La presa di Cong: la storia pazzesca di “Un uomo tranquillo”

Caterina Iofrida | Film Fuoricampo |

Anni Venti del Novecento. Sean Thornton (John Wayne), pugile americano di origine irlandese, si ritira dai ring e da Pittsburgh, in Pennsylvania, fa ritorno al suo piccolo villaggio natale in Irlanda, Inisfree. Compra “Rosa di Maggio”, il piccolo cottage che un tempo è appartenuto alla sua famiglia, conta di stabilirsi in paese e spera anche di sposare Mary Kate Danaher (Maureen O’Hara), di cui, appena tornato, si è innamorato a prima vista. I due hanno problemi di integrazione di natura diversa. Mary Kate, sanguigna, orgogliosa e volitiva, tra i compaesani ha la fama di avere un brutto carattere; inoltre è praticamente prigioniera di un fratello tiranno, restio a “darla in moglie”, e delle tradizioni locali, cui lei stessa è molto legata. Sean, a sua volta, si tiene fuori dalle dinamiche sociali del luogo, non solo perché, da americano di adozione quale ormai è, non le capisce completamente, ma anche in quanto pacifico, taciturno e riservato; inoltre, si porta dentro un trauma mai sviscerato, che lo trattiene dal vivere appieno. La soluzione sta nella scazzottata più lunga, più partecipata e più divertente della storia del cinema: ben nove minuti! Naturalmente sto parlando di Un uomo tranquillo (The Quiet Man), il capolavoro di John Ford del 1952.

Anni Venti del 2000. Non tutti, al mondo, hanno sentito parlare di Sean Thornton e Mary Kate. Ma quando, il 29 agosto 2024, arrivo a Cong (Contea di Mayo, Irlanda), mi è subito chiaro che ogni persona che incontro per le strade, che sia turista o residente, conosce la loro storia nel dettaglio. Di più: che sia per lavoro o per svago, ciascuna e ciascuno si trova qui a causa di The Quiet Man. Io non faccio eccezione: alloggerò per due notti proprio accanto al “The Quiet Man Museum”, e non è un caso.

A volerla raccontare tutta, la storia della nascita del film The Quiet Man – terminato e uscito nel 1952, ma progettato e sognato da John Ford quasi vent’anni prima – comincia ancora prima della nascita del regista, per la precisione nel 1872. In quell’anno, infatti, John Augustine Feeney e Barbara Curran emigrarono dall’Irlanda, rispettivamente da Spiddal (contea di Galway) e da Kilronan (isola di Inishmore), negli Stati Uniti. Pochi anni dopo si sposarono e si stabilirono a Portland, nel Maine, dove ebbero undici figli, il decimo dei quali, John Martin Feeney, nato il primo di febbraio del 1894, è oggi noto col nome di John Ford. Da quelle parti gli immigrati irlandesi non erano ben visti, per un certo periodo rientrarono pure tra le minoranze perseguitate dal Ku Klux Klan, e questo non fece che rafforzare il senso di orgoglio e di appartenenza alla terra di origine del giovane John. Anni dopo, nel 1933, Ford, ormai regista celebre nonché grande sostenitore del sogno americano, si imbatté nel racconto The Quiet Man dello scrittore irlandese Maurice Walsh, uscito sul “Saturday Evening Post”, e decise di opzionarlo per trarne un film. Da quel momento, questo progetto che lo avrebbe riportato alle sue radici ha avuto un posto particolare nel cuore di Ford.

Che The Quiet Man costituisca qualcosa di speciale, e pure di piuttosto insolito, nella filmografia di questo regista mitico a me oggi pare evidente semplicemente guardando il film: diversamente dalle altre sue opere è una commedia, in cui l’umorismo è in effetti la chiave di tutto, assieme a un romanticismo e un lirismo struggente, che non riguardano soltanto la storia d’amore ma anche la nostalgia. È la nostalgia di quell’Irlanda rurale che la famiglia Feeney ha dovuto abbandonare, certo, ma anche di qualcosa di meno concreto, l’utopia di una piccola comunità felice di persone, quasi fiabesca nella sua coesione. In quell’Irlanda lì, in fondo, Ford non ci ha mai vissuto, la cittadina di Inisfree non è mai esistita. Eppure, Cong, dove il film è stato girato, non solo esiste ma, oggi, è un luogo un po’ magico. Pensate a un villaggio in cui tutti, a ogni angolo di strada, parlano di un film della vecchia Hollywood, e ci sono negozi, attrazioni e un museo dedicato. A Cong, da metà aprile a fine settembre, ogni giorno alle 12 parte un tour a piedi delle location di The Quiet Man: Gerry, la guida, ogni tre passi si ferma per mostrare qualcosa e raccontare un aneddoto legato alla lavorazione. Quando partecipo al tour, faccio parte di un piccolo gruppo formato da una famiglia canadese, una coppia di americani e un paio di inglesi. Tra noi si crea subito una sorta di cameratismo cinematografico, nonostante il gap linguistico. Gerry ci fa ridere tantissimo imitando le voci dei personaggi del film, di cui recita a memoria dialoghi interi. Gli chiedo se al tour si vedano spesso degli italiani, aspettandomi una risposta negativa, al che lui dice che, al contrario, eccome se partecipano! Non so bene perché, ma questo mi fa sentire rincuorata.

