Garth, vogliamo giocare con i soldatini?

Omar Martini | post-it |

Il mio primo incontro con Garth Ennis è stato, come per molti lettori italiani, con “Preacher”: DC Comics l’ha appena pubblicato e mi leggo il primo comic book tutto d’un fiato (assieme al primo numero di “Black Hole” di Charles Burns) mentre vado in autobus a casa di un amico, che condivide le mie stesse passioni. Rimango folgorato da quella lettura per la sua energia, per quello che percepisco come originalità e per la sua iconoclastia (perdonatemi: nonostante fossi stato svezzato con le bestemmie di Ranxerox e Andrea Pazienza, ero ancora un po’ ingenuo e non ero abituato a un uso disinvolto del turpiloquio nei fumetti). Come mi succede sempre con le passioni improvvise, vado alla ricerca di tutto quello che ha già scritto e inizio a comprare a scatola chiusa ogni cosa che porta il suo nome. Questo innamoramento folle però non dura molto: non sono certissimo dei dettagli, ma direi che, a memoria, dopo circa un anno e mezzo, cioè dopo l’arco narrativo ambientato in Francia, la mia infatuazione diminuisce gradualmente. Dall’episodio successivo, infatti, percepisco un immediato calo che tocca sia la qualità del disegno (mi sembra eccessivamente stilizzato) sia le storie (non sembrano possedere più quella verve e quel guizzo di imprevedibilità che avevano mostrato fino a quel momento). È come se, dato il presupposto iniziale della serie, le idee si siano esaurite quasi subito, senza essere sostituite da altre, per cui l’impressione generale è di una serie che continua stancamente e in maniera ripetitiva, fino a raggiungere l’inevitabile e ovvia conclusione.

Questa testata ha una caratteristica, che oramai non è quasi più presente negli albi americani, a parte qualche caso più unico che raro che in quel periodo la distingue dalle altre: ha una pagina della posta gestita dall’autore stesso, e non dall’editor di turno. Si instaura un dialogo tra Ennis e i lettori che diventa sempre più stretto finché, a un certo punto, si inserisce un elemento nuovo: lo sceneggiatore rivela la sua passione per le vecchie serie di guerra pubblicate in Gran Bretagna e mi sembra che (forse la memoria mi tradisce ma è così che me lo ricordo) la reazione dei lettori sia quella di offrirgli gli albi che gli mancano. Non è dato sapere se questi recuperi siano a pagamento o a titolo gratuito, rimane però il fatto che, pubblicamente, viene espressa una passione che, considerato il genere di storie che ha realizzato fino a quel momento, mi sembra sia incongruente (è solo di recente che ho letto che da bambino aveva mandato una lettera a un giornale a fumetti, segnalando un errore relativo a come era stato rappresentato un carro armato).

Qualche anno dopo il frutto di quegli scambi epistolari diventa evidente: in mezzo a storie e serie dove violenza, ironia e diffidenza nei confronti della religione sono piuttosto presenti, iniziano a insinuarsi alcune storie di guerra. Questa presenza diventa sempre più ampia, fino a diventare, nel corso degli anni successivi, una cospicua fetta della sua produzione, tra creazioni originali, aggiornamenti e/o riscritture di vecchie serie create da altri autori e versioni a fumetti di videogiochi: possiamo infatti elencare “Enemy Ace”, “The Unknown Soldier”, “Adventures in the Rifle Brigade”, “War Stories”, “Battler Britton”, i racconti del passato militare del Punitore e di Nick Fury, “Phantom Eagle”, “Battlefields”, “World of Tanks”, “Johnny Red”, “Dreaming Eagles”, “The Lion and the Eagle”, “Sara”… una lunga serie di progetti pubblicati da quasi tutti gli editori con cui lo scrittore ha lavorato in questi ultimi trent’anni (DC Comics, Marvel, Avatar, Dynamite, Dark Horse, Titan Comics, Aftershock, TKO Studios). Senza sottolineare che l’elemento militare è presente anche in altre serie, a volte non propriamente realistiche, come “Stitched”, un horror ambientato in Afghanistan, oppure il recente arco narrativo di “Rogue Trooper”, un soldato geneticamente modificato che combatte una guerra senza fine sul pianeta NU-Earth e che è tra i personaggi più famosi del settimanale “2000AD”.

A tutto questo si aggiunge il fatto che, dopo essere stato per un lungo periodo uno degli sceneggiatori di punta per Rebellion, la casa di produzione di videogiochi che ha acquistato anni fa la testata “2000AD” e tutto il catalogo a essa collegato, collabora proprio con questo editore alle ristampe delle serie belliche del passato realizzate per due testate che hanno lasciato un forte segno nel fumetto britannico (“Battle” e “Action”), selezionando il materiale da raccogliere in volume oppure scrivendo le introduzioni.

“Battle” è una rivista nata nel 1975 e ideata da Pat Mills per IPC Magazines, in risposta alla rivale DC Thompson, che aveva appena lanciato il settimanale di fumetti di guerra “Warlord”. Il mix di violenza e anti-militarismo, tipico di Mills, oltre alla presenza di “eroi” più proletari, fa decollare la rivista che, con varie incarnazioni, continua la sua avventura editoriale fino al 1988.

