terza ordinazione Totò, spazientito, cambia: basta duck face, adesso porta l’indice destro sotto l’occhio destro e abbassa la palpebra. Che sia la volta buona? Ti lascio scoprire come va a finire la faccenda, puoi farlo anche senza guardare tutto il lungometraggio con una semplice e breve ricerca della gag su YouTube. Al di là del fatto che le smorfie di De Curtis mi divertono sempre, la gestualità connessa alla richiesta di birra e salsicce mi è rimasta così impressa che ormai fa parte di me: quando per scherzo dico qualcosa che ha a che fare con un magheggio, agito le labbra su e giù oppure abbasso la palpebra con il dito. È proprio automatico. Spesso il mio interlocutore non coglie il riferimento, anzi direi che lo colgono solo i miei genitori, ma non fa niente: dentro di me penso a Totò e me la rido in silenzio.

Infine, senza che ci sia un vero e proprio legame logico, associo 1 fritto misto e 1/2 di bianco alle abbuffate di Goku e di Naruto. Solitamente sono più legato ai manga che agli anime, però in questo caso le immagini che scorrono davanti ai miei occhi grazie alla memoria sono tratte dai cartoni animati. Prima c’è Goku bambino che consuma tutte le provviste del Maestro Muten, poi c’è Naruto che ingurgita ramen, una ciotola dietro l’altra, seduto sullo sgabello del chioschetto insieme al Maestro Iruka. Di momenti in cui il Saiyan mangia Dragon Ball è pieno, se vogliamo l’avventura alla ricerca delle Sfere del Drago ha inizio perché il ragazzino ha fame e, non avendo niente di pronto nella sua capanna, va a pescare. Lungo la via del ritorno, con un suo bel pesciolone (lo avrebbe fatto fritto?), incontra Bulma e sappiamo tutti com’è andata. Anche il ninja del Villaggio della Foglia è uno che non si tira indietro quando c’è da lucidare un piatto e la sua pietanza preferita non può non essere il ramen, dato che il naruto o narutomaki è un tipo di surimi di pesce tagliato a forma di nuvola con una spirale in mezzo, l’uzumaki che dà il cognome al personaggio, spesso servito nella zuppa giapponese. Nomen omen.

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