Il trauma intergenerazionale

Emiliano Barletta | Affatto |

In questo momento storico vorrei parlarvi di un concetto che secondo me è fondamentale per capire le ripercussioni future su quanto sta accadendo oggi in Palestina: la postmemoria. Questo termine, poco noto al di fuori dei circoli accademici, affronta una dimensione fondamentale della nostra esperienza umana. Si tratta della trasmissione di memorie di eventi traumatici attraverso le generazioni, anche quando queste non li hanno vissuti direttamente. Parliamo dell’intersezione tra passato generazionale e trauma trasferito, tra memoria storica e ricordi famigliari.

In questa analisi, esamineremo la Nakba palestinese e la Shoah ebraica. Esploreremo due opere in particolare: Maus di Art Spiegelman e Baddawi di Leila Abdelrazaq. Sebbene Maus sia ampiamente conosciuto, Baddawi è rimasto poco noto in Italia fino alla sua pubblicazione parziale su “Internazionale” nel numero 1237 del dicembre 2017.

Entrambi i volumi rappresentano un esempio di postmemoria. Sia Spiegelman che Abdelrazaq sono american* di prima generazione, ed entrambi centrano i loro racconti sulle vite dei loro padri: Vladek Spiegelman, sopravvissuto all’orrore della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, e Ahmad Abdelrazaq, nato in un campo profughi in Libano, dopo che nel 1948 l’organizzazione paramilitare sionista Irgun, giudicata terrorista dal Regno Unito, ha attaccato il villaggio della sua famiglia.

Spiegelman si concentra sulla storia di Vladek, incorporando anche le sue esperienze personali e la complessa relazione padre-figlio. D’altra parte, Abdelrazaq narra la vita di suo padre dall’infanzia all’adolescenza, fino alla sua partenza da Beirut per studiare negli Stati Uniti.

Abdelrazaq adotta uno stile semplice con sfondi minimi e figure piatte, consentendo al lettore di immedesimarsi emotivamente con il protagonista. La violenza è suggerita in modo non esplicito. Così, sia le vittime che i carnefici sono rappresentati come sagome anonime.

In Maus, invece, viene mostrato l’orrore, ma i personaggi sono animali antropomorfi, rendendo difficile l’empatia con i protagonisti. Questa scelta stilistica di Spiegelman mira a creare un distacco emotivo.

Entrambi i lavori affrontano la questione della rappresentazione dell’atrocità, con Baddawi che richiede una partecipazione più diretta del lettore, incoraggiandolo a interpretare le parti non esplicitamente mostrate. Maus, invece, adotta una narrazione più distaccata e semplificata, allontanando il lettore dagli eventi.

Maus è respingente, mentre Baddawi è coinvolgente.

Entrambi i fumetti affrontano la sfida di proteggere un passato traumatico, personale e generazionale, che ha un legame vitale con gli autori.

In Baddawi, la memoria individuale e collettiva è strettamente legata alla violenza e all’esilio, simboleggiate anche dal titolo stesso, che richiama il concetto di nomadismo (Baddawi deriva dalla parola ‘beduino’: nomade). Questo concetto risuona profondamente anche nella cultura ebraica, segnata dall’esilio e dalla dispersione attraverso la storia. La copertina del fumetto enfatizza ulteriormente questo legame con la presenza di Ahmad, con le spalle rivolte al lettore e le mani giunte dietro, che richiama il personaggio di Handala, creato dal fumettista palestinese Naji al-Ali, una figura iconica nel mondo arabo.

In Maus, al contrario, sembra esserci una sorta di rifiuto nel prendere in carico il passaggio generazionale del trauma. La lotta di Artie nel raccontare la storia di Vladek riflette i suoi sensi di fallimento e colpa. Si interroga sulla sua capacità di comprendere appieno l’Olocausto e se il medium dei fumetti possa mai trasmettere adeguatamente la complessità della storia. Il suo tormentato processo artistico rivela come il trauma dell’Olocausto continui a influenzare il presente.

Anche in questo caso, mentre Abdelrazaq accetta il ruolo di testimone di una tragedia, Spiegelman sembra respingere questa responsabilità.

Questa divergenza può essere spiegata dal fatto che per i palestinesi la Nakba è una realtà ancora viva oggi. La Nakba, che ha portato all’esilio di circa il 90% della popolazione palestinese e alla creazione di uno stato coloniale, ha causato una perdita radicale e irreparabile per coloro che sono stati costretti a lasciare le proprie terre e case. Questo esilio ha trasformato la Palestina in un luogo “essenzialmente perduto” per molti, con i discendenti che non hanno mai potuto fare ritorno o che non hanno più legami con la terra. Questo contesto spiega perché autori come Leila Abdelrazaq si identifichino come palestinesi e si impegnino attivamente per i diritti del loro popolo.

In Maus, invece, il libro esplora i molteplici modi in cui la sopravvivenza non equivale necessariamente a una vita appagante. Vladek, nonostante sia “sopravvissuto” a una delle più grandi tragedie umane, che ha portato al genocidio di sei milioni di ebrei, è infelice e insoddisfatto della sua vita. Anja, sua moglie, è anche lei una sopravvissuta dell’Olocausto, ma il trauma ha avuto un prezzo così alto da spingerla al suicidio. La rappresentazione del processo artistico di Artie suggerisce anche che la sopravvivenza di Artie stesso è stata influenzata dal passato familiare di trauma e dalla lotta con la depressione. In Maus il presente è inevitabilmente plasmato dal passato, specialmente quando quel passato è intriso di traumi così profondi come l’Olocausto, rendendo la ricerca di una connessione e comprensione ancora più difficile.

La divergenza tra Maus di Art Spiegelman e Baddawi di Leila Abdelrazaq riflette le complesse dinamiche della memoria e del trauma nelle narrazioni storiche personali e collettive. Entrambi i fumetti affrontano i ricordi dolorosi e le conseguenze dei traumi storici, ma le prospettive degli autori riflettono le loro esperienze e il contesto delle loro comunità.

Per i palestinesi, la Nakba rimane una ferita aperta che permea la vita quotidiana e alimenta la lotta per i diritti e la giustizia. Dall’altra parte, l’Olocausto continua a gettare ombre profonde sulle vite degli ebrei sopravvissuti e delle generazioni successive, evidenziando la complessità e la durata degli impatti del trauma storico.

In termini politici e attuali, entrambe le narrazioni storiche sono spesso negate o ignorate dall’altro lato. Molti israeliani negano l’esistenza della Nakba, mentre molti palestinesi ignorano o negano l’Olocausto.

Questa negazione reciproca illustra la sfida continua nel costruire una comprensione condivisa del passato e nel lavorare verso l’accettazione della sofferenza altrui.

Il terrificante e sanguinoso attacco terroristico del 7 ottobre 2023 e il tentativo – in corso – del genocidio degli abitanti della striscia di Gaza avranno ripercussioni inimmaginabili sulle generazioni future, con conseguenze durature sul futuro delle comunità coinvolte. Il passato e la sofferenza non insegnano niente.

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