Parati

Ugo e Michel | La grande abbuffata |

(Le illustrazioni sono di Lucia Lamacchia, che è responsabile di quanto segue almeno quanto lo sono Ugo e Michel.)

È bianco. E quel candore è costato un sacco di fatica. Come al proprietario precedente sia venuto in mente di colorare pareti e plafone è un mistero. Non intendiamo risolverlo: da tempo abbiamo accettato il fatto che gli umani possano non avere gusto. Se lo guardi bene, quel soffitto, spostandoti un po’ gli occhiali sul naso, per trovare il punto di equilibrio tra miopia e presbiopia, vedi i segni lasciati dal rullo mentre depositava la tempera bianca. E, se tieni fisso lo sguardo a lungo, nella stanza illuminata, riesci a riconoscere l’alone rosa rimasto sotto il bianco.

In questa stanza non ci veniamo mai. La casa è grande e l’affittiamo a studenti fuori sede. È bello avere in casa qualcuno che rientra tardi quando le nostre serate imbolsiscono davanti allo schermo. È bello sentire il borbottio di qualcuno che studia e fuma in casa. Ed è anche utile quell’entrata per pagarsi qualche vizio.

Con le pareti non abbiamo potuto fare lo stesso. Lo sciagurato le aveva dipinte con un orrendo blu notte. Uno smalto lucido contro il quale si sono infranti tutti i nostri tentativi di riesumare l’originario candore. Ci siamo sentiti perfino eleganti quando abbiamo deciso che avremmo messo la carta da parati. Ne abbiamo scelta una lavabile e semplice da comporre sulla parete. Un pattern semplice che non ci avrebbe fatto impazzire cercando di far combaciare i lembi del disegno. Bastava mantenere il passo e le distanze corrette di quel semplice schema. Non è stato difficile.

Flavio è al terzo anno di “Scienze della Comunicazione”, che un tempo era ridicolizzata dal soprannome “Scienze delle Merendine” per la sua presunta inutilità nel mondo del lavoro. Adesso che il mondo del lavoro sta lentamente scomparendo, quella definizione non la si usa quasi più. Viene da Gela. Un bel viaggio fino a Milano: un’ora e mezza di macchina, accompagnato dai genitori in aeroporto, e un paio di ore in aereo, poi navetta e bus fino a qui. Una volta l’ha pure fatta in auto con uno zio, che doveva sbrigare una qualche faccenda a Pavia, e ci ha messo due giorni.

La carta ha una struttura regolare che si sviluppa dalla composizione di forme rettangolari equidistanti. Si tratta di piccoli disegni astratti ripetuto ossessivamente, sempre uguali. Ogni occorrenza dell’immagine si appoggia su due lati regolari, alla base e a destro, e da lì si sviluppa come un fuoco d’artificio, come un fiore, come lo schizzo di dentifricio da un tubetto. Ci piace la sua forma irregolare, la sua assenza di significato, il suo snobismo in bianco e nero. Se lo fissi a lungo è ipnotico come certe installazioni Op Art. Stesi sul letto contempliamo e ci rilassiamo.

Flavio è tornato a casa prima di rimanere imprigionato dal nuovo lockdown, lontano da casa e chiuso in un appartamento con i suoi affittuari. Riesce a seguire i corsi con la tecnologia della didattica a distanza. Il primo confinamento lo ha messo a dura prova. E non è stato facile neanche per noi. C’è stato anche qualche momento teso.

Ci muoviamo nella stanza con circospezione. Non ci sono le cose di Flavio, ma ci sembra comunque di violare un luogo che non ci appartiene. Non tocchiamo nulla. Ci avviciniamo alle pareti e il disegno astratto assume forma. Sembra quasi che da quei grigi emergano degli individui. Non tengono la distanza. Sono vicini. Troppo vicini. Da una decina di mesi non ci infiliamo in luoghi affollati, non andiamo a feste, non partecipiamo a eventi che prevedano un’estensione della socialità. Questi corpi, irrispettosi delle distanze di sicurezza, ci innervosiscono. La quiete respirata qui dentro, svanisce rapidamente mentre il nostro respiro accelera e i nostri cuori galoppano.

Un paio di volte l’anno, mentre è qui da noi, a Flavio arriva il pacco da giù. Un sacco di incredibili leccornie che ci fa assaggiare con parsimonia e giudizio: la provola, la caponata, i mustazzoli, la pasta di mandorle… Una volta, per farlo sentire a casa, abbiamo preso arancini di riso e sfinci fritte nella rosticceria messinese qua dietro. Non li ha quasi toccati. Si è molto scusato e ci ha spiegato come, fuori da Gela, nessuno sappia cucinare le specialità siciliane. Ha poi aggiunto che deve essere l’acqua e l’aria. Basta allontanarsi qualche chilometro e tutto perde sapore: preparare piatti siciliani in Lombardia è proprio impossibile.

A ben vedere, quei corpi si toccano, si spingono, si stringono. C’è una contesa in corso, uno scontro una battaglia. Non è facile intendere come siano composte le fazioni, le parti, ma è guerra. L’immagine puzza di morte. E mentre ci avviciniamo a guardarla, i nostri visi si accostano. Ci afferriamo per il collo. Ci strattoniamo. Ci spingiamo. E infine ci baciamo come non facevamo da anni. Le lingue si spingono e lottano. Le dita corrono frenetiche e impacciate sui bottoni. Questi corpi, conosciuti e stanchi, ci eccitano ancora.

Sono proprio l’acqua e l’aria i temi attorno ai quali si sviluppa la tensione maggiore nei nostri rapporti con Flavio. Ci piacerebbe avesse con entrambi gli elementi un rapporto diverso. L’acqua gli piace poco, si vede. Non si lava quanto vorremmo e sembra avere paura a usare lo sciacquone. Berta, la signora che ci aiuta in casa, esce dal bagno di servizio sempre un po’ contrariata. L’aria invece gli piace troppo. Non la vuole cambiare mai. Può fumare solo nella sua stanza e con la porta chiusa, ma ad un certo punto l’odore s’insinua sotto la porta e inizia a lambire tutta la casa. Quando finalmente lo convinciamo ad aprire le finestre dobbiamo sopportare le sue lamentele riguardo al freddo milanese.

Mentre ci muoviamo all’unisono, sfilandoci le camicie, indietreggiamo verso la finestra. Le tende, muovendosi, liberano il fetore stantio di cenere e di fumo. L’incanto cede, ma non demordiamo. La passione è ritrovata non la abbandoneremo così. Ci allontaniamo dalla finestra e ci pieghiamo verso il pavimento. I corpi si cercano, si strofinano. Ci tocchiamo, ricominciamo a baciarci. Stesi per terra, accanto al letto, l’odore di mille sigarette, proveniente dal tappeto ci avvolge. Ci alziamo. Ci guardiamo negli occhi. Per la prima volta da anni c’è piena intesa. Decidiamo di non demordere. Ci avviciniamo ancora. Suona il telefono. Non smettiamo. E neanche lui, dannazione!

Rispondiamo. Educatamente, per quanto possibile. È Flavio. Ci dice che, probabilmente, per quest’anno, non sarà possibile riprendere le lezioni in presenza. Continuerà a seguire i corsi a distanza. E allora lascia la stanza. Ma, siccome quando è partito non lo sapeva, nella fretta ha lasciato due sacchi di biancheria sporca nell’armadio. Ci chiede se possiamo spedirgliela. Basta metterla in un pacco postale. Non serve lavarla, farà la sua mamma a casa. Grazie.

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