Max Capa:l’arte radicale contro la miseria dell’ideologia

Viva Max Capa | Viva Max Capa |

di Cataldo Dino Meo

Conosco Max Capa dai primissimi anni Settanta. Noi del gruppo di Quarto Oggiaro a Milano, Gatti Selvaggi / Poesia Metropolitana, vediamo questo figuro scorbutico, riservato, misterioso, di cui veniamo a sapere avere avuto dei trascorsi nella malavita torinese, sempre piegato su grandi fogli bianchi impegnato nervosamente a fumare e disegnare centinaia di tavole di fumetti con protagonisti animali e personaggi straordinariamente insoliti.
Con lui scopriamo che il fumetto non è semplicemente un prodotto d’intrattenimento, ma una vera e propria forma di comunicazione del pensiero radicale. Il fumetto parla, trasmette idee, lotta.
E lotta come piace a noi, senza il tritolo ideologico nella testa, in disprezzo di qualsiasi addestramento di partito, compreso quello dei gruppi della sinistra extraparlamentare e di tutte le sigle sindacali.

Siamo convinti, attraverso il pensiero situazionista che ci ha fatto conoscere il nostro nuovo incredibile amico, che «la merce è ideologia» e che tutte le ideologie sono merce, compreso il marxismo-leninismo pensiero di Mao Tse-tung idolatrato dalla sinistra e da molti intellettuali progressisti in tutto l’occidente. Max e noi ribelli asserragliati nella roccaforte di Quarto Oggiaro siamo espliciti: la lotta di classe e le avanguardie politiche che vogliono servire il popolo vadano a farsi fottere, «il popolo si serva da sé».

Puzz N.19, Aprile-Maggio 1975

Max Capa è un fumettista, scrittore, disegnatore da sballo che crea “Puzz”, uno dei primi fumetti underground italiani. Per l’imminente apertura del campionato di calcio ci propone una campagna situazionista “Create invasioni”, con un manifesto da affiggere in prossimità degli stadi che viene finanziato da uno dei nostri “avversari”, Gianni Sassi, secondo noi il fondatore della macchina d’ideologia-merce, Cramps Records. Il manifesto suscita scalpore, quando i giornalisti chiedono un parere a Giacinto Facchetti, il difensore dell’Inter si rifugia in un «no comment».

In risposta alla canea ideologica del Festival del proletariato giovanile, nell’estate del 1974, a Boffalora Ticino, paese dove abita Max, chiamiamo a raccolta tutti i nauseati dalle squallide iniziative di “Re Nudo”, e Max chiama il Festival “Rumore”, disegnando per l’occasione anche un magnifico poster in eliografia. Il raduno accoglie diecimila persone, chiunque può salire sul palco ed esprimersi come meglio crede. Sono tre giorni di puro divertimento. Niente a che
fare con i duri scontri che ci saranno nel 1976 al Festival del Parco Lambro di Milano.

“Tra tanto pop dove sono i veri hippies”, “Corriere della Sera”, 16 giugno 1974

Intanto quei bastardi di “Re Nudo” distribuiscono un volantino in cui accusano noi di Quarto Oggiaro di essere «spacciatori di eroina», il che equivale a venire marchiati come fascisti.
Noi e Max lo sappiamo bene, sono anni in cui non puoi sottrarti alle definizioni, noi veniamo etichettati come situazionisti, in realtà nessuno di noi sa esattamente che cosa sia il situazionismo. Certo, alcuni, a cominciare da me e mio fratello Antonio, hanno letto, sempre su ispirazione di Max Capa, La società dello spettacolo di Guy Debord e Trattato di saper vivere a uso delle nuove generazioni di Raoul Vaneigem, sappiamo dei riferimenti di Max al détournement, tecnica sviluppata prima dal Movimento Lettrista, e poi, nel 1957, teorizzata da Guy Debord e Gil J. Wolman. Si tratta di prendere un elemento che di per sé non ha nessuna importanza specifica, come una foto, un quadro, un manifesto, un ritaglio di giornale, un semplice oggetto quotidiano e collocarlo in un contesto diverso dandogli un nuovo significato.

Sempre sotto l’egida di Max, ci convinciamo che in ognuno di noi alberghi un artista, un creativo, per cui diamo vita al Collettivo Situazione Creativa con l’intento di stimolare anche negli altri la propria capacità inventiva, l’estro espressivo creativo. Con questo scopo il 13 febbraio 1975 assaltiamo in una sessantina il palco dio Lou Reed al Palalido di piazzale Stuparich. Premetto che io, mio fratello Antonio e molti di noi, non sappiamo chi sia Lou Reed. Non lo conosciamo. Quindi non è un’azione rivolta personalmente contro di lui. Saliti sul palco, io, solo io, prendo il microfono per invitare le “masse passive” a scrollarsi di dosso il sonno che li relega e condanna a rimanere per tutta la vita “spettatori paganti”, rinunciando così alla propria creatività, soffocando il proprio talento artistico. «Create situazioni per esprimere il vostro potenziale creativo».