Tornando al tempo in cui il film non esisteva, per anni non c’è stato verso di trovare i fondi per girarlo. Non ci credeva nessuno. Per riuscire, infine, nell’impresa ci sono voluti anche John Wayne, che aveva antenati irlandesi, e la star hollywoodiana originaria di Dublino Maureen O’Hara, i quali, entrambi innamorati del progetto di Ford, si sono impegnati assieme a lui nella ricerca dei finanziamenti. Finalmente Herbert J. Yates di Republic Pictures, sebbene titubante, accettò di produrre il film e di farlo addirittura in Technicolor, a patto che i tre realizzassero, prima, un western per lo studio. Fu così che nacque Rio Grande (1950) e una volta che fu finito, con grande preoccupazione di Yates, nel giugno del 1951 Ford, O’Hara e Wayne partirono alla volta dell’Irlanda con un’ottantina di persone al seguito. Il gruppo era composto da membri della troupe e delle famiglie del regista e degli attori, e le due categorie avevano una larga sovrapposizione. Infatti, in The Quiet Man appaiono Charles B. Fitzsimmons e James O’Hara, fratelli di Maureen O’Hara, Francis Ford, il fratello maggiore del regista, e tutti e quattro i figli di John Wayne al tempo. Anche Barry Fitzgerald, altro grande attore irlandese adottato da Hollywood che qui ha il ruolo fondamentale di Michaeleen, aveva con sé suo fratello Arthur Shields. L’idea iniziale era di stabilirsi a Spiddal, il paese di origine del padre di Ford, ma fu chiaro che sarebbe stato impossibile trovare un alloggio per tutti; così la scelta ricadde su Cong, dove il castello di Ashford disponeva di un numero sufficiente di stanze. Lo spazio c’era, certo, ma mancava ancora qualcosa di fondamentale.

Al termine della visita guidata, Gerry ci conduce all’interno del piccolo museo, dove sono ricostruiti alcuni interni del film (le scene interne sono state girate in studio a Hollywood), sono in mostra alcuni costumi originali e, soprattutto, troviamo la canna da pesca di padre Lonergan. Poi noto una piccola bacheca in cui sono esposti alcuni giornali del tempo; su di uno, datato 6 luglio 1951, leggo un annuncio: «Switch-On Ceremony and Dance», una cerimonia di… accensione in municipio? Il titolo di un articolo affisso accanto in effetti recita: «Electric Power Switch-On». Approfondisco la faccenda, scoprendo che, all’arrivo della troupe a Cong, in paese in effetti non era ancora arrivata… l’elettricità! La leggenda narra che sia stato lo stesso Ford ad “accendere”: che sia vero o no, non solo il regista era presente alla cerimonia, ma è stato lui, quantomeno velocizzando il processo, a far sì che la luce elettrica arrivasse in paese. Fece anche installare i collegamenti telefonici, fatto che comportò una serie di esplosioni di dinamite che interrompevano, a momenti, le riprese. E queste non furono le uniche trasformazioni: Ford arruolò mezzo villaggio per lavorare al suo film, come attori ma anche per mille altre necessità tecniche, e i compensi con cui pagò gli abitanti permisero loro in molti casi di costruirsi nuove abitazioni.

«Hollywood Takes Over Village of Cong»: è il titolo di un altro articolo di giornale dell’epoca, forse il mio preferito. Mi fa ridere, perché se da un lato evoca una sorta di colonialismo prepotente – arrivano gli americani! – dall’altro, sapendo la storia, racconta di come John Ford, grazie alla sua fortuna a Hollywood, è venuto a restituire qualcosa alla sua Irlanda. Mi sembra la stessa ironia leggera che non mi ha mai fatto prendere sul serio la violenza mimata, come una comica messa in scena, che caratterizza il finale del film. I due protagonisti, due outsider, finiscono per sciogliere i propri nodi e per salvarsi l’uno con l’altra, grazie all’incontro e al comporsi dei due diversi approcci culturali che inizialmente li avevano portati allo scontro. Mary Kate aveva bisogno di essere liberata e l’americano Sean, che del giogo culturale in cui è intrappolata non capisce molto, è la persona adatta ad aiutarla; poi è il suo turno, è un uomo in cerca di redenzione e la ottiene riconciliandosi con l’Irlanda tramite sua moglie. Una volta che loro stessi si ammorbidiscono, la comunità di Inisfree attorno a loro si dimostra in fondo adorabile, in grado di accogliere le differenze e di non prendere troppo sul serio le proprie regole, tradizioni e pettegolezzi.

In conclusione, ci tengo a dire che Un uomo tranquillo è un film “di pancia” e di conseguenza per me va visto senza pensare troppo: ci si butta in quel verde e in quell’azzurro in Technicolor, ci si ritrova il cuore in gola col bacio più bello della storia del cinema, si ride di una rissa epica e dei personaggi di paese. Se poi come me, a trent’anni dalla prima visione, ci si ritrova in pellegrinaggio nel villaggio in cui è stato girato, è ovvio che qualcosa al nostro interno lo deve avere smosso. E allora non ci stupisce poi molto che la storia dietro al film sia mitica e buffa quanto la sua trama.


Per scrivere questo articolo ho letto:

E ho visto:

  • Dreaming the Quiet Man, diretto da Sé Merry Doyle e scritto da Stephen Walsh
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