‘Sta storia della quarta parete è incomprensibile. Viene dal teatro del Diciannovesimo secolo e, lì, aveva anche senso. La gente stava seduta in platea, gli attori erano sul palco: nel cubo della rappresentazione, pavimento e soffitto potevano essere ignorati. Un’immaginaria parete invisibile separava chi recitava da chi sedeva.
Ogni volta che i personaggi della storia mostravano consapevolezza della presenza del pubblico, ecco che la dannata quarta parete veniva violata.
Nel corso del Ventesimo secolo si è un po’ esagerato. Nel cinema, nel fumetto, nel romanzo, nel videogioco e in tutte le narrazioni, i personaggi hanno chiacchierato sempre più spesso con i fruitori delle storie.
Le prime volte ci si stupiva anche. Poi, un po’ alla volta, è diventata una strategia ludica che gli sceneggiatori, in affanno di idee, usavano per limonare a secco (e per il tramite di intermediari non sempre ben disposti) con il pubblico.
Come fanno osservare per contrappasso Woody Allen ne La rosa purpurea del Cairo e John McTiernan in Last Action Hero, è quasi sempre stato un trucco di scrittura. Battutine sceme convinte di far sobbalzare chi guarda.
Dopo il 18 gennaio 1947, sfondare la quarta parete in maniera divertente e consapevole è diventato difficilissimo. Sul numero del “New Yorker” con quella data, Chas Addams pubblicava un’opera di genio distillata in un unico disegno. Questo cartoon.
Ero pieno di preconcetti quando sono entrato in una sala di un multiplex per vedere Deadpool & Wolverine. Avevo visto i due film precedenti del franchise e mio figlio Davide mi aveva detto che era tutto costruito sulla violazione della quarta parete. Il biglietto con tariffa infrasettimanale pomeridiana e l’uso sconsiderato dell’aria condizionata, mentre fuori c’era l’agosto milanese, hanno abbattuto le mie resistenze.
Il film segna l’ingresso dei personaggi Marvel amministrati da Fox nell’ultimo ventennio nel Marvel Cinematic Universe Disney. Dal McWorld al McuDisneyworld. Wow! Properties e franchise che si integrano, usando gli universi paralleli e le linee temporali, per minimizzare le incoerenze e massimizzare gli utili. Sembra promettente. Entri in una sala cinematografica, ti siedi con una vasca di popcorn e una tanica di cola, in mezzo a una distesa di giovani nerd che berciano e commentano.
Il film inizia con Deadpool che ti chiama subito in causa. Ti dice che, siccome hai letto il titolo e non sei scemo, non serve girarci troppo attorno, Logan non è morto, basta disseppellirlo. In fondo è un personaggio Marvel: quanti ne hai visti morire e rinascere nel tempo?
Bando alle ciance. Il film è un divertentissimo baraccone scorreggione in cui succede tutto, ma proprio tutto, quello che ti aspetti. Una narrazione così lineare che si rischia di non essere mai sorpresi.
Ma non è così.
Il casino da sanare è enorme: film brutti, personaggi morti, inconsistenze narrative, attori usati per interpretare personaggi diversi in film diversi.
Potrebbe diventare un esercizio di retrocontinuity di proporzioni gigantesche. Quando hai una distesa di personaggi, pubblicazioni, film, giochi, prodotti, eccetera, può succedere di far casino. Prima o poi qualcuno se ne accorge e allora ti tocca inventarti un meccanismo per rimuovere l’incoerenza. Nella maggior parte dei casi, la strategia di retrocontinuity (così viene chiamato il meccanismo per sanare quelle incoerenze) è una cazzata così grande che la sospensione dell’incredulità del pubblico, per sopravvivere all’impatto, deve aver preso il siero del supersoldato (o il composto V, o quello che preferisci).
Gli sceneggiatori di Deadpool & Wolverine (Rhett Reese, Paul Wernick, Zeb Wells, Ryan Reynolds, Shawn Levy) sono consapevoli della trappola e scelgono di giocare con altre regole. «A che ci serve la quarta parete?», si chiedono.
La risposta è semplice: «A niente! Adesso la tiriamo giù e facciamo un loft con la testa dello spettatore!»
Non si limitano a tirare dentro tutti i film Fox con personaggi Marvel, ma pescano in centinaia di comic book di ogni epoca, di episodi animati, di film Fox non Marvel, di gadget, giochi… Non c’è nulla che non si possa usare. Ogni singola inquadratura è così fitta di ammiccamenti, citazioni, copie pedestri, reinvenzioni, prosecuzioni, rinarrazioni da far gridare il piccolo nerd che pensavi di aver dimenticato sul fondo della tua anima.
E, all’improvviso, hai il sospetto che i giovani nerd in sala – quelli che commentano lì accanto – non si stiano divertendo come te, perché sfuggono loro un sacco di cose che, per ragioni meramente anagrafiche, non hanno visto e vissuto.
Chiaramente è un’illusione. Chiunque abbia visto, letto, giocato, ascoltato, fruito una storia con supereroi nell’ultimo secolo troverà un sacco di roba destinata unicamente a lui. Perché, accidenti!, la quarta parete, Deadpool e Wolverine l’hanno fatta a pezzi a suon di artigli, spade e scoregge.
Scrive e parla, da almeno un quarto di secolo e quasi mai a sproposito, di fumetto e illustrazione . Ha imparato a districarsi nella vita, a colpi di karate, crescendo al Lazzaretto di Senago. Nonostante non viva più al Lazzaretto ha mantenuto il pessimo carattere e frequenta ancora gente poco raccomandabile, tipo Boris, con il quale, dopo una serata di quelle che non ti ricordi come sono cominciate, ha deciso di prendersi cura di (Quasi).