“Tutto il potere alla pop”, “Corriere d’Informazione”, 15 febbraio 1975.


Ma tutto questo non mi fu permesso di dirlo perché l’organizzatore, David Zard, fece chiudere il microfono.
Il pubblico, composto di ammiratori di destra, di sinistra, da seguaci dell’eroina, rumoreggia contro di noi. Ancora oggi smentisco le falsità dei giornalisti affermando che nessuno del Collettivo in quell’occasione distrusse la strumentazione sul palco. Nessuno di Quarto Oggiaro fu malmenato. David Zard non fu mai processato da noi. Io non corsi mai pericolo e non ci fu alcun tentativo di linciaggio. Posso invece dire che un nostro amico, nero di pelle, fu riconosciuto il giorno dopo in San Babila e malmenato dai fascisti dentro un portone. La realtà è che tra noi si mescolano altri di cui non posso rispondere, i quali ci disprezzano apertamente, gli stessi militanti extraparlamentari che, secondo una logica staliniana-maoista, processano successivamente Francesco De Gregori perché, in quanto artista, si doveva mettere al servizio del popolo. 

Le stesse persone che poi avrebbero lanciato le molotov al concerto di Santana contro il caro biglietto. La nostra non è una questione d’impegno politico obbligatorio che gli artisti devono svolgere per il popolo, nemmeno una questione di prezzo del biglietto. Vogliamo che la creatività esploda dentro ognuno di noi, che si manifesti come stile di vita. Vogliamo contribuire a diffondere la passione, lo slancio vitale, far vivere i nostri pensieri, le nostre visioni, dentro una festa permanente di situazioni creative.

Per anni fummo “ricercati” dai fan di Lou Reed – Avevamo tutti contro, solo Max Capa prese le nostre difese e vi assicuro che farlo era molto pericoloso.


Nel clima di guerra civile in cui siamo immersi, ogni giorno agguati, gambizzazioni, rapimenti, stragi, feriti, omicidi, si presentano al centro sociale di via Val Trompia tre luddisti- commontisti guidati da Riccardo D’Este. Ascoltiamo quanto hanno da dirci perché conosciamo D’Este di nome per i suoi scritti su “Puzz”.
La loro proposta è questa: siccome il 16 aprile 1975 in piazza Cavour è stato ucciso dai fascisti, a colpi d’arma da fuoco, Claudio Varalli, dobbiamo dare una risposta adeguata all’omicidio.
A un certo punto dell’incontro, visto che intorno a noi c’è troppa confusione per le persone che entrano ed escono, i tre ci propongono di trasferirci in un loro abbaino in Ripa di Porta Ticinese per continuare a parlare tranquillamente. Arrivati nell’abbaino in quattordici di noi, i tre commontisti avanzano una proposta netta: «È necessario fare un attentato in solidarietà con Varalli». Tutto il nostro gruppo respinge nettamente quest’idea, ci rendiamo senz’altro disponibili per ricordare Varalli con iniziative pubbliche nel centro sociale, ma niente attentati.
Tuttavia i tre insistono e riescono a convincere uno solo del nostro gruppo a unirsi a loro. Quindi in quattro partono in macchina per la missione dimostrativa. C’è da dire che i tre erano strafatti di eroina, durante il tragitto che avrebbe dovuto consentire di individuare un obbiettivo simbolico, non fanno altro che litigare tra di loro. Dopo continue discussioni, ormai giunti alle prime ore dell’alba, il 19 aprile incrociano la sezione Prampolini del Partito socialdemocratico (Psdi) in viale Jonio dentro cui lanciano una tanica di kerosene. Ma ormai è giorno, non possono più confidare sulla complicità del buio, quindi vengono visti subito dal portiere dello stabile e da un cameriere di night club di ritorno a casa. La polizia viene avvertita, intercetta la macchina dei quattro ma non interviene. Si limita a seguire l’auto dei piromani, i quali fanno ritorno all’abbaino dove siamo rimasti tutti noi in attesa che i tram riprendano servizio. Così veniamo arrestati tutti.

Il Tg1 apre i suoi servizi: “Arrestati 17 terroristi”, seguono nomi e cognomi. La notizia giunge al mio paese di origine in Puglia. Mio nonno, pur essendo un ex carabiniere, prende le mie difese e dice: «Sarà come al tempo di Mussolini, quando mio fratello di Torino veniva perseguitato dai fascisti».

Nel corso dell’interrogatorio il Pubblico ministero Emilio Alessandrini mi dice chiaramente: «So che non hai fatto niente, ma ti tengo dentro perché sei il capo del giornale», riferendosi a “Gatti Selvaggi”.
Mio fratello Antonio, che era andato al forno aperto la notte in Brera, al ritorno viene fermato sulle scale con le focacce in mano. Per lui la galera dura venti giorni, mentre io, in attesa di processo, ci resto tre mesi.

