Tu pensa la sfiga

Boris Battaglia | Ce ne sarà per tutti |

Non sto scherzando. Non è un titolo a effetto. Davvero: tu pensa la sfiga!
La diffusione del vaccino antipolio di Pierre Lepice, che aveva cominciato a essere distribuito in alcune farmacie francesi alla fine del marzo 1956, diventa capillare nel dicembre 1957. Per quanto in Francia il tasso di morbilità della poliomielite fosse sempre stato tra i più bassi d’Europa, nel periodo tra il 1955 e il 1957 raggiunge uno dei suoi massimi storici (qualcosa tipo il 9,3% ogni 100.000 abitanti), per questo, dopo poco meno di un anno, nell’ottobre del 1958, verrà lanciata – dal Ministero della Sanità – la prima campagna vaccinale obbligatoria.
Vedi? Pensa davvero che sfiga! Essere nato il 3 agosto 1955 ed essersi beccato la poliomielite poco più di tre mesi prima della diffusione del vaccino.

Ho un debole per le persone che si votano all’autodistruzione. Al di là di ogni psicologismo (sto cominciando a pensare che il freudismo, in tutte le sue declinazioni: junghiane e reichiane, sia una delle più grandi iatture capitate al mondo occidentale dopo il cattolicesimo), non mi interessa il perché lo fanno ma il come. Come, nella consapevolezza che ne saranno condotti alla morte, che qualche ingenuo definirà sempre prematura, gestiscono le proprie dipendenze e qual è il momento esatto in cui ne perdono il controllo, cominciando a scivolare verso l’annientamento.
Però, non mi interessano le biografie di quelle persone che sono state belle, fortunate, amate, idolatrate, strapagate e la cui vita, una volta che se la sono distrutta, continua a essere considerata agiograficamente e la cui opera continua a essere riproposta senza il minimo tentativo di sistemazione critica, al punto di pubblicare come opere imprescindibili (in cui il genio non è che, semplicemente, trapelasse, no! era già evidente!) i disegnetti delle elementari, o addirittura della scuola materna o quelli fatti per accontentare qualche parente rompicoglioni. Mi interessano quelli nati brutti, sfortunati, storpi, indesiderati, rancorosi e rissosi, di cui i parenti non volevano i disegnetti per il presepe, perché se ne vergognavano del fatto che campassero facendo fumetti, che hanno sempre fatto fatica a farsi pagare e di cui, già da vivi, tutti i benpensanti facevano a gara a dimenticarsi, figurati da morti.

Stèphane Mazurier è un accademico francese, con quel vizio diffuso anche tra quelli italiani, di trasformare la propria noiosa tesi di dottorato in un saggio da rifilare come testo d’esame a dei poveri studenti. Devo ammetterlo: il suo Bêteméchant et hebdomadaire: Une histoire de Charlie Hebdo (1969-1982), pubblicato nel 2009 da Buchet Chastel, è stato ed è una fonte rilevante di dati per quanto riguarda gli anni Settanta. A un certo punto, tra pagina 73 e pagina 74, mentre racconta della decisione delle Éditions du Square di ampliare la propria attività editoriale oltre la stampa periodica e di raggiungere le librerie con una serie di volumi, si chiede chi mai, alla fine, esclusi Cabu, Reiser e Wolinski, si ricorda degli altri autori di quelle collane da libreria? Chi si ricorda, per dirne uno, di Charlie Schlingo?
Beh. Tocca far notare al benpensante Mazurier che, come capita spesso agli accademici che si occupano di fumetti (in realtà, disprezzano la materia della loro indagine, ma è un campo, il fumetto, dove nessun collega può far loro le pulci, per questo ci sguazzano) ha scritto una cazzata. In quello stesso 2009 in cui pubblicava il suo saggio, Florence Cestac usciva per Dargaud con una biografia di Schlingo che in italiano suona come: Vorrei suicidarmi ma non ne ho il tempo, che ogni volta che la rileggo, mi coinvolge e mi commuove e tu lo sai quanto dannatamente è duro il mio cuore! Poi sempre in quello strano 2009 J.C. Menu ci regala (ci regala un cazzo! Che per avere i due volumi Gaspation! e Josette de Rechange devi sganciare una mezza gamba), per i tipi de L’Association, la raccolta quasi completa dei suoi fumetti.

Se facciamo un saltino all’indietro, nel 1995 per esempio, scopriamo che Edmond Baudoin aveva ficcato nel suo Elogio della polvere (lo puoi leggere appena pubblicato dai ragazzi del Comicon nel volume Tre sentieri, tradotto da me) due tavole di Desiré Cogueneau, uno degli assurdi personaggi di Schlingo.
Insomma, un bel modo di dimenticarselo. Ma in realtà non è questo quello che mi interessava raccontarti. Mi serviva un escamotage retorico che, passando per la stolidità accademica, mi permettesse di arrivare a queste due tavole di Baudoin. Perché il nizzardo inserisce due tavole talmente assurde (in senso Jarryano) in un libro che, raccontando il declino cognitivo della madre, parla del tempo e della memoria?

Charlie Schlingo in realtà si chiamava Jean Charles Ninduab. Come ti ho già detto era nato il 3 agosto del 1955 a Parigi. Sua madre era italiana e suo padre nizzardo. In realtà il cognome Ninduab fu dovuto all’errore di un impiegato dell’anagrafe che leggendo a rovescio il foglio dove il nonno aveva scritto il nome del padre e il suo cognome (si usava ancora compilare i registri con stilo e calamaio all’epoca), lo trascrisse come lo aveva letto: Ninduab invece che Baudoin. Ovviamente aveva letto male anche la terzultima lettera, o forse il pennino aveva lasciato giù meno inchiostro, trasformando una o in una enne.

