Playlist: Io è un altro

Quasi | If I Can't Dance, It's Not My Revolution |

LATO A

#1

Quello dell’identità è un tema scivoloso. La prima canzone che mi viene in mente è di Bobo Rondelli e racconta la crisi di mezza età facendo finta di parlare di un incontro di boxe. Nel pugilato ci si allena con l’ombra: si fa specchio, dicono, e lo specchio è il più bastardo tra gli interlocutori cui chiedere un parere. Onesto e brutale, ti mostra sempre qualcosa che non volevi vedere. Rondelli canta: «E faccio spogliarelli della parte interiore / perché quella allo specchio avrebbe da ridire / non ho più l’entusiasmo che porta alla vittoria / ma solo la paura di andare KO». Settimo round. [PI]

#2

Il mio film preferito sul tema del doppio è Le folli notti del dottor Jerryll. L’ho visto da bambino e mai più rivisto ed è forse questo il motivo per cui lo amo così tanto. Mi gingillo con un ricordo che non voglio modificare in alcun modo. La pozione che sdoppia le coscienze trasforma lo sfigatissimo professore Julius Kelp in Buddy Love, bellissimo e capace di sedurre chiunque. Davanti al piano, Buddy attacca una versione di That Old Black Magic che fa fremere chiunque. [PI]

#3

E poi una canzone che mi fa sempre ridere tantissimo. Il fatto che in Peter Pan Enrico Ruggeri parli del suo pene mi sembra molto evidente e dichiarato e mi stupisco tutte le volte che non trovo quel titolo negli elenchi delle canzoni sporcaccione con doppio senso. Il fatto che Ruggeri abbia scelto un bambino morto per raccontare il proprio organo genitale mi scatena un’ilarità quasi infantile. [PI]

#4

Tra il 1979 e il 1980, dopo un tentativo di suicidio buttandosi nella Senna, Jane Birkin lascia definitamente Serge Gainsbourg. Ognuno di noi è un Mr. Hyde nascosto dietro la maschera di un Dr. Jekill, basta poco perché prenda il sopravvento. La disperata solitudine in cui Gainsburg si ritrova per la perdita dell’unica donna che ha mai veramente amato, spiana la strada al suo Hyde/Gainsbarre. Ecce Homo, questa dichiarazione d’identità apre il primo album (1981) della solitudine: Mauvaise nouvelles des étoiles. [BB]

#5

Renaud è sicuramente uno degli eredi diretti di Gainsbourg. Nel 1996 una profonda crisi creativa e sentimentale lo sprofonda in una depressione fatta di violenza, alcolismo e dipendenze varie dalla quale esce dopo 6 anni con un album, Boucan d’enfer, nel quale racconta questo viaggio allucinante nei panni di Messieur Renard. [BB]

#6

Eh, mica sempre essere qualcun altro significa lasciare il passo ai mostri che ci divorano. Alle volte essere un altro, significa solo provare e raccontare quell’empatia con l’umanità e con il mondo che ci rende tutti simili, benché ognuno di noi sia un altro per gli altri. Georges Moustaki, Je suis un autre. [BB]

LATO B

#7

E poi ci sono le moltitudini, come quelle che abitavano Syd Barret. Quello che i suoi “amici” hanno definito “diamante pazzo”. Una personalità per ogni faccia della pietra. Qualsiasi sua canzone solista andrebbe bene, ma questa è la mia preferita per la intro in cui Syd si scalda alla chitarra. Sarà strano, ma ascoltarla mi mette serenità. [BB]

#8

Rarissime le canzoni del Califfo che amo. Questa è una di quelle. Fosse solo per il fatto che alle volte è necessario, nonostante tutti i nostri doppi io, sapere chi cazzo siamo e accettarci, anche se non ci meritiamo. [BB]

#9

Nico canta «Sarò il tuo specchio», ma anche il vento, la pioggia e il sole che tramonta. E la luce sulla porta che dice che sei a casa. Con la sua voce profonda, angolosa e morbida come muschio,  si dichiara disposta a trasformarsi in qualsiasi cosa. Sta collaborando con i Velvet Underground, e il pezzo, I’ll be your mirror, è nel “disco banana” registrato nel ’66 e uscito nel ’67, che influenzerà tutti i lavori di tutte le band indie da lì in poi. Ancora non riesco a credere che questa dea sia morta cadendo dalla bici a Ibiza. «I’ll be your mirror/ Reflect what you are, in case you don’t know/ I’ll be the wind, the rain and the sunset/ The light on your door to show that you’re home» [AS]

#10

Il secondo disco dei Joy Division, Closer, esce postumo, almeno dal punto di vista di Ian Curtis. In copertina la tomba della famiglia Appiani al cimitero di Staglieno. Dentro un giro d’orizzonte sul disagio dell’esistere in nove capitoli. In Passover la «crisi che sapevo sarebbe arrivata», la sensazione netta di perdita di equilibrio che nasce dal chiedersi se il ruolo che si recita, il corso di eventi che si vive, sono veramente quello che si vuole. L’altro resta in agguato nei sottintesi, mentre l’identità si sgretola. [LC]

#11

Dave Gahan vive a Los Angeles, dove i paramedici di non so più quale ospedale lo hanno soprannominato “Il Gatto”, per la velocità con cui consuma le sue nove (o sette, a seconda delle culture), vite. Il 28 maggio del ’96 si gioca quella più pesante con uno speedball ben condito e finisce in arresto cardiaco per due minuti. L’anno successivo esce Ultra, il nuovo album dei Depeche Mode. Apre Barrel of a Gun dove la voce dell’io è incapace di fissare il senso di identità intorno a descrizioni troppo deludenti e l’unica certezza è quella di non essere “the one” mentre lo stallo si perpetua, guardando nella canna di una pistola. [LC]

#12

L’aneddoto, lo stesso accennato alla fine della canzone, dice che un giovanissimo Paolo Conte assistette da dietro il palco a un concerto di Duke Ellington, rimanendone folgorato. «Stavi dietro le quinte ingolfato di swing e di lacrime», dice all’altro se stesso, quello ragazzino, quello nascosto dietro a Una faccia in prestito offerta al pubblico, «che ti guarda come a Carnevale si guarda una maschera». Il dilemma fra chi si era, chi si deve essere e chi si è o si vorrebbe essere, viene infine risolto con un taglio netto, che neanche Alessandro Magno: «Non piangere, coglione, ridi e vai!» [FP]

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