Una volta sistemati al IV raggio di San Vittore, D’Este comincia a farneticare: «Rivendichiamo tutto quello che è successo in questi giorni!». «Con l’accusa di associazione a delinquere già ci danno quindici anni di galera. Tu sei pazzo, qui rischiamo l’ergastolo senza aver fatto niente!», gli rispondo io. Dopo un breve periodo con altri due miei compagni vengo trasferito in una grande cella di oltre dieci persone, carcerati comuni, esponenti della malavita mafiosa, che appena mi vedono attaccano: «Per colpa vostra (i prigionieri politici) stanno mettendo tutte queste leggi d’emergenza». I primi giorni me la vedo davvero brutta, poi cominciano a conoscermi meglio e allora mi offrono i pacchi dei loro parenti. Altri aiuti li ricevo dal Soccorso Rosso la cui figura di spicco è Franca Rame che mi invia tutte le settimane cinquemila lire.
Al processo veniamo tutti assolti con formula piena «per non aver commesso il fatto», mentre i quattro che hanno appiccato l’incendio sono condannati a due anni con la condizionale e rilasciati.

Anche in questo caso Max fu vicino a tutti noi. Da fuori propagandava e si batteva per noi.



Questi sono solo alcuni episodi vissuti con lui. Verso la fine degli anni Settanta cominciò a dirmi che voleva trasferirsi a Parigi, evidentemente per sfuggire a qualcosa di cui però non chiesi mai nulla, capivo che “doveva andare” e lo lasciai partire senza indagare, con sincera amicizia.

Lo rividi solo nel 2017, quando fu invitato per una mostra personale all’interno di AFA Festival – Autoproduzioni Fichissime Andergraund. Fece il diavolo a quattro per avermi con lui. Ne sa qualcosa Ivan Hurricane, l’organizzatore del Festival dei fumetti che si svolse allo Spazio Pubblico Autogestito Leoncavallo il 5-6-7 maggio.

Max Capa, Marcello Baraghini e Cataldo Dino Meo all’AFA 2017, foto di Antonio Meo

Oltre a realizzare un mio reading e musica, Max mi convinse a partecipare anche a un racconto degli anni Settanta con lui, Enzo Jannuzzi, Matteo Guarnaccia, Marcello Baraghini, il cui resoconto fu pubblicato dalla rivista “Linus”.

Video realizzato da Antonio Meo

Mi è stato chiesto che carattere avesse Max, posso testimoniare che si trattava di persona lucida, intelligente, dotato di acume affilato, nelle difficoltà si batteva con impeto, senza paura.
Scontroso, ma aperto, la sua presenza intimidiva, pur tuttavia non potevi non accorgerti della sua notevole apertura mentale, certamente molto impaziente e sbrigativo, ma anche affascinante e curioso, ma soprattutto di grande generosità. Capace di reggere giornate intere di vera fatica fisica per terminare l’ennesimo progetto. Carattere complesso, enigmatico e diretto, un aristocratico prestato alla cospirazione proletaria, un teddy boy da strada con la vocazione alla vita dura, radicale, ingovernabile. Quando lo vedevi, quando lo incontravi, sapevi sempre che dovevi ribaltare le tue giornate, che di giorno in giorno sarebbero poi diventate tutta la tua esistenza.  

Uomini come Max Capa li puoi trovare solo nella prima fila, quando la battaglia imperversa più cruenta e le sorti sono sempre decisive.

Max, grazie davvero.
Che gli dèi ti bacino gli occhi!

Cataldo Dino Meo

Gran parte di questi testi sono tratti dalla mia raccolta poetica SPOSTO IL LIMITE – Agenzia X Edizioni 2023


Cataldo Dino Meo

Cataldo Dino Meo nasce nel 1949 a Francavilla Fontana in provincia di Brindisi.
Nel 1951 contrae la poliomielite alla gamba sinistra. Con la famiglia si trasferisce a Milano all’età di sette anni. Non frequenta regolarmente nessuna scuola. Solo all’età di diciotto anni
conseguirà, in collegio, la licenza media inferiore. Da autodidatta intraprende studi filosofici, storici e letterari. Nel 1982 vince il Premio RAI alla rassegna Filmaker Milano con il video “Voglio uccidere”.
Organizza eventi e performance di musica/poesia per tutti i decenni successivi. In qualità di animatore partecipa a riviste underground come “Poesia Metropolitana”, inoltre è anche autore di volumi di poesia autoprodotti.
Con suo fratello Antonio Meo crea le produzioni Video ALOK Milano. Sarà proprio suo fratello a rendere realtà una nuova esigenza di comunicazione della poesia che va oltre il canone della parola scritta sui libri. Nel 2004 nasce così “Caravaggio”, il primo video che sottrae la poesiaall’insufficienza della parola stampata. Seguiranno poi altri videoclip di poesia sempre con lo stesso linguaggio mutuato dai videoclip musicali, in cui il poeta si sostituisce fisicamente al cantante per una trasmissione della poesia diretta che comprende anche la musica.
Nel 2023 Agenzia X Milano pubblica SPOSTO IL LIMITE le parole che non uccidono lavorano per il nemico, la sola raccolta poetica che all’interno contiene anche una “Sezione Video” e un’ampia avventurosa autobiografia dell’autore.

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