“Action” invece viene lanciata nel 1976 per capitalizzare il successo della precedente rivista di guerra. In questo caso, il genere di storie è più vario e il comune denominatore, come indicato dal titolo, è la forte presenza di azione e violenza. Ed è proprio la violenza a mettere “Action” sotto i riflettori dei media, scatenando una caccia alle streghe, che ricorda sia quella avvenuto in Italia con Primi delitti di Paolo di Orazio, sia la campagna contro i fumetti di EC Comics negli anni Cinquanta, scaturita del libro di Fredric Wertham The Seduction of the Innocent (sembra che un numero di “Action” sia stato fatto a pezzi in diretta da un giornalista… finito anni dopo in uno scandalo a base di droghe e prostitute). La testata viene sospesa per sei settimane, per poi ritornare in una forma piuttosto edulcorata. Questo cambiamento porta a un grosso calo delle vendite, per cui nel 1977 i due settimanali si fondono: alcuni personaggi vengono traghettati nella più fortunata testata di guerra e il nuovo titolo della pubblicazione diventa “Battle Action”. Anche questa incarnazione non dura a llungo e nel 1980 la rivista torna a intitolarsi semplicemente “Battle”.

Ci dev’essere una fascinazione piuttosto profonda, nel popolo britannico, nei confronti della guerra, a fumetti e non. Non so se sia dovuto al passato coloniale o all’idea di Impero che, nonostante il disfacimento del Commonwealth, continua a (r)esistere, ma il fumetto di guerra è un genere che ha sempre un qualche seguito: dalle pubblicazioni del passato della Fleetway, a cui hanno collaborato molti autori italiani, e che sono state riproposte per circa vent’anni dalla casa editrice Dardo, prima con la “Collana Eroica” e successivamente con “Super Eroica”, a diversi settimanali che, almeno nominalmente, sono rivolti a un pubblico di bambini, fino ad arrivare a “Commando Comics”, l’unica pubblicazione di fumetti di guerra che continua a resistere, tra l’edicola e la vendita digitale, fin dal 1961. Con gli approcci più vari, da quello più critico a quello in cui la guerra è il mezzo per raccontare delle storie di avventure, questi racconti hanno l’obiettivo principale di intrattenere il (giovane) pubblico che le legge. È un genere come un altro, come la fantascienza, il giallo, le storie d’amore, che utilizza gli stessi meccanismi di ripetizione del fumetto commerciale e in cui armate di vario tipo, suddivise tra i “buoni” e i “cattivi”, continuano eternamente a scontrarsi e a cercare di eliminarsi a vicenda, come gli eroi caduti trasportati nel Valhalla che combattono, muoiono e alla sera risorgono per riprendere a uccidersi il giorno dopo. Alla fine, questa continua ripetizione, dovuta all’esigenza di proporre invariabilmente lo stesso tipo di prodotto, svuota di significato e importanza ciò che viene raccontato, anestetizzato dai meccanismi dell’intrattenimento.

Rebellion, sempre nell’ottica di sfruttare le serie storiche di “Battle” e “Action” e per continuare la collaborazione con Garth Ennis, fa un passo ulteriore: coinvolge lo scrittore nella modernizzazione di alcune delle serie più celebri, utilizza il titolo della seconda incarnazione della serie di fumetti di guerra e opera tale riproposta per gradi. Nel 2022 esce un volume cartonato, simile nel formato a come venivano pubblicati in passato gli “albi speciali annuali” delle riviste per bambini britanniche, che contiene sette storie a fumetti, tutte realizzate dallo sceneggiatore e disegnate da alcuni dei migliori disegnatori britannici, come Kevin O’Neill, Chris Burnham, John Higgins e Patrick Goddard. Come racconta lo stesso Garth Ennis in un’intervista effettuata per il canale di Forbidden Planet, ogni racconto riprende lo spunto originale della serie a cui appartiene e lo attualizza, rendendolo più aderente al gusto moderno e a quella che poteva essere la realtà del periodo, ed eliminando gli eventuali elementi anacronistici. Le uniche eccezioni al fumetto di guerra, presi da “Action”, sono Dredger, una specie di agente segreto che sembra uscire da un action movie di Sylvester Stallone e Arnold Schwarzenegger, e Kids rule o.k., una serie vagamente ispirata al Signore delle mosche di William Golding e che si ritiene essere stata la causa principale della chiusura della testata. Infine, a corredo del tutto, ci sono delle brevi presentazioni sulle serie e i loro autori originali che inquadrano i fumetti proposti.

L’anno successivo la formula cambia leggermente: viene mantenuta l’idea della riproposta delle serie del passato (in alcuni casi, ci sono dei ritorni dal volume dell’anno prima), accompagnate da testi che le inquadrano e contestualizzano, ma si utilizza il formato della miniserie di 5 numeri. Ulteriore cambiamento è che ogni albo è composto da due storie, sempre autoconclusive: la prima scritta da Ennis, mentre la seconda è a opera di uno sceneggiatore ospite.

