La guerra di Raymond

Paolo Interdonato | post-it |

Quando nel 1998 esce Ethel & Ernest di Raymond Briggs, ho trent’anni e sono già un utente compulsivo dei siti di eCommerce. Mi procuro quel libro in qualche modo. Probabilmente me lo faccio spedire in ufficio, ché sono anni in cui ho delle difficoltà a trovare un punto di distinzione netto tra la mia vita e il mio lavoro. Raymond Briggs, in quel momento, è per me una figura mitica. Nel 1984, L’Isola Trovata di Luigi Bernardi ha pubblicato il suo Quando soffia il vento e da quel momento, nonostante i risultati veramente scarsi, non ho più smesso di cercare quel nome in giro.


Ethel & Ernest è la storia della vita dei genitori di Raymond. È il modo – dolorosissimo – che l’autore ha trovato per fare i conti con ciò che sono stati e sono diventati tanto lui e la sua vita quanto il suo paese e il mondo intero.
Quel fumetto è un’ossessione mia e di (Quasi). Se fai un giro su queste pagine, trovi un bel po’ di articoli che ne parlano, se compri l’edizione cartacea di (Quasi) trovi altri articoli ancora, se – addirittura – decidi di acquistare l’edizione italiana di Ethel e Ernest: Una storia vera, ci trovi la mia postfazione. Senza pudore, confesso che ho parlato di quel fumetto con tutti gli editori italiani che mi sono arrivati a portata, fin dalla prima lettura, e ho smesso di richiederne a gran voce l’inserimento nel programma editoriale solo quando Simone Romani, direttore editoriale di Rizzoli Lizard, non ha deciso di ascoltarmi. Fin dalla prima lettura. Già. Me la ricordo ancora.
Ricordo la paura che mi ha colto, quando alla fine del capitolo dedicato agli anni Trenta, la coppia, dopo aver mandato il figlio Raymond, cinquenne, in campagna per salvarsi dai bombardamenti, costruisce un bunker di lamiera ondulata per proteggersi dalla morte che piove dal cielo. E poi, nei due capitoli dedicati ai decenni successivi, la paura di quella guerra che era detta fredda più per scaramanzia che per altro. Come ci ricorda Wu Ming, in apertura di 54, «Non c’è nessun “dopoguerra”. Gli stolti chiamavano “pace” il semplice allontanarsi del fronte. Gli stolti difendevano la pace sostenendo il braccio armato del denaro. Oltre la prima duna gli scontri proseguivano.»


Quella paura e quella accozzaglia di lamiere ondulate le conoscevo bene. E me le aveva insegnate proprio Raymond Briggs una quindicina d’anni prima.

L’edizione italiana di Quando soffia il vento è andata in stampa in ottobre 1984.  Mi illudo di averla vista nell’edicola della stazione di Saronno all’uscita da scuola e di averla comprata immediatamente. Non è proprio un’illusione; è un momento di ottimismo: se lo avessi comprato nei primi giorni del mese, sarebbe stato tra le mie mani il 4 ottobre, qualificandosi come uno tra i regali di compleanno più preziosi che la vita mi abbia mai fatto. Sicuramente il più prezioso per i miei sedici anni.
Quando soffia il vento è un fumetto indispensabile. Ed è un oggetto alieno. Briggs era un autore di libri illustrati per bambini, cui il formato canonizzato per il picture book (32 pagine con grandi illustrazioni e poco testo) stava realmente stretto. Nel 1973, con Father Christmas, realizza il suo primo fumetto,inventandosi una struttura ritmica e narrativa. Da quel momento, usa quel modello del racconto, in molti dei suoi libri successivi, quasi tutti rivolti ai bambini. Dopo due libri dedicati a Babbo Natale (che trovi anche in italiano per Rizzoli), realizza il bellissimo Fungus the bogeyman (inedito in Italia) e lo straordinario The Snowman (in italiano, per Rizzoli, con il titolo Il pupazzo di neve). Quest’ultimo gli regala grandissima popolarità.

A quel punto decide di dedicarsi a un fumetto che non sia specificamente rivolto ai bambini. Tutti i fumetti realizzati fino a quel momento sono dedicati al padre e alla madre in forme più o meno esplicite. Gentelman Jim li rende addirittura protagonisti.  Un libro bello, affettuoso, che racconta le vicende ordinarie di Jim e Hilda Bloggs. Probabilmente, mentre lo realizza, Raymond Briggs mette a fuoco il suo fumetto successivo: Quando soffia il vento.
Un fumetto di Briggs si sviluppa sempre attorno a un formato e a una struttura. Per questo libro, sceglie l’album cartonato, alla francese, ma costruisce pagine con una gabbia fittissima di vignette. Sette strisce per tavola e quattro vignette per striscia: fino a ventotto disegni per pagina.
Seguiamo Jim e Hilda nel loro peregrinare ingenuo. Li spiamo mentre ascoltano le notizie della guerra imminente alla radio, ridiamo di loro mentre appoggiano quella lamiera ondulata sulle mura di casa per proteggersi dalla bomba atomica.

E mentre guardiamo l’evoluzione delle loro paure così normali, disegni giganteschi che riempiono una doppia pagina, interrompendo così il racconto, ci dicono che quella paura è ben riposta.
I disegni enormi sono tre: la bomba, verticale e imponente («Intanto, in un paese lontano»); i bombardieri in volo («Intanto, in un cielo lontano»); un sommergibile («Intanto, in un oceano lontano»). Quella distanza, rimarcata tanto dalla differenza della struttura delle pagine quanto dalle didascalie, erompe in un’esplosione fragorosa: una doppia pagina bianca, delimitata da tracce rosa ai bordi.

E a quel punto la distanza della guerra piomba nella normalità delle vite di Jim e Hilda. Le vignette devono recuperare il loro spazio nel bianco abbacinante. Quando al termine di una doppia pagina tornano visibili, non sai più se l’immagine è offuscata dall’esplosione, dal fallout radioattivo, dalla paura, o dalle lacrime che non riesci proprio a toglierti dagli occhi. Da lì alla fine, continueremo a seguire la vita di Jim e Hilda che tentano di sopravvivere sotto la ridicola protezione della loro lamiera ondulata.

Scegliere i propri genitori, o una loro proiezione, come vittime di una guerra lontana e visibile solo per i suoi effetti, è un atto di critica radicale. Significa strappare i morti all’oblio indotto dall’astrazione di numeri abnormi. Jim e Hilda muoiono e ci producono un dolore fortissimo. Un dolore così forte che ci si potrebbe illudere che Briggs abbia deciso di non dire quale siano i suoi sentimenti nei confronti degli stati in guerra e dei militari.

Ma questo solo perché il suo libro più evidentemente antimilitarista è praticamente introvabile in qualsiasi lingua: The Tin-Pot Foreign General and the Old Iron Woman, realizzato subito dopo Quando soffia il vento. Non è uno dei libri più importanti di Briggs, non è neanche a fumetti. È una satira sulla guerra delle Falkland / Malvinas. Si vedono solo le armi e due dittatori in forma di mostri metallici: il primo ministro Margaret Thatcher e il generale Leopoldo Galtieri. La rappresentazione di tutto quel fascistume militare non lascia spazio ad alcun dubbio rispetto a quale sia la posizione di Raymond Briggs. Non nasconde in alcun modo il suo odio per qualsiasi guerra. Chiunque la combatta.

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