Ridere, trasformarsi e arrabbiarsi, gli insegnamenti di Akira Toriyama

Federico Beghin | Ricreazione |

Se fossi tipo da idolatria, avrei già costruito in casa mia tre altarini: il primo per Ronaldinho, il secondo per Totò e il terzo per Akira Toriyama. Io non credo al concetto di opera che ti cambia la vita, a meno che tu non ne sia l’autore, ma credo che ci siano varie opere, nelle quali ti imbatti nel corso degli anni, che incidono sulla tua vita. L’epopea di Goku e dei suoi amici, il fumetto del mangaka a cui sono più affezionato, ha inciso sulla mia vita, sulla parte buona e bella di essa. Pertanto sono molto grato ad Akira Toriyama, un creatore e un disegnatore straordinario.

Con Dragon Ball e in parte con Dr. Slump mi ha trasmesso vari insegnamenti. I più importanti sono tre. Anzitutto mi ha aiutato a capire che si può sorridere di tutto, se lo si fa nel modo giusto. L’umorismo e l’ironia di Toriyama, un po’ naïf e un po’ sboccati, sono semplici ma non banali, oggi forse meno universali rispetto agli anni Ottanta, Novanta e ai primi anni Duemila, ma ancora molto efficaci. Aiutano a sdrammatizzare, a non prendersi troppo sul serio e a gustare piccole gag, battute estemporanee, giochi di parole, smorfie e gesti teatrali, buffi o goffi. A me certe scenette con Arale e Sembee e alcuni siparietti tra Bulma e il Maestro Muten fanno ancora ridere di gusto, nonostante li abbia letti e visti cento volte.

Il fumettista, poi, mi ha insegnato a credere nelle seconde possibilità. In Dragon Ball presenta parecchi personaggi che si evolvono nel corso del tempo, che migliorano, che rinsaviscono, che ripagano la fiducia accordata loro. Yamcha, alla sua prima apparizione, è un predone del deserto, Piccolo è il figlio vendicativo del conquistatore Piccolo Daimao, primo vero cattivo con la C maiuscola della saga, Vegeta è un principe sterminatore di popoli e Majin Bu uno strumento del Male per antonomasia. Incontrando Goku e la sua numerosissima famiglia, tutti questi antagonisti intraprendono un cammino fatto di sconfitte, umiliazioni e pentimenti fino a diventare “buoni”. Parallelamente Toriyama insegna a non fermarsi alle prime impressioni: Bulma non è semplicemente una frivola arrivista, Muten non è solo un vecchio pervertito, Crilin può essere molto di più di un sapientone leccaculo, Satan è vanaglorioso e arrogante ma anche un padre e un nonno protettivo e amorevole…

Terzo, ma non per importanza: il Maestro Akira, per primo, mi ha fatto capire che la rabbia non è sempre negativa, che non merita di essere nascosta né ignorata. La rabbia può essere un motore, una forza propulsiva, non va repressa ma gestita, non dev’essere stigmatizzata ma trasformata. La rabbia di Gohan salva il mondo, quella di Vegeta e di Goku consente di andare oltre il limite per il bene comune. L’ira di Bu davanti all’uccisione del suo cagnolino è più che giustificata, le sfuriate di Chichi invitano a riflettere. È un messaggio forte, soprattutto se a riceverlo sono bambine e bambini costretti nei confini di una quotidianità pesante, opprimente, piena di pretese del tutto immotivate e di false speranze.

All’inizio ho scritto che mi sarei soffermato su tre insegnamenti. Ma per concludere devo aggiungerne altri, i più belli. Sono tutti racchiusi in una citazione del Maestro Muten, che ai suoi allievi Goku e Crilin dice: «Allena bene il corpo, allena bene la mente, gioca bene, mangia bene e riposa bene». Ce n’è anche una seconda versione che suona così: «Imparate a muovervi, imparate nuove tecniche, divertitevi, abbuffatevi, dormite quanto volete. Godetevi le vostre vite senza farvi mancare niente».

Continuerò a provarci.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)