Quest’anno non hanno ancora pubblicato nulla, ma è già stato annunciato che si manterrà la formula della miniserie, questa volta composta da dieci numeri.

È innegabile che le storie uscite finora siano realizzate in maniera professionale da autori di alto livello, ma quello che mi domando è se questo tipo di proposta abbia ancora senso. Affidare la logica della serialità del fumetto d’avventura, più che l’idea di un’unica storia suddivisa a puntate che possa sviluppare un’idea più compiuta e adulta, utilizzare personaggi che, nel migliore dei casi, sono delle simpatiche canaglie, come Krazy Keller (che ricorda il Tony Curtis di Operazione Sottoveste e il Donald Sutherland de I Guerrieri) e nel peggiore dei casi sono macchine di morte (come Skreamer o Hellman), sembra limitare la possibilità di dare un certo spessore alle proposte e rendere poco chiaro a quale tipo di lettore si vogliano rivolgere (l’uomo di mezz’età che vuole fare un tuffo nel passato, oppure qualche ipotetico ragazzino che, non si capisce perché, dovrebbe interessarsi a queste storie). C’è una certa retorica (forse involontaria) in tutta l’operazione e in molte di queste storie: il più delle volte abbiamo il cinico soldato stanco della guerra che continua ad andare avanti perché, nonostante la scorza ruvida e a volte un po’ ribelle, deve fare il proprio dovere.

Se si lavora sulla serialità di stampo classico all’interno di una rivista, come in questo caso, temo che sia difficile rendere tutti i personaggi delle metafore di un sistema che non funziona, o gli strumenti di uno sguardo realistico e spietato su che cosa sia realmente un conflitto e a quali conseguenze possa portare, come per esempio è stato il caso di “Charley’s War” di Pat Mills e Joe Colquhoun, pubblicato nell’originale “Battle”. In quel caso, però, la storia è ambientata durante la Prima Guerra Mondiale, ed è pubblicata in un momento in cui in Gran Bretagna quel sanguinoso evento storico viene ancora visto in maniera critica, come un’inutile carneficina. Con il passare dei decenni (e probabilmente con la morte di tutti i reduci), il ricordo si è attenuato e la coscienza degli aspetti negativi è lentamente scomparsa, per lasciare il posto solo alla retorica del reduce che si sacrifica per il bene comune e per la Patria.

Nelle storie di questo progetto gestito da Garth Ennis si parla solo della Seconda Guerra Mondiale che, per come ci viene sempre raccontata, è la concretizzazione dell’eterna lotta del Bene contro il Male Assoluto (quindi “perfetta” per delle storie di intrattenimento). Per quanto i protagonisti possano essere cinici, brutti sporchi e cattivi, con un passato magari da dimenticare, non si ribellano mai realmente né si tirano indietro, magari disertando. Invece, portano sempre a termine la loro missione e fermano (momentaneamente) il nemico che vuole portare morte e distruzione nel nostro mondo, che vuole sovvertire il nostro stile di vita e la nostra libertà. È come quando da bambini si gioca con i soldatini, magari di periodi e di grandezze diverse. Prepariamo i due eserciti, li schieriamo e poi li facciamo combattere, facendo tutte le voci dei personaggi e i rumori delle esplosioni e delle sparatorie. I soldatini cadono e alla fine sono in pochi a sopravvivere… ma il giorno dopo quei pezzi di plastica sono di nuovo lì, schierati e pronti a fare il loro dovere di combattenti. Anche questi fumetti, nonostante le buone intenzioni di voler utilizzare uno sguardo realistico, sono come quei soldatini che muoiono per risorgere il giorno dopo.

Da piccolo mi sono appassionato al “Soldato fantasma”pubblicato da Editoriale Corno, con il suo personaggio omonimo e le due serie comprimarie I perdenti e Lo spirito del carro, mentre non mi hanno mai realmente interessato le più realistiche ma convenzionali storie della “Collana Eroica” e “Super-eroica”. Quello che mi colpiva era l’aspetto avventuroso e sicuramente eroico di quei racconti edulcorati, ma ero un ragazzino affamato di storie, che cercava di conoscere il mondo anche in quel modo. Adesso però, nel 2024, in un’epoca percorsa da conflitti di ogni genere, i cui contorni e motivazioni sono vaghi e, spesso, discutibili, può un pubblico adulto interessarsi a un prodotto che risulta essere un po’ studiato a tavolino, un po’ figlio di una passione adolescenziale, per non dire infantile, di quello che si leggeva da bambini? Garth Ennis probabilmente è sincero nel portare avanti quest’operazione, però un lettore un po’ smaliziato nota che questi prodotti, per quanto realizzati con cura, sono mero intrattenimento… un intrattenimento che ha lo stesso spessore degli scontri che fanno i bambini con i soldatini Atlantic e i modellini Airfix, solo che in questo caso a giocare non sono dei ragazzini, ma dei cinquantenni-sessantenni che pensano di ritrovare le stesse emozioni del passato. Forse, a un certo punto, sarebbe naturale abbandonare quei giochi che non risultano più divertenti, per dedicarsi a qualcosa che possa portare maggior piacere e soddisfazioni.

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