Nella tana del coniglio

Paolo Interdonato | Il fumetto di Babele |

La ricerca di un territorio della narrazione capace di vivere nella confusione delle lingue e dei codici deve partire necessariamente dal sottosuolo.
Il mito della Torre di Babele, le cui fondamenta affondano nel cuore dell’inferno, fornisce un’altra indicazione precisa. Babilonia deve essere distrutta e il profeta Isaia ne predice la disfatta più atroce. Poi, dopo un oracolo che sente di maledizione, lancia un’invettiva feroce, in veste di carme satirico, contro il sovrano di quel regno:

«Gli inferi di sotto si agitano per te, per venirti incontro al tuo arrivo; per te essi svegliano le ombre, tutti i dominatori della terra, e fanno sorgere dai loro troni tutti i re delle nazioni. Tutti prendono la parola per dirti: “Anche tu sei stato abbattuto come noi, sei diventato uguale a noi”. Negli inferi è precipitato il tuo fasto e la musica delle tue arpe. Sotto di te v’è uno strato di marciume, e tua coltre sono i vermi. Come mai sei caduto dal cielo, astro del mattino, figlio dell’aurora? Come mai sei stato gettato a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi nel tuo cuore: “Salirò in cielo, sopra le stelle di Dio innalzerò il mio trono, dimorerò sul monte dell’assemblea, nella vera dimora divina. Salirò sulle regioni superiori delle nubi, mi farò uguale all’Altissimo”. E invece sei stato precipitato negli inferi, nelle profondità dell’abisso!»

Il riferimento all’astro del mattino, altrove tradotto come Lucifero, rimanda al racconto mitico della ribellione del più bello tra gli Angeli. Sconfitto e punito per la sua disobbedienza, l’angelo viene scagliato violentemente sulla terra, producendo la profonda cavità entro la quale si sviluppa l’Inferno dantesco.
Seguendo questa suggestione biblica, alla ricerca dell’equilibrio tra i codici che prende vita sulle pagine che mescolano parole e immagini, diventa evidente la necessità di tracciare in maniera più nitida i confini di un territorio del racconto tanto indefinito. Per farlo dobbiamo sprofondare sottoterra. Siccome si tratta di territori insidiosi, è bene avere un accompagnatore. Un matematico inglese la cui vita cambia radialmente quando egli decide di raccontare le vicende di una bambina che si infila nella tana di un coniglio bianco e precipita per un tempo apparentemente infinito, per raggiungere, invece del cuore degli inferi, il Paese delle Meraviglie.

Un uomo perbene

L’Età Vittoriana coincide necessariamente con il lungo regno della regina Vittoria, cioè dal 20 giugno 1837, data della sua incoronazione, al 22 gennaio 1901, data della sua morte. Stupisce quindi che Charles Lutwidge Dodgson, capace di incarnare meglio di chiunque altro le ossessioni e le contraddizioni di quell’epoca, sia nato il 27 gennaio 1832, cinque anni prima del regno di Vittoria. A tranquillizzarci parzialmente, resta la consapevolezza che i semi di quell’epoca devono essere ricercati nell’Atto di Riforma del 1832, il primo passo di un lungo processo di estensione del diritto di voto, nel Regno Unito, a fasce non rappresentate.

Charles Lutwidge Dodgson è il terzo degli undici figli di Charles Dodgson e Frances Jane Lutwidge. Il primo dei maschi; l’unico quindi a godere del dubbio privilegio di portare il nome e il cognome del padre, stemperandoli in quel Lutwidge matronimico. Come il padre, abbraccia clero e matematica. Diversamente da lui, rimane scapolo per tutta la vita e neanche una cugina – come era successo al genitore – riesce a salvaguardare il suo patrimonio genetico.
Trasferitosi al Christ Church College di Oxford nel 1851, vi trascorre tutta la vita, dapprima come studente, poi come insegnante e, infine, come gestore della Senior Common Room, il circolo ricreativo per i professori dell’università.
Dodgson è un tipo strano. Dedito all’insegnamento della matematica, suscita nei suoi studenti la stessa apatia che può scatenare una giornata assolata di luglio. È un uomo noioso, conservatore e austero, permeato da un moralismo insopportabile che scaturisce in reazioni spropositate di fronte a qualsivoglia affermazione anche solo vagamente blasfema. È un insegnante timido, balbuziente e pedante, dall’andatura rigida e dalla postura eretta, “quasi avesse ingoiato un attizzatoio”: la vittima perfetta di dileggio e sfottò. Negli anni sarà autore di libri sulla logica che nessuno ha più il coraggio di leggere ma di cui dobbiamo parlare, sempre, con toni entusiastici.
Nonostante (o, forse, proprio per) il celibato impostogli dal ruolo che si è cucito stretto addosso, Dodgson ha una passione. Ama, ricambiato, le bambine. I documenti sulla sua vita sembrano chiarire che in questa sua pulsione non c’è nulla di scabroso.

Nell’Inghilterra vittoriana, il mercato del sesso mercenario è ricco e fiorente, con un’offerta talmente segmentata da soddisfare ogni nicchia di consumatori. Ci sono bordelli dediti a ogni sorta di uso e pratica sessuale. Ce ne sono perfino di specializzati in sesso con le bambine (il momento e il luogo criminalizzano questa pratica solo se mossa verso minori di 12 anni e, ai tempi, il menarca giunge tipicamente intorno ai 14 anni).
Charles Lutwidge Dodgson è un uomo perbene, del tutto estraneo a certo commerci: il suo è un amore vero e angelicato, lontanissimo da volgari secrezioni e turpi meccaniche dei corpi. Le bambine, cui presta le proprie attenzioni, sono gli unici esseri umani con cui si sente a proprio agio. Con loro non balbetta. Anzi, diventa uno splendido compagno di giochi capace di intessere storie meravigliose.


Note:

L’oracolo su Babilonia, «ricevuto in visione da Isaia, figlio di Amoz», compone il capitolo 13 del Libro del profeta Isaia. Ho scelto, come altrove in questo libro, di usare la versione CEI 2008. La violenza di quella maledizione è particolarmente evidente nei vv. 15-18, che copio:

«Quanti saranno trovati, saranno trafitti, quanti saranno presi, periranno di spada. I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi; saranno saccheggiate le loro case, violentate le loro mogli. Ecco, io suscito contro di loro i Medi, che non pensano all’argento né si curano dell’oro. Con i loro archi abbatteranno i giovani, non avranno pietà del frutto del ventre, i loro occhi non avranno pietà dei bambini.»

L’altra citazione biblica proviene dal capitolo successivo, il quattordicesimo, del medesimo libro: vv. 9-15.

Per il riferimento alla Commedia, si veda la voce “Lucifero”, redatta da Andrea Ciotti, dell’Enciclopedia Dantesca, pubblicabile originariamente da Treccani tra il 1970 e il 1978, le cui voci sono ora consultabili all’indirizzo http://www.treccani.it.

L’articolo presenta una rielaborazione della postfazione che ho scritto per Lewis Carroll e Kyle Baker, Alice attraverso lo specchio, Rizzoli Lizard, Milano, 2010.

Ti è piaciuto? Condividi questo articolo con qualcun* a cui vuoi bene:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

(Quasi)