Comunque. Questo è il motivo per cui Edmond Baudoin infila quelle due pagine di Schlingo nella sua opera dedicata all’identità. Basta la stolidità di un impiegato dell’anagrafe per cambiare quello che sei? No, quello che sei lo decidi tu. Baudoin lo scopre, ed è un momento di assoluta potenza emotiva e narrativa, quando l’infermiera che la accudisce gli svela che, nonostante il decadimento cognitivo, sua madre forse non è più quella donna forte e incredibile che lo ha cresciuto, ma non è nemmeno l’ectoplasma dei ritratti che lui ne fa. La sua personalità è qualcosa che va oltre la semplice memoria e il ricordo di sé. Qualcosa di nuovo che lei, non ricordandosi quella che è stata, decide di essere ogni giorno.

J.C. Ninduab fa qualcosa di simile quando, prendendo per la collottola la sfiga che lo ha perseguitato da quando è nato, decide di prendere, andarsene a vivere con la nonna materna (no, non c’è un cazzo da ridere, aspetta di scoprire che tipo di donna era sua nonna e poi ne riparliamo) e di chiamarsi come vuole lui: Charlie Schlingo.

Vedi tu se l’inizio della sua vita non è stata una montagna di sfiga. Nasce pochi mesi prima della diffusione del vaccino antipolio e se la becca, guadagnandoci una gamba più corta dell’altra. I genitori che desideravano una bella bambina, si ritrovano con questo sgorbio mezzo storto e lo obbligano a nascondersi ogni volta che hanno degli ospiti. La madre è alcolizzata, il padre assente, e il ragazzino cresce deprivato d’affetto non fosse per il forte legame che stabilisce con Goro-Goro, la nonna materna, la sua spacciatrice di fumetti italiani e americani. Mentre li legge potrebbe succedere di tutto intorno a lui, persino una guerra mondiale, figurati che importanza può avere una gamba più corta dell’altra!
Quando lo operano per allungargli la gamba destra, è la nonna che lo accudisce, portandogli pacchi e pacchi di fumetti. Tra i quali c’è Popeye. Per lui una rivelazione. Da quel momento, ispirato da Segar, Charles comincia a disegnare e non smetterà più.
«Quando disegno mi sento dannatamente bene!»

Non posso dirti che sia vero, prendila con le pinze, ma sembra che disegnare avesse su di lui un effetto che non avevano nemmeno gli antidolorifici e i calmanti che gli somministravano per sopportare il dolore dell’arto allungato e a cui, probabilmente, si stava già assuefacendo.
L’operazione gli portò la gamba alla lunghezza giusta, ma gli lasciò la caviglia rivoltata, in modo da farlo camminare in modo strano. Sembrava fare passi di danza ogni volta che metteva avanti il piede destro, sembrava quasi sculettasse a ogni passo. Immaginati essere adolescente agli inizi degli anni Settanta e avere un’andatura di quel tipo. Sembrare un ballerino, essere preso in giro – oggi faccio fatica a scriverlo, ma allora gliene fregava niente a nessuno delle parole usate – come frocio. Sei condannato a essere una vittima di bullismo.

Ma Charles non ci sta. È solo, perché – lo abbiamo già visto – i genitori non riescono a stabilire alcun rapporto affettivo con questo ragazzino che, con i suoi dannati difetti, ha sconvolto la loro ordinata vita borghese. È solo e deve cavarsela da solo. La gamba destra, con quella maledetta caviglia storta, lo rende lo zimbello dei suoi coetanei? E allora lui comincia a camminare sulle mani. Alla fine, sarà in grado di attraversarsi mezza Parigi sulle braccia. Braccia diventate talmente muscolose che Wolinski le paragonerà a quelle di Popeye, e che gli permetteranno di menare, ma da mandarli all’ospedale, i bulli che lo prendevano per il culo e soprattutto di diventare un batterista di rara potenza.
Da questo momento metterà il suo fisico sempre a più dura prova.
I genitori sono imbarazzati da questo figlio che cammina sulle braccia e che tutti nel quartiere considerano o mezzo matto o una specie di fenomeno da circo. Aggiungici che ha deciso di vivere facendo fumetti e la misura è colma. Alla fine dell’ennesima discussione, se ne andrà di casa, a vivere – per il momento – dalla nonna Goro-Goro, che lo accoglie a braccia aperte.
«Ti proibisco di usare il mio nome per fare fumetti!», gli grida suo padre durante l’ultimo litigio.
«Il tuo nome?», risponde lui, «Quell’errore anagrafico, mica lo voglio! Mi chiamerò Charlie Schlingo!»
Se non conosci il francese, non sai cosa significa il verbo “Schlinguer”. Te lo racconto nel prossimo capitolo.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

2 risposte su “Tu pensa la sfiga

  • robert goodisle

    Quando riesci mi traduci la poesia del Puzza ?
    Non riesco a capirla compiutamente.
    Saluti e grazie

    P.S. quasi certamente il nome scelto deriva dalla scarsa igiene personale dovuta alla pigrizia.
    Ovvero ad una insindacabile definizione delle priorità.

    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)