Playlist: «Il cielo sopra il porto aveva il colore della televisione sintonizzata su un canale morto»

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

LATO A

#1

William Gibson racconta che aveva scritto “THE END” sull’ultima pagina di Neuromante, il romanzo che inizia con la descrizione di quel cielo sopra il porto, ed esausto era uscito di casa. Aveva bisogno di rilassarsi ed era entrato in un cinema per vedere un film in prima visione di cui non sapeva nulla. Il film era Blade Runner di Ridley Scott e sullo schermo aveva visto lo stesso mondo che aveva appena finito di raccontare. In quel film, a un certo punto, Rachel (Sean Young), dice «Ho sognato musica», riferendosi agli innesti di memoria che le sono stati inoculati per non farle sapere di essere una replicante. E allora un pezzo dalla colonna sonora di Vangelis. Per essere coerente dovrei proporre Rachel’s Song, ma è sabato e bisogna ballare: One More Kiss, Dear. [PI]

#2

Nel 1995 Katryn Bigelow firma il suo ultimo film prima del (per me) suo declino ideologico: Strange Days, decisamente ispirato alle tematiche cyberpunk. Juliette Lewis interpreta Faith Justin (un nome che per noi vecchi punk molto sadiani e poco cyber, è già un programma di delizie e sevizie). Quando canta Rid of Me è uno dei momenti più alti (per me) di erotismo onanistico. Sogno di essere torturato sul palco mentre Juliette la duetta con PJ. [BB]

#3

Sevdaliza è una autrice e cantante iraniano-olandese di capacità quasi spaventose. La sua musica è una colata di lava iridescente che riempie l’atmosfera di vapori narcotici e la sua voce l’unico appiglio per orientarsi in quella fitta nebbia. Questo pezzo andrebbe ascoltato con le cuffie e guardando il video. Ci sono persone che con i loro corpi fanno avanzare nel deserto la nostra pachidermica e impenetrabile idea di Europa. Il cyberpunk è dentro, il cielo fuori non è più grigio perché non c’è più atmosfera. [GT]

#4

Wendy Carlos ha fatto in musica cose che credo stiano molto bene accostate ai lavori di Gibson. L’intro di Arancia Meccanica è classicità quasi arcaica (Purcell) data in pasto alla tecnologia di sintesi più spinta dell’epoca (1971), con Carlos che aveva dalla sua un album di composizioni bachiane suonate sul Moog, il primo synth a tastiera alla cui realizzazione aveva collaborato lei stessa. Il risultato è agghiacciante, solenne e straniante in modo insuperabile – la colonna sonora giusta per cieli ormai alieni sopra panorami urbani e sociali irrimediabilmente deteriorati. [LC]

LATO B

#5

Mi sono chiesto che tipo di musica si potrebbe ascoltare nel cyberspazio, quali canzoni in quelle lande virtuali potrebbero risuonare. Meglio ancora, quale musica potrebbe essere il cyberspazio. La risposta che mi si è immediatamente palesata in testa è: un qualsiasi brano della produzione ambient di Brian Eno. Reflection (2017) è un disco che contiene un solo pezzo della durata di 54 minuti. Per me è la mappa sonora di un luogo inconcepibile, eppure totalmente presente. [FP]

#6

Lo canzone fantascientifica più bella che conosco è di Francesco Guccini. Si chiama Il vecchio e il bambino. Qualche volta l’ha presentata dicendo «Sono un intellettuale: oltre ai fumetti, leggo molta fantascienza». Mentre il pubblico scoppia a ridere, di fronte a questa affermazione nella quale percepisce ironia, mi sento vicinissimo a quel posizionamento culturale e ideologico. [PI]

#7

Sui titoli di coda di Blade Runner viaggia un pezzo che da allora è stato infilato dappertutto, d’accordo, però pure lui segna una pietra miliare nell’utilizzo massiccio, quasi esclusivo, dei sintetizzatori e nell’associazione, nell’immaginario, con scenari urbani da antropocene nei quali il colore del cielo è tutto fuorché quello che dovrebbe essere (al netto dell’happy ending nella prima edizione del film). Vangelis aveva a disposizione sette Yamaha CS-80 quindi la “spinta sintetica” all’immaginario è bella potente anche dal punto di vista dei fattori produttivi (oggi uno solo di quei cosi, prodotti dal ’77 all’80, vale sui ventimila dollari). [LC]

#8

Ma, poi, te li ricordi i Sigue Sigue Sputnik? Creste improbabili e mossette da punk inglesi un po’ in ritardo. Io no, per niente. Ricordo solo quel nome che, non ancora diciottenne, mi divertiva molto. Per capire chi fossero ho dovuto cercare su google e… niente. Vuoto pneumatico. Li ascolto e si dissolvono immediatamente nella memoria. Forse il loro segreto è stato questo, attraversare gli anni Ottanta senza lasciare traccia alcuna. Provaci anche tu. Ascolta Love Missile F1-11 e poi cerca di canticchiarla. Io non ci riesco. Ho solo la sensazione di aver sognato musica. [PI]

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(Quasi)